SCHEDE DI LITURGIA A CURA DI ANTONIO RAIA |
||
XV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
Tutte le letture di questa XV Domenica parlano di vocazione e di invio. Anche a noi Dio ha fatto questo dono della chiamata e il mandato di testimoniarlo ai fratelli. Il profetismo, in Israele non è mai stato una istituzione come la regalità e il sacerdozio, cioè: Israele può darsi un re, ma non può darsi un profeta; questo è un dono di Dio, oggetto di una promessa. Profeta si diventa per una speciale chiamata e iniziativa divina, non per designazione o consacrazione degli uomini. Tuttavia, l’essere profeti può rivelarsi scomodo, perché può portare a incontrarsi con il rifiuto, ma non possiamo sottrarci all’urgenza di annunciare la nostra fede, condividendo così ciò che abbiamo di più caro e imitando Gesù che per amore dona la sua vita e ci dice “come ho fatto io così fate anche voi”. Ogni battezzato, che è profeta, inviato dal Padre ai fratelli, dona loro il tesoro di cui vive: l’amore e la grazia di Dio che ha ricevuto al momento della sua chiamata e che continua a ricevere lungo il cammino della vita. Il profeta non porta sé stesso, ma un Altro, così è l’inviato, il quale va senza borsa né bisaccia, cioè senza niente in cui riporre le proprie sicurezze, l’inviato calza solo i sandali (i sandali servivano per affrontare i lunghi viaggi ed i terreni accidentati) cioè deve essere pronto ad annunciare la Parola ovunque sia inviato, ovunque viva, egli cammina in libertà di cuore confidando unicamente nell’aiuto del Signore. La libertà si manifesta anche nell’accettare che ciascuno si assuma le proprie responsabilità “dove non sarete accolti, scuotete la polvere dai vostri sandali”.
Amos non è, come Amasia, un profeta stipendiato dal re, egli è stato scelto da Dio e quindi è libero da legami umani, l'unico suo limite è la verità, la fedeltà a Dio che l’ha scelto (prima lettura). Il vangelo di Marco ci parla del profeta come di una persona che ha una missione che non trova riscontro con altre professioni umane. Si tratta di un uomo apparentemente sradicato dal suo mondo e disponibile per annunciare una parola che non è sua ma di Dio. Gesù invia i suoi discepoli “a due a due”, non solo perché la testimonianza sia più efficace (nel mondo ebraico infatti aveva valore la parola di due testimoni), ma anche perché ci sia sostegno reciproco nell’annuncio del Vangelo. L’equipaggiamento evidenzia le esigenze che stanno alla base dell’azione missionaria: “E ordinò loro di non prendere per il viaggio nient’altro che un bastone”. Chi annuncia deve libero da interessi umani, da ideologie da difendere, queste cose non gli permettono di essere libero, lo condizionano, ne intralciano il lavoro, ne affievoliscono lo zelo, gli impediscono di essere credibile. La libertà dalle cose è il prezzo da pagare per non compromettersi, ciò che è chiesto al profeta è di svestirsi di se stesso, di non contare sulle proprie capacità. L’uomo è chiamato a collaborare alla costruzione di una storia al cui termine sta l’incontro col Padre. Attraverso la parola di oggi, possiamo immaginare la Chiesa, popolo di Dio che condividendo le gioie e le asperità del percorso, corre verso il suo Signore. L’amore di Dio ci ha chiamati, il suo amore ci invia ad annunciarlo e sempre il suo amore ci accompagna e ci sostiene nella corsa di ogni giorno, affinché la nostra vita raggiunga la pienezza, dove Cristo sarà tutto in tutti. |
||
www.parrocchiasantifilippoegiacomo.it |