SCHEDE DI LITURGIA

A CURA DI ANTONIO RAIA

 

IV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

 

La prima lettura di oggi è tratta dal profeta Sofonia, che scrisse verso la fine del VII secolo a.C. Il suo messaggio è costantemente teso tra due tonalità: da un lato egli accende l’ira di Dio contro tutti i corrotti, d’altro lato egli accende la fiaccola della speranza per le vittime.
Sofonia proclama ai suoi compatrioti pervertiti, un giudizio terribile. Non si accontenta di denunciare l’idolatria, il formalismo religioso e le ingiustizie sociali, ma ne denuncia le cause: la mancanza di fede e l’orgoglio. Il regno di Giuda sta correndo verso la sua rovina, infatti, nel 689 il re Assiro Sennacherib distrugge Babilonia e conquista il regno di Giuda. Ma per il profeta la minaccia assira è solo l’anticipo di una minaccia molto più temibile: quella del “giorno del Signore” che farà esplodere il furore divino contro un popolo ribelle ed orgoglioso. Ma il profeta è anche l’uomo della speranza e dunque la sua attenzione si concentra su quel “resto”. Il profeta vede, proprio nei poveri, la capacità di cercare il Signore, di continuare l’opera di salvezza essendo, questo piccolo resto, il popolo santo di Dio.
I “poveri della terra” sono gli oppressi che reclamano giustizia agli occhi di Dio, coloro che, socialmente privi dei beni materiali, pongono la loro fiducia in Dio e da lui attendono l’aiuto. Il loro atteggiamento interiore è opposto a quello che caratterizza i ricchi e tutti coloro che confidano solo nelle proprie risorse. E’ attraverso questi poveri, che cercano la giustizia e attraverso l’umiltà che nasce la città ei giusti, dei poveri, degli umili, di chi sceglie la parola di Dio come guida della sua vita.

Con la seconda lettura ci trasferiamo quasi sette secoli dopo, a Corinto, nella piccola comunità cristiana che sta sfaldandosi in sette e fazioni e che si lascia catturare dal fascino del potere intellettuale e finanziario greco, dove Paolo ribadisce con forza un’idea che percorre tutta la Bibbia. Le scelte di Dio sono “estrose”; egli non punta sugli uomini di successo, sceglie i minori come Isacco, Giacobbe, Davide, gli impacciati come Mosè e geremia, i contadini come Amos, i pescatori come gli apostoli, il povero, la vedova, l’orfano e il forestiero sono i suoi protetti. Nella lotta contro il male egli non si arma di guerrieri, di potenti ma sceglie i deboli, gli ignobili e i disprezzati.

Con questa domenica iniziamo la lettura del primo e più celebre dei cinque discorsi di Gesù che sono come le colonne portanti del Vangelo di Matteo. La narrazione inizia con la celebre pagina delle Beatitudini che apre il discorso della Montagna.
I primi destinatari di questo Vangelo sono proprio i “poveri in spirito”, un’espressione biblica per indicare chi ha il cuore, la coscienza, l’intimo suo più profondo “povero”. Ecco dunque la parola che unisce tutte le letture di oggi. Ma la figura del “povero della Bibbia ha tanti volti, infatti, il termine originale ebraico indica coloro che sono “curvi”, cioè gli oppressi in balìa dei potenti, le vittime indifese. Nella prima lettura Sofonia vede nel ritratto del povero i giusti, i miti, gli umili, i fedeli a Dio. Sono appunto i “poveri in spirito” di Matteo. Questa frase è la definizione piena del povero biblico. Egli non è semplicemente il miserabile perché si può essere indigenti ed egoisti, aggrappati anche all’unica moneta che si possiede. È, invece, colui che si stacca concretamente e interiormente dalle cose, è colui che non fonda la sua sicurezza e la sua fiducia sui beni, sull’orgoglio, sul denaro, sul potere .
La forma letteraria delle beatitudini è una forma usata anche dall’Antico Testamento per celebrare la felicità del giusto che affida la sua vita alla via indicata da Dio e non si lascai sedurre dal fascino perverso del male. Cristo assume questo modello letterario a lui precedente e gli imprime una svolta radicale nei contenuti.
Per Israele la beatitudine era soprattutto il benessere, il successo, la prosperità: erano segni dell’uomo giusto ricompensato dalla benedizione divina. Gesù, invece, in modo paradossale dichiara la beatitudine di coloro che sono giudicati sventurati agli occhi degli uomini: come si può gioire nella povertà, nella fame, nel dolore, nella persecuzione? È proprio qui che avviene il ribaltamento dei luoghi comuni, delle ingiustizie trionfanti che costituirà una componente fondamentale del messaggio cristiano e della sua forza dirompente all’interno della storia.
Proclamando beati i poveri e gli umili Gesù parla il linguaggio che Dio aveva già usato con il suo popolo attraverso i profeti, quello per esempio di Sofonia della prima lettura di oggi. Lo stesso linguaggio è quello di Paolo nella seconda lettura di oggi: i primi ad essere chiamati sono sempre i piccoli, i poveri, quelli che il mondo disprezza, ma che sono grandi nel regno dei cieli.
I poveri (curvi) cioè gli oppressi in balia dei potenti, le vittime indifese, però sono anche i giusti, i miti, gli umili, i fedeli a Dio.
Il discorso è davvero un capovolgimento di quelli che sono ritenuti i valori umani.

 

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