III DOMENICA DI QUARESIMA
La
prima lettura ci presenta uno dei fatti più comuni del deserto: il
popolo sente la fatica della sua libertà e mormora. Nel difficile
cammino verso la libertà Israele, arso dalla sete, tenta Dio, esige
il suo intervento come un diritto e contesta l’operato di Mosè che
sembra il responsabile di un’avventura senza sbocchi.
Dio, che nella tradizione biblica è la fonte dell’acqua viva,
interviene e si dimostra roccia, cioè forza, difesa, sostegno di
Israele. Il popolo rimpiange il passato e rifiuta il futuro,
denunciato come illusorio. Vorrebbe impadronirsi di Dio per
sciogliere in modo miracolistico le proprie difficoltà. Ma Dio si
sottrae a questo tipo di richiesta, tuttavia dà prova di non
abbandonare il suo popolo: gli assicura l’acqua che disseta perché
riconosca in lui il Salvatore ed impari a fidarsi di lui.
La roccia da cui Mosè fa scaturire l’acqua è segno della provvidenza
divina che segue il suo popolo e gli dà vita. Il Dio dell’Esodo
continua a dimostrare potere e volontà di salvare, a dispetto della
diffidenza e della ribellione di coloro che devono essere salvati.
Tentare Dio è provare se è o non è presente. E’ una tentazione che
accompagna la fede.
Nella seconda lettura san Paolo scrive ai Romani ricordando e
riflettendo sulla grandezza dell’opera di Gesù. Infatti, per mezzo
di Gesù Cristo, noi abbiamo avuto la porta aperta alla pace con Dio,
e l’amore di Dio si è riversato in noi per mezzo dello Spirito
Santo.
Mentre noi siamo molto poco disposti a morire per un giusto, tanto
più merito e tanto maggiore è la grandezza di Gesù Cristo che invece
è morto per noi, per di più quando eravamo ancora peccatori, senza
speranze e nemici di Dio.
Quando Giacobbe ritornò dalla Mesopotamia ove aveva prestato
servizio presso Labano, giunto a Sichem aveva «eretto un altare e
fatto scavato un pozzo per bere lui con i suoi figli e il suo
gregge». Su questo monte incombe il monte Garizim, sede di culto dei
Samaritani, discendenti di quella popolazione mista e ostile agli
Ebrei costituitasi dopo il crollo della città di Samaria (721 a.C.)
attraverso una popolazione eterogenea tra ebrei scampati e coloni
assiri che erano stati deportati là.
Per passare dalla Galilea alla Giudea, i giudei preferivano fare un
lungo giro piuttosto che attraversare la Samaria. Ecco perché si
parla di rapporti non buoni tra Giudei e Samaritani. I Samaritani
erano odiati e disprezzati dai Giudei per l’aspra rivalità esistente
tra il tempio giudeo di Gerusalemme e quello sul monte Garizim in
Samaria, due centri religiosi in antagonismo pur adorando in
entrambi lo stesso Dio. Gesù però per la sua missione che non
accetta confini, passa ugualmente per quei luoghi e dal colloquio
con la samaritana si svela a lei come sorgente di acqua viva che
zampilla per la vita eterna.
La donna samaritana si sente accolta come una persona a cui si può
chiedere da bere, non importa se samaritana, donna e convivente. La
meraviglia di sentirsi accolta, di essere fermata da un rabbì e di
parlare del regno (cose entrambe inusuali per una donna) provocano
in lei una grande meraviglia, è il primo passo che la apre dapprima
all’ascolto e, successivamente, all’essere portatrice presso i suoi
del messaggio di Gesù, una evangelizzatrice.
Nella donna samaritana la Chiesa può riconoscere se stessa, in
quanto composta in prevalenza da coloro che vengono dal paganesimo,
che hanno adorato gli idoli di questo mondo. Ora però “adoriamo in
spirito e verità” e abbiamo trovato “l’acqua che zampilla per la
vita eterna”, che continuamente disseta l’uomo.
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