SCHEDE DI LITURGIA A CURA DI ANTONIO RAIA |
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XXIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
Il vangelo di questa domenica colloca Gesù in cammino verso il mare di Galilea, in pieno territorio della Decàpoli, cioè in una regione pagana. Il racconto ha quindi un significato di universalità. A Gesù viene condotto un sordomuto chiedendo che su di lui imponga le mani. Questo gesto manifesta il conferimento o l’esercizio di un potere ricevuto dall’alto, nella sua ritualità, esso esprime l’amore e la misericordia di Dio, la sua benedizione. Viene richiesto un miracolo in favore di una persona che, secondo la concezione del tempo, avrebbe dovuto essere esclusa dalla salvezza. Gesù non impone semplicemente le mani, tocca le orecchie, bagna con la saliva la lingua, sospira, alzando gli occhi al cielo, e dice al malato: “Effatà”, cioè “Apriti”. Lo sguardo rivolto al cielo è lo stesso gesto che Gesù ha compiuto alla moltiplicazione dei pani, indica la preghiera. Questo intervenire di Gesù sugli organi malati ci interpella, il Figlio di Dio fattosi carne, guarisce, tramite la sua carne l’indigenza della carne altrui. La guarigione è immediata, è un grande miracolo donde lo stupore e la voglia di attestarlo in contrasto con il silenzio che Gesù esige. Il proclamarlo è l’eco del compiersi dell’attesa messianica, infatti, il contenuto delle letture di questa domenica, è legato al compiersi di quest’attesa, al Regno di Dio che viene. Uno dei suoi tratti, appunto, è rendere l’udito ai sordi e la parola ai muti. Nel vangelo di Marco, il comando di non divulgare il fatto è quasi abituale, perché l’evangelista vuole insegnarci che il tempo messianico è arrivato e che bisogna saper intendere nel giusto modo la vera natura della messianità di Cristo, non bastano i miracoli, occorre attendere la sua passione e la sua Croce. Purtroppo, più Gesù vuole che questi miracoli rimangano segreti e più si diffondono. La reazione della folla è di immenso stupore: “Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti”. Queste parole della folla sono una citazione del profeta Isaia e cioè quelle della prima lettura: “Dite agli scoraggiati: coraggio, non abbiate paura, ecco il vostro Dio, Egli viene a salvarvi; si apriranno gli occhi dei ciechi e si schiuderanno gli orecchi dei sordi, lo zoppo salterà come un cervo e la lingua di muto griderà di gioia”. La folla capisce dunque che il miracolo è il segno che le profezie si sono compiute, Gesù è il Salvatore atteso.
La prima lettura ci presenta Isaia che invita Israele a gioire, a riprendere coraggio, serenità, forza e fiducia. L’intervento di Dio, descritto come la fioritura del deserto e la guarigione di ciechi e zoppi, in concreto vede l’aprirsi per gli esiliati la strada del ritorno in patria. L’annunzio di Isaia è oggi rivolto a noi, a tutti gli oppressi che si trovano sotto il giogo di vari dominatori, che comunque assoggettano mediante la paura. L’annuncio viene a noi per farci riprendere coraggio: il Signore viene a liberarci da questi fardelli, a offrirci il suo giogo soave e il suo carico leggero.
La lettera di Giacomo e caratterizzata dal tema della povertà, dell’obbligo dei cristiani di farsene carico, invertendo le regole che onorano i ricchi e marginalizzano i poveri. L’apostolo ammonisce la comunità cristiana a non fare alcun tipo di discriminazione, proclama l’assoluta uguaglianza dell’umanità dinanzi a Dio, ricchi e poveri, anzi lo sguardo del Signore si posa su quelli che non hanno niente, su coloro che sono poveri agli occhi del mondo: “Dio ha scelto i poveri agli occhi del mondo, coloro che sono ricchi nella fede ed eredi del Regno”. Giacomo ci invita a non ricercare la gloria del mondo, ma ciò che è prezioso e vale agli occhi di Dio, ad amare con sincerità e gratuità il nostro prossimo, a divenire ricchi di fede e di amore. |
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