IIIª DOMENICA DI QUARESIMA
“Annunciamo Cristo Crocifisso”
La
Chiesa annuncia la parola della croce come dono di vita, segno
supremo dell'amore di Dio. Questo messaggio, talvolta, sconcerta
quelli che vivono una religiosità apparente e che pretendono che Dio
si adegui ai propri schemi, ma la vita cristiana non può aggirare
l’ostacolo della croce, proprio perché Dio ha rivelato la salvezza
nel Cristo che muore. “Annunciare Cristo crocifisso” significa
rivelare agli uomini questo amore, un amore che non muore di fronte
a niente.
La lettera di S. Paolo (1 Cor 1,22-25) afferma che la fede non nasce
dai segni nè dalla sapienza, questo era quello che chiedevano i
Giudei e che cercavano i Greci, la fede si radica su Cristo
crocifisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani, ma per i
chiamati Cristo è potenza e sapienza di Dio.
Paolo parla di potenza e debolezza, stoltezza e sapienza, proprio
per mostrare che la via del Signore è totalmente diversa dalla
nostra, la sua salvezza è totalmente altro, come Dio incontra l’uomo
nello scandalo del patibolo, nello scandalo di un corpo che ora è il
vero tempio, il vero luogo d’incontro tra Dio e l’uomo.
In questa III domenica il vangelo apre con un gesto profetico di
Gesù nel tempio, una forte riprovazione nei confronti di quanti
profanano il suo tempio.
Siamo nel periodo della Pasqua dei Giudei e Gesù si reca nel Tempio,
lì i pellegrini salivano per offrire sacrifici di ringraziamento e
di riparazione. Intorno al tempio vi è un vero e proprio mercato, si
vendono animali per i sacrifici e cambiano le dramme e i denari in
sicli.
Gesù scaccia tutti, denuncia la deformazione del culto del tempio e
ne annuncia la trasformazione. Quando gli chiedono con quale
autorità scaccia i venditori, Egli coglie l’occasione per rovesciare
la figura stessa del tempio, attribuendola a sé e dunque
annunciando, quale segno autorevole del suo agire, proprio il
disfacimento del tempio e la ricostruzione dopo tre giorni. Il
tempio ora è Gesù stesso, il tempio è il suo corpo che, consegnato
alla morte, ritornerà alla vita il terzo giorno.
Dio non si serve più della tenda del convegno, del tempio di
Salomone o quello ricostruito dal resto al ritorno dall’esilio, o
quello stesso di Erode che Gesù ha più volte frequentato. Dio non si
serve più di un’abitazione, analoga a quella degli uomini, Tempio
ora è Gesù stesso, il Dio con noi, l’Emmanuele, Tempio è il suo
corpo dato per noi, tempio è il suo corpo che è la Chiesa.
Tutte queste cose saranno disvelate alla luce della Pasqua, la quale
renderà attiva la memoria delle parole e dei gesti del Signore.
Soltanto alla sua luce i discepoli capiscono, testimoniano e
“annunciano Cristo crocifisso”.
Con questo gesto profetico, Gesù mette in discussione l'istituzione
più sacra della tradizione giudaica, è posto sotto accusa il modo di
interpretare il rapporto con Dio. Il fatto che Dio abitasse nel
tempio costituiva per Israele la presunzione di possedere Dio in
modo definitivo, anche se i profeti avevano più volte denunciato
questa illusoria sicurezza che gli veniva dal formalismo religioso (Is
1,1ss; Ger 7,1-15; Mic 3,12). Gesù si colloca in questa linea
dichiarando la fine dell'istituzione del tempio, segno di un modo
inadeguato di vivere il rapporto con Dio.
Il nostro tempio è Cristo, il suo corpo è la Chiesa costituita dal
popolo dei battezzati, pietre vive che formano un edificio
spirituale nel quale si consuma il culto in spirito e verità, cioè
in Cristo e nello Spirito Santo.
La vita cristiana non consiste in una serie di pratiche che
giustificano la nostra buona condotta, ma per entrare in comunione
con Dio siamo chiamati in causa attraverso le scelte di tutti i
giorni: Che pietra sono io? Può l’edificio contare su di me?
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