III DOMENICA DI AVVENTO
Il
tema dominante della terza domenica di Avvento è quello della gioia,
che è la caratteristica del cristiano. Questo non significa che
tutto ci vada sempre per il meglio: salute, famiglia, soldi, ecc.,
questa non sarebbe la gioia cristiana, che è invece la
consapevolezza che esiste un Padre che ci ama: questa è la nostra
gioia, questa è la buona notizia che Gesù è venuto a portarci.
Nella prima lettura, Isaia parla del ritorno dall’esilio e si
rivolge a gente sfiduciata per aiutarla a sperare nella salvezza che
viene dal Signore. Allora, per facilitare e rendere agevole il
ritorno degli Israeliti, anche il deserto fiorirà e si coprirà di
una magnifica vegetazione. La gioia del ritorno in patria, di essere
salvi, trasfigura la terra e gli uomini saranno felici per sempre.
La marcia nel deserto degli esuli ebrei provenienti da Babilonia si
trasforma in una processione corale, simile all’ingresso trionfale
del primo esodo dall’Egitto o ai pellegrinaggi annuali e gioiosi al
tempio di Gerusalemme. Sarà una via “santa” perché porterà fino alla
città santa i “redenti”, i liberati dalla schiavitù.
Isaia seguendo la logica del tempo che considerava la guarigione di
una malattia fisica come la liberazione da un colpa morale, immagina
la futura restaurazione messianica come un intervento di Dio a
sollievo degli sfiduciati, dei ciechi, sordi, zoppi e muti.
La seconda lettura è tratta dalla lettera di Giacomo, lettera nota
per la sua attenzione ai deboli, agli afflitti, il senso della
povertà e la sua diffidenza per le ricchezze, la denuncia degli
abusi e dell’ingiustizia sociale.
I destinatari di questa lettera sono le 12 tribù che sono nella
diaspora, termine che designava l’insieme dei Giudei soggiornanti
fuori della Palestina, cristiani di origine giudaica dispersi nel
mondo greco romano e influenzati dai costumi locali. Questa lettera
è un vigoroso avvertimento contro un cristianesimo puramente verbale
ed un appello ad una fede che non sia solo di parole ma anche di
opere coerenti ad essa. È necessario oltre che accogliere la parola,
anche metterla in pratica.
In questo brano Giacomo ricorda con forza che i piccoli ed i poveri
non sono inferiori ai ricchi. Esorta ad una pazienza fiduciosa come
quella dell’agricoltore, a non lamentarsi ma a sopportare.
L’esortazione alla pazienza nasce dalla convinzione secondo la quale
la seconda venuta di Cristo come giudice avrebbe portato il
cambiamento sospirato, eliminando tutte le ingiustizie alle quali
andavano soggetti i cristiani.
Giacomo propone come esempio e stimolo la figura dell’agricoltore
che attende con pazienza le piogge autunnali e primaverili. Finché
non giungono quelle piogge, egli non può fare assolutamente nulla
per i lavori della semina. Il contadino dipende da esse e non può
far nulla senza di esse; è Dio che lavora e fa crescere il seme.
L’altro esempio che Giacomo presenta è preso dalla storia salvifica.
I cristiani devono tenere presente che non sono i primi né gli unici
a sopportare le difficoltà e le sofferenze. Essi fanno parte di una
lunga catena: i profeti, servi immediati di Dio, dovettero
sopportare il dolore, la persecuzione e, a volte, la morte. Ora,
grazie alla loro pazienza, essi vivono felici.
Dal vangelo secondo Matteo di oggi abbiamo l’elogio di Giovanni
Battista, ultimo profeta dell’Antico Testamento, lo spartiacque tra
l’Antico e il Nuovo; dopo di lui c’è Gesù e inizia il Nuovo
Testamento. La ragione ultima della missione di Giovanni il
battezzatore era annunciare “colui che doveva venire”, che era più
forte di lui, ed al quale egli non era degno di sciogliere i legacci
dei calzari.
Giovanni, incarcerato nella fortezza di Macheronte sul Mar Morto per
aver rinfacciato al tetrarca Erode Antipa il suo pubblico scandalo
di convivere con Erodiade, sua nipote e cognata, è consapevole della
sua prossima morte e si interroga con angoscia se Gesù sia veramente
il Messia che lui aveva creduto di riconoscere. Gesù nella sua
risposta al Battista indica la via: si confrontino le sue opere con
le Scritture e non ci si scandalizzi del suo modo umile di
presentarsi. Tutte queste cose erano state annunziate nell’Antico
Testamento per i giorni del Messia, ora sono compiute da Gesù;
dunque nella persona di Gesù sono giunti i giorni del Messia. Come
se il testo non fosse sufficientemente chiaro Gesù aggiunge: “beato
colui che non si scandalizza di me”. Perché? Probabilmente per il
contrasto fra quello che si sperava, molto più improntato al
sensazionale, e quello che si vedeva realizzato nella sua persona.
La ragione per scandalizzarsi di Gesù è la sua umiltà, lo scandalo
della croce. Gesù si presentò in un modo imprevisto; viveva in mezzo
al popolo con bambini (molto poco considerati nella società del
tempo), poveri, ammalati; era paziente e pieno di bontà; che Gesù
sia l’inviato di Dio è provato dai suoi miracoli, ma è la
predilezione per i poveri che rivela la novità della sua scelta
messianica.
Segue poi l’elogio che Gesù fa del Battista e, mentre lo dichiara
suo precursore, nello stesso tempo dichiara che egli stesso è il
Messia
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