SCHEDE DI LITURGIA A CURA DI ANTONIO RAIA |
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XIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
La prima lettura ci mostra come Dio agisce attraverso il profeta, il profeta, infatti, opera come un messaggero che non ha parole sue da annunciare, ma quelle che Dio gli ha affidate. Dio non si colloca immediatamente di fronte al popolo, ma si serve dei profeti, i quali, parlano in nome suo. Il profeta è dunque un inviato, tanto che identificherà la sua vita con quello che annuncia e diventerà in qualche modo “Parola di Dio”. E’ questo il senso della prima lettura che ci mostra la vocazione del profeta Ezechiele, mandato da Dio. Ezechiele diventa profeta, il destinatario della sua profezia è Israele definito “una casa di ribelli”. La durezza di cuore degli Israeliti si manifesterà anche verso il profeta: “Saranno per te come cardi e spine e li troverai in mezzo a scorpioni”. Ezechiele sarà una presenza scomoda che provoca la ribellione e il rifiuto, così come Gesù nella pericope evangelica. Gesù torna nella sua patria, Nazareth, ed essendo sabato entra nella sinagoga e si mette ad insegnare. La gente è presa da stupore, si chiede da dove gli viene quella sapienza e quella potenza per compiere tali prodigi. Tutto questo non corrisponde a quanto la gente sa di lui: essi lo conoscono, l’hanno visto crescere ed esercitare il mestiere di falegname, conoscono sua madre e i suoi parenti. Si sentono turbati “era per loro motivo di scandalo”, riecheggia il prologo del Vangelo di Giovanni “venne tra la sua gente, ma i suoi non l’hanno accolto” (Gv 1,11). Tutto questo ha un motivo, Gesù ritorna a Nazareth presentandosi come un profeta, il profeta, come abbiamo visto non solo è un uomo scomodo, ma rappresenta in qualche modo la sfida che Dio pone al suo popolo. Attraverso il profeta Dio consegna all’uomo un nuovo modo di camminare, impone un nuovo stile che rappresenta il cambiamento. Ciò che scandalizza i Nazareni è che vedono in Gesù solo il figlio di Giuseppe e non il Figlio di Dio, hanno ridotto Gesù a un’immagine umana, non vedono in lui la divinità e quindi rifiutano di aprirsi al Gesù che è sì figlio di Maria, ma anche di Dio. Ecco allora che nella sua patria“non poteva compiere nessun prodigio”, in quanto la potenza di Gesù è legata e la sua Parola è resa inefficace perché non incontra la fede. Ed è proprio la fede che ci fa avere tutto quello che ci accade con occhi nuovi, con gli occhi di chi pone ogni sua fiducia e speranza nel Signore, certo che il Signore non lo abbandonerà mai.
Nella seconda lettura, Paolo ci mostra come anche lui, così come il popolo d’Israele si è mostrato ribelle nella non accettazione e nel voler eliminare il suo limite, la sua debolezza: “Ho pregato tre volte il Signore perché allontanasse da me questa spina nella carne”. Non sappiamo di cosa si tratti, ma ciò che è importante è la risposta di Gesù: “Ti basta la mia grazia; la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza”. Ecco dunque che Paolo si apre con fiducia, senza scoraggiamento, egli riconosce il suo limite, la sua debolezza, questi non gli fanno più paura, non gli creano più un problema. Egli voleva combattere contro la sua debolezza, voleva eliminarla, ma si arrende alla Parola di Dio arrivando al paradosso: “Mi vanterò ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo. ... infatti quando sono debole è allora che sono forte”. |
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