IV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
La
prima lettura di oggi è tratta dal profeta Sofonia, che scrisse
verso la fine del VII secolo a.C. Il suo messaggio è costantemente
teso tra due tonalità: da un lato egli accende l’ira di Dio contro
tutti i corrotti, d’altro lato egli accende la fiaccola della
speranza per le vittime.
Sofonia proclama ai suoi compatrioti pervertiti, un giudizio
terribile. Non si accontenta di denunciare l’idolatria, il
formalismo religioso e le ingiustizie sociali, ma ne denuncia le
cause: la mancanza di fede e l’orgoglio. Il regno di Giuda sta
correndo verso la sua rovina, infatti, nel 689 il re Assiro
Sennacherib distrugge Babilonia e conquista il regno di Giuda. Ma
per il profeta la minaccia assira è solo l’anticipo di una minaccia
molto più temibile: quella del “giorno del Signore” che farà
esplodere il furore divino contro un popolo ribelle ed orgoglioso.
Ma il profeta è anche l’uomo della speranza e dunque la sua
attenzione si concentra su quel “resto”. Il profeta vede, proprio
nei poveri, la capacità di cercare il Signore, di continuare l’opera
di salvezza essendo, questo piccolo resto, il popolo santo di Dio.
I “poveri della terra” sono gli oppressi che reclamano giustizia
agli occhi di Dio, coloro che, socialmente privi dei beni materiali,
pongono la loro fiducia in Dio e da lui attendono l’aiuto. Il loro
atteggiamento interiore è opposto a quello che caratterizza i ricchi
e tutti coloro che confidano solo nelle proprie risorse. E’
attraverso questi poveri, che cercano la giustizia e attraverso
l’umiltà che nasce la città ei giusti, dei poveri, degli umili, di
chi sceglie la parola di Dio come guida della sua vita.
Con la seconda lettura ci trasferiamo quasi sette secoli dopo, a
Corinto, nella piccola comunità cristiana che sta sfaldandosi in
sette e fazioni e che si lascia catturare dal fascino del potere
intellettuale e finanziario greco, dove Paolo ribadisce con forza
un’idea che percorre tutta la Bibbia. Le scelte di Dio sono
“estrose”; egli non punta sugli uomini di successo, sceglie i minori
come Isacco, Giacobbe, Davide, gli impacciati come Mosè e geremia, i
contadini come Amos, i pescatori come gli apostoli, il povero, la
vedova, l’orfano e il forestiero sono i suoi protetti. Nella lotta
contro il male egli non si arma di guerrieri, di potenti ma sceglie
i deboli, gli ignobili e i disprezzati.
Con questa domenica iniziamo la lettura del primo e più celebre dei
cinque discorsi di Gesù che sono come le colonne portanti del
Vangelo di Matteo. La narrazione inizia con la celebre pagina delle
Beatitudini che apre il discorso della Montagna.
I primi destinatari di questo Vangelo sono proprio i “poveri in
spirito”, un’espressione biblica per indicare chi ha il cuore, la
coscienza, l’intimo suo più profondo “povero”. Ecco dunque la parola
che unisce tutte le letture di oggi. Ma la figura del “povero della
Bibbia ha tanti volti, infatti, il termine originale ebraico indica
coloro che sono “curvi”, cioè gli oppressi in balìa dei potenti, le
vittime indifese. Nella prima lettura Sofonia vede nel ritratto del
povero i giusti, i miti, gli umili, i fedeli a Dio. Sono appunto i
“poveri in spirito” di Matteo. Questa frase è la definizione piena
del povero biblico. Egli non è semplicemente il miserabile perché si
può essere indigenti ed egoisti, aggrappati anche all’unica moneta
che si possiede. È, invece, colui che si stacca concretamente e
interiormente dalle cose, è colui che non fonda la sua sicurezza e
la sua fiducia sui beni, sull’orgoglio, sul denaro, sul potere .
La forma letteraria delle beatitudini è una forma usata anche
dall’Antico Testamento per celebrare la felicità del giusto che
affida la sua vita alla via indicata da Dio e non si lascai sedurre
dal fascino perverso del male. Cristo assume questo modello
letterario a lui precedente e gli imprime una svolta radicale nei
contenuti.
Per Israele la beatitudine era soprattutto il benessere, il
successo, la prosperità: erano segni dell’uomo giusto ricompensato
dalla benedizione divina. Gesù, invece, in modo paradossale dichiara
la beatitudine di coloro che sono giudicati sventurati agli occhi
degli uomini: come si può gioire nella povertà, nella fame, nel
dolore, nella persecuzione? È proprio qui che avviene il
ribaltamento dei luoghi comuni, delle ingiustizie trionfanti che
costituirà una componente fondamentale del messaggio cristiano e
della sua forza dirompente all’interno della storia.
Proclamando beati i poveri e gli umili Gesù parla il linguaggio che
Dio aveva già usato con il suo popolo attraverso i profeti, quello
per esempio di Sofonia della prima lettura di oggi. Lo stesso
linguaggio è quello di Paolo nella seconda lettura di oggi: i primi
ad essere chiamati sono sempre i piccoli, i poveri, quelli che il
mondo disprezza, ma che sono grandi nel regno dei cieli.
I poveri (curvi) cioè gli oppressi in balia dei potenti, le vittime
indifese, però sono anche i giusti, i miti, gli umili, i fedeli a
Dio.
Il discorso è davvero un capovolgimento di quelli che sono ritenuti
i valori umani. |