SCHEDE DI LITURGIA

A CURA DI ANTONIO RAIA

 

SANTA FAMIGLIA DI GESU' MARIA E GIUSEPPE

I DOMENICA DOPO NATALE

 

 

Mariti, mogli e figli sono la struttura dalla famiglia e l’impegno morale deve qualificarsi per ognuno di essi con angolature comuni e con differenziazioni specifiche. Per essere santi, e alla santità siamo tutti chiamati, non è, infatti, assolutamente necessario o indispensabile fare miracoli, estraniarsi dal mondo o essere martiri fino al sacrificio della propria vita; lo si può essere semplicemente vivendo la vita ordinaria, di tutti i giorni, ad imitazione di Cristo, o meglio, nel tentativo di imitazione di Cristo. Tutto questo consiste nel portare ogni giorno la propria croce con serenità e fede.

Nella prima lettura di oggi, l’autore sottolinea che l’onorare, riverire, soccorrere, compatire nella vecchiaia, l’essere mossi da rispetto e devozione verso i genitori, è compimento del volere di Dio e ubbidienza al Signore. L’osservanza del comandamento di Dio non solo dà lunga vita, ma è anche espiazione dei peccati e dà sicurezza di essere ascoltati nella preghiera, di avere gioia dai propri figli e di non essere dimenticati da Dio.
Nella famiglia ci deve essere spazio per i genitori, per i vecchi, per i nonni, come pure per gli ammalati e per tutte le persone che la società di oggi ritiene inutili perché non produttive.

Mariti e mogli, genitori e figli, padroni e schiavi, nell’antica società vivevano in un rapporto di superiorità e di sottomissione. Paolo non rovescia la struttura sociale, ma fa notare una reciprocità di doveri facendo appello alla coscienza: la sottomissione dei figli richiede, come contropartita, il rispetto dei genitori verso la prole.
«Voi mogli siate sottomesse ai mariti». In questo verbo non vi è nulla di servile, certamente esso esprime un rapporto di superiorità sia che venga riferito al padrone o al marito, ma in quel tempo era il marito che prendeva le decisioni familiari, sceglieva la residenza, comandava gli schiavi, stabiliva l’educazione dei figli. Si tratta quindi di una superiorità di responsabilità e non giuridica e, tanto meno, di valore: il marito non vale più della moglie. Ciò premesso, possiamo capire meglio questa seconda lettura di oggi e l’imperativo “state sottomesse”.
Non a caso il verbo usato per le mogli è diverso da quello che regola il rapporto genitori-figli e padroni-schiavi, che esprime l’obbedienza. Inoltre la sottomissione richiesta alle mogli non è né cieca, né acritica, né assoluta in quanto l’ampliamento «come conviene nel Signore» pone un limite: se il marito esige cose che non sono secondo giustizia, la sottomissione cessa. Il rapporto mogli – mariti si riequilibra pienamente quando si leggono i doveri dei mariti, una vera e propria novità per quel tempo: «amate le vostre mogli». Il verbo greco usato, è quello dell’agàpe che non indica l’amore-passione, ma l’amore-dono di chi apre il proprio essere all’altro, così da realizzare l’ideale biblico di due persone che formano un solo essere.
Si raccomanda ai mariti di non amareggiare le proprie mogli e quindi ne consegue che la sottomissione ai mariti che amano e che si impegnano a trattare bene le loro mogli, è un dolce legame d’amore. Sorprendente poi è il comandamento rivolto ai “padri”. Il fatto che ci si rivolga ai padri e non ai genitori, ricorda che l’educazione dei figli era un compito dei padri, come già puntualizzato. La forte raccomandazione, anzi, un vero comando, li frena dall’esasperare i figli che sarebbero altrimenti indotti allo scoraggiamento. Anche il rapporto padrone-schiavo deve cambiare. Il cristianesimo non si impegna ad abbattere le strutture, però, entrando in tutta la realtà dell’uomo, quella della sua persona, della società e dell’ambiente familiare, lo trasforma dall’interno.

Il vangelo ci ricorda come la famiglia di Nazaret sia pienamente inserita nella tragedia umana. I suoi membri, nell’ascolto della voce di Dio, vivono la loro sofferenza di profughi e sinistrati. Matteo, per meglio sottolineare che Gesù è il nuovo Mosè, colui che sigillerà la nuova alleanza di Dio con gli uomini, insiste sulla fuga in Egitto. Come Mosè era sfuggito al decreto dei faraoni, Gesù sfugge ora al sanguinario Erode per recarsi in Egitto da dove, secondo la storia e le profezie, partì il nuovo popolo strappato alla schiavitù, della quale l’Egitto è il simbolo. Mosè nell’Esodo esce dall’Egitto e libera il suo popolo dalla schiavitù; Gesù parte dall’Egitto e libera il suo popolo dalla schiavitù del peccato.
In queste vicende ci viene presentato un padre al servizio del piano di Dio su Gesù, Giuseppe, il padre modello della Santa Famiglia, è solo il custode del bambino e, come padre legale, ne è responsabile davanti a Dio e mette la famiglia in salvo.
Secondo gli schemi biblici il sogno non è un vaneggiare dell’inconscio come nella nostra mentalità; nella cultura semitica esso è il luogo di incontro con Dio, è il simbolo delle grandi rivelazioni. E’ il mezzo che Dio usa per parlare a Giuseppe che si dimostra sempre disponibile e premuroso.
Pronta è la risposta di Giuseppe all’interpellanza di Dio, e questo nucleo di persone, perseguitato e misero, che ripercorre le vicende dell’Esodo, riassume in sé, proprio per il legame con Gesù, le vicende di dolore, di sofferenza e di fatiche del popolo di Israele e di tutta l’umanità.


 

 

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