I DOMENICA DI AVVENTO
Inizia
oggi, con la prima domenica di Avvento, il nuovo anno liturgico. In
questo periodo il colore dei paramenti sacri è il viola, colore
usato per indicare un tempo di preparazione, di attesa
dell’abbraccio del Signore. “Attendere”, significa infatti “ad -
tendere”, “tendere a…”, indica quindi “una tensione verso”,
“un’attenzione rivolta a…”, un movimento centrifugo dello spirito in
direzione di un altro, di un futuro. Indica un cammino oltre se
stessi, al di là del proprio io, del proprio egoismo e
autosufficienza: è l’attesa della venuta del Signore.
Nella prima lettura, Isaia annuncia un avvenire radioso per Israele,
la città santa diventerà il centro religioso del mondo, ma il popolo
dovrà dimostrare la fedeltà verso Dio, Gerusalemme non sarà
restaurata soltanto per garantire l’avvenire religioso di Israele,
ma tutti i popoli, compresi i pagani, saranno invitati a venirvi per
partecipare all’Alleanza. La storia del popolo eletto tende,
infatti, a raccogliere tutti i popoli sotto la legge dell’unico Dio
bandendo per sempre dall’umanità la guerra. Il brano è una
meravigliosa visione del futuro dove la pace è il risultato
dell’ubbidienza alla legge divina.
Il mondo è avvolto dall’oscurità della guerra e dalla morte, ma ecco
che da un colle si irradia una luce misteriosa e divina. Tutti i
popoli lasciano cadere dalle mani le spade, anzi le trasformano in
falci per le messi e si incamminano da ogni angolo della terra verso
il colle luminoso di Sion. È quasi un pellegrinaggio simile a quello
degli ebrei che marciano verso Gerusalemme, verso l’alto, cioè verso
Dio e la sua Parola. Là su quel monte, in quell’incontro con Dio,
l’umanità abbandona le armi e ritrova un destino di giustizia, di
disarmo, di pace internazionale. La luce del Signore, cioè la sua
Presenza potente e gioiosa, avvolge l’orizzonte universale.
La Lettera ai Romani ci dice che Paolo ha già preso coscienza che la
fine dei tempi, e cioè il Regno di Dio, sarebbe venuta solo al
termine di una lunga storia. Afferma che il battezzato, liberato
dall’influsso del male, vive in un tempo nuovo. Questa nuova
condizione esige anche una condotta diversa; con la mutazione del
cuore l’uomo scopre finalmente il giusto rapporto con il Signore. Se
prima si seguiva la carne e si rimaneva nelle tenebre, ora bisogna
seguire lo Spirito che fa vivere nella luce. L’antitesi luce-tenebre
è una metafora molto comune nell’Antico Testamento e nel giudaismo;
le tenebre sono il simbolo del male, dell’incontinenza, della
debolezza, della mancanza di speranza, dell’immoralità delle opere
malvagie e negative. Il giorno, la luce, simboleggia invece la presa
di coscienza, la possibilità di avanzare e l’inizio di una
situazione che sboccherà nel successo, è l’elemento essenziale per
le opere del bene.
Il cristiano “indossa le armi della luce, si riveste del Signore
Gesù” trasformando la sua esistenza in un segno luminoso di onestà,
di coerenza, di purezza, di limpidezza interiore, di testimonianza.
A lui, che ormai cammina in pieno giorno, le opere delle tenebre,
malvagie e negative che si compiono nella notte, non si addicono
più. Le notti ritorneranno, ma il credente sa di non essere
solitario in questo viaggio della vita. E’ ormai tempo di cambiare
atteggiamento di vita.
Il vangelo secondo Matteo, con il ricordo del diluvio e con la
parabola del ladro, viene a scuoterci dalla nostra insensibilità, ci
esorta a non cadere nell’indifferenza poiché il giudizio arriva
quando meno lo si aspetta e incombe come una minaccia sull’apatico
che si chiude nelle sue sicurezze. Chi vigila sarà preso, chi non è
pronto sarà lasciato. Bisogna dunque “Vegliare”.
Il paragone di Gesù è quello con la generazione di uomini ai tempi
di Noè, i quali vivevano nell’ignoranza e nella spensieratezza
totale degli eventi che incombevano su di essi. Noè invece, con il
suo comportamento traduce perfettamente la condotta dell’uomo di
fede. Egli non aveva alcun indizio per dedurre la catastrofe che si
avvicinava: si fidò unicamente ed esclusivamente della parola di Dio
e portò a compimento quella costruzione assurda in un paese arido,
sopra un monte, lasciandosi guidare solo dall’ordine che aveva
ricevuto da Dio. Al modo di Abramo, egli è dunque padre e modello
dei credenti, il modello per coloro che ripongono la loro fede
incondizionata in Dio.
«E non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e travolse
tutti». Questo passo, non si riferisce al non accorgersi del
diluvio, ma al non rendersi conto della situazione di peccato nella
quale erano completamente immersi, non avevano più il senso del
peccato, il loro vivere era un sopravvivere, perché avevano
dimenticato Dio fino ad escluderlo completamente dalla loro vita.
Questo è anche il grande problema di oggi, o per meglio dire il
dramma di oggi, vivere senza sentire la necessità di Dio, di una
preghiera, di un colloquio con lui, di un riferimento fermo alla sua
presenza. È quello che si chiama “Secolarismo”: vivere come se Dio
non esistesse, vivere un umanesimo che astrae totalmente da Dio, è
il non rendersi conto che Lui c’è.
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