SCHEDE DI LITURGIA

A CURA DI ANTONIO RAIA

 

XXXII  DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

 

La prima lettura ci parla di Elia che arrivato nel piccolo villaggio di Sarepta (paese della Fenicia, a pochi chilometri da Sidone), sperimenta come il potere del Signore si estenda anche a quella terra straniera e come il Dio di Israele possa rivelarsi e ottenere obbedienza anche in terra pagana. E Dio si rivela anche qui come il protettore delle vedove e degli orfani.

L'ospitalità della vedova di Sarepta viene compensata dal miracolo di Elia. Dio premia la povertà di questa vedova perché non nega l’ospitalità al profeta e dunque trova l’orcio dell’olio e la giara della farina senza fondo. L’accostamento è con la vedova del brano evangelico, la cui umiltà e generosità, merita da Gesù un elogio che non ha l’eguale. In entrambe le vedove, vi è un riflesso di Gesù in quanto entrambe, in forme e modi diversi, manifestano e rivelano il volto povero del Signore.

 

La seconda lettura, rende chiaro l’irripetibile sacrificio di Cristo in luogo dei molti sacrifici di animali dell’Antico Patto. Il suo sacrificio viene anche espressamente paragonato con la morte dell’uomo: come questa è assolutamente irripetibile, così anche questo sacrificio, che basta ad espiare i peccati del mondo una volta per tutte. Dietro la consegna di Gesù, si intravede Colui che consegna, e cioè il Padre, il suo sacrificio, che è senz’altro paragonabile alla vedova nel Vangelo: anch’egli getta tutto ciò che ha, la persona più cara, nel tesoro: “Dio tanto ha amato il mondo da dare il suo unico Figlio”.

 

Nel brano del Vangelo, Gesù mette in risalto il formalismo vuoto degli Scribi e dei Farisei, che ostentano una religiosità senza fondamento, e anche nel fare l’offerta al tempio, danno quello che a loro non serve.

Essi pregano, ma non sanno amare e pensano di essere accetti a Dio con i loro riti ma Dio non può accettare tutto ciò perchè sono cose  che mancano di amore.  Si può presumere di amare Dio attraverso riti, gesti e devozioni, ma se in questa dimensione di amore manca l’ ”Altro”, l’amore è mutilato e vuoto.

Gesù intende rimproverare agli scribi di allora e di oggi ogni atteggiamento superbo ed egoista, che chiude il cuore e le mani alla comprensione e alla generosità verso chi è bisognoso. La vedova, dal canto suo, rappresenta pienamente il grido del povero che preme ed insiste presso il Signore affinché infine riveli compiutamente la propria paternità, a fronte di un mondo che si fa forte del silenzio di Dio. Prendere sul serio il grido della vedova e di Gesù in croce comporta infatti assumere tutto il peso del silenzio di Dio. Nel testo odierno Gesù propone una vedova quale esempio di vera religiosità e come modello del vero amore di Dio.

 

Gesù, seduto di fronte al tesoro del tempio, osserva con il suo sguardo (in Marco esprime la potenza del suo giudizio) ciò che si svolge davanti ai suoi occhi. Poi, con solennità, chiama i suoi discepoli presso di sé per far loro osservare una cosa che era loro sfuggita: si tratta di un piccolo episodio trascurabile agli occhi del mondo, che invece, secondo Gesù, deve costituire una lezione molto importante. Gesù vuole rendere la cosa pubblica e questo è chiaro da quel “chiamati a sé i discepoli”. La solennità della dichiarazione che sta per fare loro è resa evidente dalla formula iniziale: “in verità io vi dico”, che viene usata solo per le occasioni molto importanti. La scena è poco appariscente: una vedova che getta un quattrino nel tesoro del Tempio non fa certamente notizia. Gesù però chiama i suoi a considerare la cosa più da vicino, con sguardo meno superficiale; questa povera donna, infatti, di cui nessuno si accorge è il vero nuovo scriba, è da lei, donna, povera e insignificante, che secondo Gesù i discepoli sono chiamati ad imparare la lezione più importante del Vangelo. Essa infatti ha gettato tutto quello che aveva, tutta la sua vita, ha adempiuto quella condizione indispensabile per entrare nel regno e cioè “gettare tutto” per il vero tempio che è Gesù e dare la vita per lui. Questo esempio offerto dalla vedova con il suo obolo versato al Tempio, “sacramento” della presenza divina, è tanto più provocante se si tiene presente che al tempo di Gesù l’opinione comune riteneva che una donna avesse poco da insegnare in ordine all’obbedienza alla Toràh, tanto meno una vedova, considerata ai margini della vita sociale e in qualche modo non pienamente benedetta da Dio. Gesù, che ha ammirato il gesto e l’ha lodato, non misura gli atti umani col nostro metro che si ferma alle apparenze. Egli non misura in cifre quello che doniamo; lo misura in amore, lo valuta secondo il metro dei valori interiori della persona; egli arriva al cuore.

Il gesto di questa vedova, che ripete quello di cui si racconta nella prima lettura, ottiene la ricompensa e la provvidenza di Dio che rende giustizia agli oppressi e dà il pane agli affamati. Nella lettura cristiana, la vedova del Vangelo diventa immagine di Dio stesso che dona tutto per l’umanità.

 

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