SCHEDE DI LITURGIA

A CURA DI ANTONIO RAIA

 

XXII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

 

Il vangelo ci parla della disputa tra Gesù, i farisei e alcuni scribi. Essi rimproverano a Gesù e ai suoi discepoli di non rispettare le prescrizioni di purità. Gesù, fin dagli inizi della sua vita pubblica ha sempre affermato la propria indipendenza nei confronti della tradizione giudaica del suo tempo. Questo diventa uno dei punti di contrasto fra Gesù e il giudaismo farisaico, sull’adesione formale alla Legge e un’adesione interiore e vitale alla Parola di Dio. Da una parte l’osservanza formalistica degli scribi e dei farisei, dall’altro, l’interiorizzazione, che dai profeti a Gesù, è condizione di una religione pura: “Religione pura e senza macchia davanti a Dio Padre è questa: visitare gli orfani e le vedove nelle sofferenze e non lasciarsi contaminare da questo mondo” (seconda lettura).

In base a questa polemica di Gesù contro il fariseismo, si è finito col dare a questo nome, originariamente sinonimo di pietà e di perfezione, il significato di ipocrisia, di osservanza esteriore.

 

La prima lettura, tratta dal libro del Deuteronomio, propone le solenni parole di Mosè che proclama dinanzi al popolo. Sono parole vitali, che chiedono di essere messe in pratica, esse saranno per il popolo la garanzia della salvezza e gli consentiranno di entrare e vivere nella terra promessa, ma soprattutto, testimonieranno agli altri popoli la grandezza del Dio d’Israele. La lettura del Deuteronomio, sottolinea, dunque, la valenza salvifica delle parole che Dio ha assegnate al suo popolo.

Il rischio, insito nel nostro limite, è quello di assolutizzare la legge, il vangelo di Marco ci mostra questo rischio attraverso le parole di Gesù che fa suo quanto già detto da Isaia: “Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me. Invano mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini. Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini”.

Il paradosso è quello di ridurre la legge di Dio a precetto umano a furia di adeguarla e precisarla, finendo così con il considerare essenziale non più la legge ma le sue norme applicative, in contrasto con quanto detto da Dt 4,2: “Non aggiungerete nulla a ciò che io vi comando e non ne toglierete nulla; ma osserverete i comandi del Signore, vostro Dio, che io vi prescrivo”.

Il fariseismo e il formalismo non sono un atteggiamento che riguarda  solo il  passato, ma  un modo di agire che può continuare anche oggi, nel seno della Chiesa: si può anche oggi vivere un  cristianesimo legalista, esteriore, più preoccupato di ubbidire passivamente a norme ricevute, che di dare una risposta personale e responsabile alle chiamate di  Dio e alle invocazioni dei fratelli.

 

La seconda lettura ci propone una “religione senza macchia davanti a Dio Padre”. Non si tratta di ascoltare o praticare le parole, ma di accogliere con docilità la parola che è stata seminata in noi e che può darci la salvezza. L’autentico aderire alla parola di Dio è soprattutto un fatto interiore che non può esaurirsi nel solo rispetto delle forme. Quest’aderire, poi, è sempre operativo e testimoniale: “visitare gli orfani e le vedove e non lasciarsi contaminare da questo mondo”.

 

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