SCHEDE DI LITURGIA

A CURA DI ANTONIO RAIA

 

VI DOMENICA DI PASQUA

Vi ho chiamato amici

 

Anche questa VI domenica è nel segno di quell’intimità vitale che ci lega al Signore risorto, nel rimanere in lui, nel suo amore, nel suo comandamento.

 

La prima lettura ci propone l’incontro di Pietro e Cornelio, cioè il momento dell’apertura ai pagani, la presa d’atto che Dio non fa preferenza di persone, ma accoglie tutti coloro che lo temono e che praticano la giustizia, a qualunque nazione appartengano.

Dopo le parole di Pietro, lo Spirito Santo effonde la casa di Cornelio, producendo in coloro che ascoltavano il dono delle lingue ed altri fenomeni che la comunità dei fedeli ben conosceva. Poiché hanno ricevuto lo Spirito, a questo punto non si può certo privarli del battesimo per inserirli nella comunità del Risorto.

Gesù ha promesso lo Spirito Santo ai discepoli, questa promessa si attua continuamente nella Chiesa, ma lo Spirito di Cristo agisce liberamente: il dono dello Spirito si effonde anche in casa di un pagano, Pietro battezza i primi pagani. Chi prende l'iniziativa di chiamare gli uomini a far parte del popolo dei battezzati è sempre Dio, la sua iniziativa, come vedremo anche nella seconda lettura, si chiama “Amore” e vuole raggiungere tutti gli uomini.

 

La prima lettera di Giovanni (seconda lettura), ripropone il Kerygma pasquale nel segno dell’amore. L’affermazione che Dio è amore mostra il disegno amoroso di Dio, manifestatosi nel suo Figlio Unigenito, diretto a donarci la vita per mezzo di lui. Per primo Dio ci ha amati – afferma l’apostolo – e ha inviato suo Figlio per salvarci.

La preoccupazione di Giovanni per la giovane Chiesa a cui rivolgeva la sua lettera era quella che Dio fosse conosciuto da questo amore che ha manifestato nell'invio del Figlio, condizione quest’ultima per l’espansione della Chiesa: gli uomini saranno attirati ad essa dal segno nell'amore fraterno.

Le nostre comunità, le nostre assemblee devono dunque mostrare l'appartenenza visibile alla Chiesa mediante il battesimo, la loro esplicita professione di fede nel Signore Gesù, devono mostrare a tutti l'oggetto della loro ricerca, debbono rinnovare continuamente la loro disponibilità e ricordare che “chi teme Dio e pratica la giustizia, a qualunque popolo appartenga, è a lui accetto”.

 

Il vangelo di questa domenica è straordinariamente denso, fa parte dei cosiddetti “discorsi d’addio”. I lunghi discorsi di Gesù con i suoi, quelli nei quali egli ammaestra sulla condotta di vita del credente.

Su tutto domina il tema del “permanere”, del “restare”, quasi a donare loro, gli strumenti per il lungo tempo che li separerà dal suo ritorno. Il suo è un attrezzarli, un offrir loro ciò che lo Spirito renderà definitivamente efficace e intellegibile.

Gesù parla dell’amore di lui al Padre e del Padre a lui, e al quale vuole conformare i discepoli, il suo amore per il Padre non è diverso da quello che nutre per i suoi. La condizione quindi per rimanere in lui è l’osservanza dei comandamenti.

Il comandamento del Signore è d’amarsi come lui ci ha amati, sino a dare la vita per noi, per questo ci chiama “amici”, l’amore dell’amico non è ispirato da un interesse, non tende a usare l’altro, ma esprime gratuita convergenza, stessi ideali e stile di vita. Gesù fa una distinzione tra servo e amico, da quelli che ha chiamato non si attende un atteggiamento servile e sottomesso, un’obbedienza cieca e irresponsabile, ma ciò che è evidente è l’invito ad osservare la sua Parola.

Tutto ciò alla luce dell’imperativo fondamentale: “Questo io vi comando: che vi amiate gli uni gli altri”.

Questa è la consegna che Gesù ha lasciato ai suoi discepoli. E in questa linea deve svolgersi l'opera della Chiesa.

 

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