SCHEDE DI LITURGIA

A CURA DI ANTONIO RAIA

 

III DOMENICA DI AVVENTO

 

 

Il tema dominante della terza domenica di Avvento è quello della gioia, che è la caratteristica del cristiano. Questo non significa che tutto ci vada sempre per il meglio: salute, famiglia, soldi, ecc., questa non sarebbe la gioia cristiana, che è invece la consapevolezza che esiste un Padre che ci ama: questa è la nostra gioia, questa è la buona notizia che Gesù è venuto a portarci.
Nella prima lettura, Isaia parla del ritorno dall’esilio e si rivolge a gente sfiduciata per aiutarla a sperare nella salvezza che viene dal Signore. Allora, per facilitare e rendere agevole il ritorno degli Israeliti, anche il deserto fiorirà e si coprirà di una magnifica vegetazione. La gioia del ritorno in patria, di essere salvi, trasfigura la terra e gli uomini saranno felici per sempre. La marcia nel deserto degli esuli ebrei provenienti da Babilonia si trasforma in una processione corale, simile all’ingresso trionfale del primo esodo dall’Egitto o ai pellegrinaggi annuali e gioiosi al tempio di Gerusalemme. Sarà una via “santa” perché porterà fino alla città santa i “redenti”, i liberati dalla schiavitù.
Isaia seguendo la logica del tempo che considerava la guarigione di una malattia fisica come la liberazione da un colpa morale, immagina la futura restaurazione messianica come un intervento di Dio a sollievo degli sfiduciati, dei ciechi, sordi, zoppi e muti.
La seconda lettura è tratta dalla lettera di Giacomo, lettera nota per la sua attenzione ai deboli, agli afflitti, il senso della povertà e la sua diffidenza per le ricchezze, la denuncia degli abusi e dell’ingiustizia sociale.
I destinatari di questa lettera sono le 12 tribù che sono nella diaspora, termine che designava l’insieme dei Giudei soggiornanti fuori della Palestina, cristiani di origine giudaica dispersi nel mondo greco romano e influenzati dai costumi locali. Questa lettera è un vigoroso avvertimento contro un cristianesimo puramente verbale ed un appello ad una fede che non sia solo di parole ma anche di opere coerenti ad essa. È necessario oltre che accogliere la parola, anche metterla in pratica.
In questo brano Giacomo ricorda con forza che i piccoli ed i poveri non sono inferiori ai ricchi. Esorta ad una pazienza fiduciosa come quella dell’agricoltore, a non lamentarsi ma a sopportare. L’esortazione alla pazienza nasce dalla convinzione secondo la quale la seconda venuta di Cristo come giudice avrebbe portato il cambiamento sospirato, eliminando tutte le ingiustizie alle quali andavano soggetti i cristiani.
Giacomo propone come esempio e stimolo la figura dell’agricoltore che attende con pazienza le piogge autunnali e primaverili. Finché non giungono quelle piogge, egli non può fare assolutamente nulla per i lavori della semina. Il contadino dipende da esse e non può far nulla senza di esse; è Dio che lavora e fa crescere il seme. L’altro esempio che Giacomo presenta è preso dalla storia salvifica. I cristiani devono tenere presente che non sono i primi né gli unici a sopportare le difficoltà e le sofferenze. Essi fanno parte di una lunga catena: i profeti, servi immediati di Dio, dovettero sopportare il dolore, la persecuzione e, a volte, la morte. Ora, grazie alla loro pazienza, essi vivono felici.
Dal vangelo secondo Matteo di oggi abbiamo l’elogio di Giovanni Battista, ultimo profeta dell’Antico Testamento, lo spartiacque tra l’Antico e il Nuovo; dopo di lui c’è Gesù e inizia il Nuovo Testamento. La ragione ultima della missione di Giovanni il battezzatore era annunciare “colui che doveva venire”, che era più forte di lui, ed al quale egli non era degno di sciogliere i legacci dei calzari.
Giovanni, incarcerato nella fortezza di Macheronte sul Mar Morto per aver rinfacciato al tetrarca Erode Antipa il suo pubblico scandalo di convivere con Erodiade, sua nipote e cognata, è consapevole della sua prossima morte e si interroga con angoscia se Gesù sia veramente il Messia che lui aveva creduto di riconoscere. Gesù nella sua risposta al Battista indica la via: si confrontino le sue opere con le Scritture e non ci si scandalizzi del suo modo umile di presentarsi. Tutte queste cose erano state annunziate nell’Antico Testamento per i giorni del Messia, ora sono compiute da Gesù; dunque nella persona di Gesù sono giunti i giorni del Messia. Come se il testo non fosse sufficientemente chiaro Gesù aggiunge: “beato colui che non si scandalizza di me”. Perché? Probabilmente per il contrasto fra quello che si sperava, molto più improntato al sensazionale, e quello che si vedeva realizzato nella sua persona. La ragione per scandalizzarsi di Gesù è la sua umiltà, lo scandalo della croce. Gesù si presentò in un modo imprevisto; viveva in mezzo al popolo con bambini (molto poco considerati nella società del tempo), poveri, ammalati; era paziente e pieno di bontà; che Gesù sia l’inviato di Dio è provato dai suoi miracoli, ma è la predilezione per i poveri che rivela la novità della sua scelta messianica.
Segue poi l’elogio che Gesù fa del Battista e, mentre lo dichiara suo precursore, nello stesso tempo dichiara che egli stesso è il Messia

 

 

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