SCHEDE DI LITURGIA

A CURA DI ANTONIO RAIA

 

III DOMENICA DI QUARESIMA

 

La prima lettura ci presenta uno dei fatti più comuni del deserto: il popolo sente la fatica della sua libertà e mormora. Nel difficile cammino verso la libertà Israele, arso dalla sete, tenta Dio, esige il suo intervento come un diritto e contesta l’operato di Mosè che sembra il responsabile di un’avventura senza sbocchi.
Dio, che nella tradizione biblica è la fonte dell’acqua viva, interviene e si dimostra roccia, cioè forza, difesa, sostegno di Israele. Il popolo rimpiange il passato e rifiuta il futuro, denunciato come illusorio. Vorrebbe impadronirsi di Dio per sciogliere in modo miracolistico le proprie difficoltà. Ma Dio si sottrae a questo tipo di richiesta, tuttavia dà prova di non abbandonare il suo popolo: gli assicura l’acqua che disseta perché riconosca in lui il Salvatore ed impari a fidarsi di lui.
La roccia da cui Mosè fa scaturire l’acqua è segno della provvidenza divina che segue il suo popolo e gli dà vita. Il Dio dell’Esodo continua a dimostrare potere e volontà di salvare, a dispetto della diffidenza e della ribellione di coloro che devono essere salvati. Tentare Dio è provare se è o non è presente. E’ una tentazione che accompagna la fede.

Nella seconda lettura san Paolo scrive ai Romani ricordando e riflettendo sulla grandezza dell’opera di Gesù. Infatti, per mezzo di Gesù Cristo, noi abbiamo avuto la porta aperta alla pace con Dio, e l’amore di Dio si è riversato in noi per mezzo dello Spirito Santo.
Mentre noi siamo molto poco disposti a morire per un giusto, tanto più merito e tanto maggiore è la grandezza di Gesù Cristo che invece è morto per noi, per di più quando eravamo ancora peccatori, senza speranze e nemici di Dio.

Quando Giacobbe ritornò dalla Mesopotamia ove aveva prestato servizio presso Labano, giunto a Sichem aveva «eretto un altare e fatto scavato un pozzo per bere lui con i suoi figli e il suo gregge». Su questo monte incombe il monte Garizim, sede di culto dei Samaritani, discendenti di quella popolazione mista e ostile agli Ebrei costituitasi dopo il crollo della città di Samaria (721 a.C.) attraverso una popolazione eterogenea tra ebrei scampati e coloni assiri che erano stati deportati là.
Per passare dalla Galilea alla Giudea, i giudei preferivano fare un lungo giro piuttosto che attraversare la Samaria. Ecco perché si parla di rapporti non buoni tra Giudei e Samaritani. I Samaritani erano odiati e disprezzati dai Giudei per l’aspra rivalità esistente tra il tempio giudeo di Gerusalemme e quello sul monte Garizim in Samaria, due centri religiosi in antagonismo pur adorando in entrambi lo stesso Dio. Gesù però per la sua missione che non accetta confini, passa ugualmente per quei luoghi e dal colloquio con la samaritana si svela a lei come sorgente di acqua viva che zampilla per la vita eterna.
La donna samaritana si sente accolta come una persona a cui si può chiedere da bere, non importa se samaritana, donna e convivente. La meraviglia di sentirsi accolta, di essere fermata da un rabbì e di parlare del regno (cose entrambe inusuali per una donna) provocano in lei una grande meraviglia, è il primo passo che la apre dapprima all’ascolto e, successivamente, all’essere portatrice presso i suoi del messaggio di Gesù, una evangelizzatrice.
Nella donna samaritana la Chiesa può riconoscere se stessa, in quanto composta in prevalenza da coloro che vengono dal paganesimo, che hanno adorato gli idoli di questo mondo. Ora però “adoriamo in spirito e verità” e abbiamo trovato “l’acqua che zampilla per la vita eterna”, che continuamente disseta l’uomo.



 

 

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