V DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
Nelle
letture di oggi si parla della luce, la luce dell’uomo: il giusto
inondato dalla luce divina, diventa a sua volta fiaccola che
risplende e riscalda. La liturgia odierna si trasforma, allora, in
una celebrazione della luce che l’uomo può irradiare nel mondo con
la sua testimonianza.
Nietzsche, il famoso filosofo ateo tedesco, rimproverava così i
cristiani: «Se la buona novella della vostra Bibbia fosse anche
scritta sul vostro volto, voi non avreste bisogno di insistere
perché si ceda all’autorità della Bibbia: le vostre opere dovrebbero
rendere quasi superflua la Bibbia, perché voi stessi dovreste
costituire la Bibbia viva».
Nella prima lettura di oggi, Isaia ricorda al popolo che più dello
splendore del culto, a Dio è gradito l’ospitare i senza tetto ed il
dividere il pane con gli affamati. L’astinenza dal cibo infatti poco
conta se non è per nutrire l’affamato. Si arrivi dunque alla
pratica, alla vita, a spartire il pane, realtà e simbolo allo stesso
tempo di tutto quello che alcuni possiedono e che ad altri manca;
così che il ricco provi quello che vuol dire essere povero e riceva
dal povero bisognoso lo spirito della fiducia in Dio. Il profeta
quindi invita tutto il popolo a ricercare un atteggiamento di
servizio. In questo modo Israele risponderà realmente alla missione
che Dio gli ha affidata nel mondo e partendo da questo atteggiamento
diventerà luce per le nazioni.
Nel brano della seconda lettura Paolo ricorda l’inizio della sua
predicazione a Corinto, egli non ha cercato di convincere i Corinzi
con delle prove né di imporsi con l’eloquenza o con il prestigio
della sua persona, ma porta semplicemente la sua testimonianza di
apostolo, una testimonianza fatta in povertà ed in umiltà. Egli si è
affidato completamente allo Spirito di Dio e alla sua potenza
lasciando a questo il compito di dimostrare “vera” la sua
predicazione, sia comunicando alle sue parole una misteriosa forza
di persuasione, sia illuminando le menti degli ascoltatori.
Dimostrazione quindi ben diversa da quella che deriva dalla vuota
abilità oratoria o da virtuosismi dialettici. Ecco perché la fede
dei Corinzi non si basa sul prestigio del predicatore, ma sopra la
forza dello Spirito che agisce sui cuori.
Nel brano evangelico, Matteo riprende il discorso della luce: il
cristiano è la luce del mondo perché segue Cristo che è la luce del
mondo e perché, come Cristo, agisce e perciò illumina.
Come il sale che serve solo se è usato e come la luce che serve solo
se si pone in alto, così il cristiano deve dare testimonianza al
mondo, illuminare chi è nelle tenebre.
Noi siamo come una città collocata sul monte o una luce accesa che
non può restare nascosta. La luce che viene dalla fede, ricevuta in
dono, non deve servire solo per la nostra illuminazione spirituale,
ma deve donarsi e diventare “luce del mondo” che risplende davanti
agli uomini. Far brillare la luce della fede significa condividere
ciò che abbiamo con chi è privo del necessario, accogliere chi è nel
bisogno, eliminare ogni atteggiamento di violenza e di ingiustizia,
così come diceva Isaia nella prima lettura
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