SCHEDE DI LITURGIA

A CURA DI ANTONIO RAIA

 

III DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

 

La prima lettura tratta dal profeta Isaia racconta di un popolo che non sapeva più dove andare, non vedeva più il proprio futuro e invece adesso ha visto una grande luce, è cominciata a spuntare la luce e il sorgere del giorno porta con se la gioia. È un grande evento, che da speranza di avere l’indipendenza, di avere un benessere, di avere la pace, la serenità.
La gioia che stiamo provando in questo momento, dice Isaia, celebrando nella corte l’ascesa al trono del nuovo re, è simile alla festa della mietitura, è simile alla festa dei cacciatori quando tornano da una battuta di caccia. Due feste popolari, i contadini che mietono il grano e alla fine, quando hanno terminato, fanno festa sull’aia mentre i cacciatori fanno festa alla sera perché hanno trovato tanta selvaggina.
È una preghiera che il profeta sta innalzando al Signore, non sta parlando al re, sta parlando a Dio, “tu hai spezzato”, non siamo noi con le nostre forze, con i nostri eserciti o con la nostra politica che abbiamo salvato la situazione. Il profeta sta parlando a Dio in modo solenne perché tutta la corte ascolti bene e capisca il messaggio che è rivolto agli uomini di corte: “tu hai spezzato la sbarra, il giogo, il bastone”. Sono le immagini tremende degli strumenti di supplizio adoperati dagli Assiri per deportare i prigionieri. Il giogo come si mette agli animali da tiro, il bastone, la sbarra sulle spalle che viene messa tra le spalle e le braccia in modo che il prigioniero legato in una posizione scomodissima non possa assolutamente reagire e diventi un fantoccio nelle mani dell’aguzzino e ha in mano il bastone e lo fa camminare per chilometri a furia di bastonate.
L’immagine rievoca drammaticamente le scene di questi poveretti deportati, ma adesso questa situazione è finita, Isaia preannuncia la liberazione dei deportati: cesserà la prigionia e riprenderà la vita, Dio interverrà facendo brillare la luce sul suo popolo.

Nella seconda lettura, dalla prima lettera ai Corinzi, Paolo difende l’unità della Chiesa. I cristiani di Corinto, a cui Paolo si rivolge, hanno formato dei piccoli gruppi chiusi che cercano di stabilire la propria autorità sugli altri richiamandosi a qualche apostolo in particolare del quale esaltano il culto della personalità.
Così facendo, rompono l’unità della Chiesa fondata sopra l’unico Cristo, il suo vangelo, la sua parola, la sua passione e risurrezione. Cristo non è diviso né divisibile e, mediante il suo unico sacrificio, ci rende una cosa sola, un solo uomo, un solo corpo. Dividersi significa rompere l’unità da lui voluta e distruggere il senso del suo sacrificio. Egli è morto per tutti, per fare di tutti una sola famiglia, togliendo ogni muro di divisione fra ebrei e gentili, formando di tutti un solo corpo.
L’ultimo versetto in cui Paolo dice di non essere stato mandato a battezzare ma a predicare il vangelo, va compreso alla luce delle usanze del tempo. Il conferimento del battesimo, infatti, non richiedeva una missione speciale in colui che lo amministrava, né una preparazione teologica particolare: ogni cristiano poteva amministrarlo. In genere gli apostoli, come testimonia qui Paolo, lasciavano il compito del battesimo ad altri mentre, invece, la predicazione costituiva la missione apostolica per eccellenza.

Il brano del vangelo secondo Matteo, si ricollega alla prima lettura di Isaia. Al tempo di Gesù la Giudea è sottomessa a tiranni politici e religiosi e l’arresto di Giovanni Battista ne è una testimonianza.
Gesù si ritira presso le tribù di Zabulon e di Neftali in Galilea, al nord. Una regione disprezzata dai puri perché terra di frontiera, periferia della terra promessa, abitata da popolazioni con religioni diverse, abbastanza tagliata fuori dal centro religioso di Gerusalemme a dal suo tempio.
Ma è proprio lì, in osservanza alle profezie della prima lettura di oggi, che sorge la luce di salvezza annunciata da Isaia. Alcuni semplici pescatori hanno saputo riconoscerla. Hanno abbandonato il loro lavoro quotidiano per mettersi al seguito di Gesù il quale li incammina verso un mondo rinnovato di cui egli già manifesta i segni che parlano di gioia e di salvezza.
Ecco quindi che vediamo formarsi il primo germe della Chiesa: i primi discepoli seguono il Signore non solo per condividere la sua intimità, ma per testimoniare lui e riunire gli uomini nel suo nome. Inizia quindi di lì un secondo esodo, non fisico come il primo, ma spirituale.
Il discepolo ha un compito non facile di “convertirsi”. L’essere discepolo comporta un esodo, uno sradicarsi da una situazione accettata, forse amata o sopportata, ma reale, per imbarcarsi in un avventura, in un rischio con Dio. È il rischio della Fede.
 

 

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