SCHEDE DI LITURGIA

A CURA DI ANTONIO RAIA

 

I DOMENICA DI AVVENTO

 

 

Inizia oggi, con la prima domenica di Avvento, il nuovo anno liturgico. In questo periodo il colore dei paramenti sacri è il viola, colore usato per indicare un tempo di preparazione, di attesa dell’abbraccio del Signore. “Attendere”, significa infatti “ad - tendere”, “tendere a…”, indica quindi “una tensione verso”, “un’attenzione rivolta a…”, un movimento centrifugo dello spirito in direzione di un altro, di un futuro. Indica un cammino oltre se stessi, al di là del proprio io, del proprio egoismo e autosufficienza: è l’attesa della venuta del Signore.

Nella prima lettura, Isaia annuncia un avvenire radioso per Israele, la città santa diventerà il centro religioso del mondo, ma il popolo dovrà dimostrare la fedeltà verso Dio, Gerusalemme non sarà restaurata soltanto per garantire l’avvenire religioso di Israele, ma tutti i popoli, compresi i pagani, saranno invitati a venirvi per partecipare all’Alleanza. La storia del popolo eletto tende, infatti, a raccogliere tutti i popoli sotto la legge dell’unico Dio bandendo per sempre dall’umanità la guerra. Il brano è una meravigliosa visione del futuro dove la pace è il risultato dell’ubbidienza alla legge divina.
Il mondo è avvolto dall’oscurità della guerra e dalla morte, ma ecco che da un colle si irradia una luce misteriosa e divina. Tutti i popoli lasciano cadere dalle mani le spade, anzi le trasformano in falci per le messi e si incamminano da ogni angolo della terra verso il colle luminoso di Sion. È quasi un pellegrinaggio simile a quello degli ebrei che marciano verso Gerusalemme, verso l’alto, cioè verso Dio e la sua Parola. Là su quel monte, in quell’incontro con Dio, l’umanità abbandona le armi e ritrova un destino di giustizia, di disarmo, di pace internazionale. La luce del Signore, cioè la sua Presenza potente e gioiosa, avvolge l’orizzonte universale.

La Lettera ai Romani ci dice che Paolo ha già preso coscienza che la fine dei tempi, e cioè il Regno di Dio, sarebbe venuta solo al termine di una lunga storia. Afferma che il battezzato, liberato dall’influsso del male, vive in un tempo nuovo. Questa nuova condizione esige anche una condotta diversa; con la mutazione del cuore l’uomo scopre finalmente il giusto rapporto con il Signore. Se prima si seguiva la carne e si rimaneva nelle tenebre, ora bisogna seguire lo Spirito che fa vivere nella luce. L’antitesi luce-tenebre è una metafora molto comune nell’Antico Testamento e nel giudaismo; le tenebre sono il simbolo del male, dell’incontinenza, della debolezza, della mancanza di speranza, dell’immoralità delle opere malvagie e negative. Il giorno, la luce, simboleggia invece la presa di coscienza, la possibilità di avanzare e l’inizio di una situazione che sboccherà nel successo, è l’elemento essenziale per le opere del bene.
Il cristiano “indossa le armi della luce, si riveste del Signore Gesù” trasformando la sua esistenza in un segno luminoso di onestà, di coerenza, di purezza, di limpidezza interiore, di testimonianza. A lui, che ormai cammina in pieno giorno, le opere delle tenebre, malvagie e negative che si compiono nella notte, non si addicono più. Le notti ritorneranno, ma il credente sa di non essere solitario in questo viaggio della vita. E’ ormai tempo di cambiare atteggiamento di vita.

Il vangelo secondo Matteo, con il ricordo del diluvio e con la parabola del ladro, viene a scuoterci dalla nostra insensibilità, ci esorta a non cadere nell’indifferenza poiché il giudizio arriva quando meno lo si aspetta e incombe come una minaccia sull’apatico che si chiude nelle sue sicurezze. Chi vigila sarà preso, chi non è pronto sarà lasciato. Bisogna dunque “Vegliare”.
Il paragone di Gesù è quello con la generazione di uomini ai tempi di Noè, i quali vivevano nell’ignoranza e nella spensieratezza totale degli eventi che incombevano su di essi. Noè invece, con il suo comportamento traduce perfettamente la condotta dell’uomo di fede. Egli non aveva alcun indizio per dedurre la catastrofe che si avvicinava: si fidò unicamente ed esclusivamente della parola di Dio e portò a compimento quella costruzione assurda in un paese arido, sopra un monte, lasciandosi guidare solo dall’ordine che aveva ricevuto da Dio. Al modo di Abramo, egli è dunque padre e modello dei credenti, il modello per coloro che ripongono la loro fede incondizionata in Dio.
«E non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e travolse tutti». Questo passo, non si riferisce al non accorgersi del diluvio, ma al non rendersi conto della situazione di peccato nella quale erano completamente immersi, non avevano più il senso del peccato, il loro vivere era un sopravvivere, perché avevano dimenticato Dio fino ad escluderlo completamente dalla loro vita.
Questo è anche il grande problema di oggi, o per meglio dire il dramma di oggi, vivere senza sentire la necessità di Dio, di una preghiera, di un colloquio con lui, di un riferimento fermo alla sua presenza. È quello che si chiama “Secolarismo”: vivere come se Dio non esistesse, vivere un umanesimo che astrae totalmente da Dio, è il non rendersi conto che Lui c’è.
 

 

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