SCHEDE DI LITURGIA

A CURA DI ANTONIO RAIA

 

XXXIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

NOSTRO SIGNORE GESÙ CRISTO RE DELL’UNIVERSO



Questa è l’ultima domenica del tempo ordinario, l’ultima domenica dell’anno liturgico. Domenica prossima inizierà infatti il Tempo di Avvento: il tempo di attesa della venuta del Signore. L’ultima domenica dell’anno liturgico ha sullo sfondo il Cristo crocifisso, la cui regalità non si manifesta in un atto trionfale, ma in una umiliazione, una cocente sconfitta; non si attua attraverso un atto giudiziario supremo, ma attraverso un gesto estremo di perdono.
La prima lettura ci racconta di Davide che diventa re d’Israele. Davide si è fatto una reputazione di guerriero invincibile e le tribù del nord vogliono un capo che le protegga efficacemente e quindi gli chiedono se vuole essere loro re. Davide accetta e inaugura così, il periodo più brillante della storia di Israele.
Nel brano si descrive l’acclamazione regale di Davide ad Ebron, città di Giuda e prima capitale del regno di Davide dopo la lunga lotta contro Saul. La frase fondamentale di questo testo è: “il Signore ti ha detto: tu pascerai il mio popolo Israele, tu sarai capo d’Israele”. Con questo riconoscimento dell’intervento di Dio sull’uomo Davide si siglano un patto istituzionale e un giuramento di mutua lealtà tra il popolo e il suo re. E’ un’adesione che si rivelerà limitata perché Davide, pur essendo la radice della linea messianica, è sempre uomo debole e peccatore. Con il Cristo, invece, l’adesione è salvifica e totalmente liberatrice. L’unificazione delle 12 tribù, l’instaurazione della monarchia davidica e la scelta di Gerusalemme come capitale segnano uno dei momenti più importanti della storia di Israele. Con Davide la conquista è praticamente terminata: il popolo si sente sicuro e può dedicarsi ad altre attività e comincerà di nuovo a mettere in secondo piano l’alleanza con Dio.
La seconda lettura si apre con Paolo che riconosce l’iniziativa della salvezza, descritta come passaggio dalle tenebre al regno del figlio, quale opera del Padre. E’ lui infatti che ci ha resi eredi della promessa. La seconda parte della lettura è un inno entusiastico al primato assoluto di Cristo.
Il motivo di questa lettera è perché nei Colossesi si erano infiltrate influenze religiose orientali che vedevano un sistema di spiriti intermediari fra Dio e la creazione che presiedevano alla vita del cosmo ed ai destini del mondo. Secondo questa filosofia l’energia divina si espandeva per gradi successivi: agli angeli, agli uomini, alla materia, mentre Cristo era posto in qualche punto di questa gerarchia. La signoria di Cristo è in pericolo, si mette in forse l’autorità unica e la posizione suprema di Gesù. Paolo, che prima aveva contemplato la presenza di Cristo nella vita del cristiano, adesso scrive ai Colossesi contemplando il primato di Cristo sul destino del mondo. Cristo domina tutto, sopra gli uomini, sopra le forze cosmiche: egli è l’autore ed il capo dell’universo. Tutto questo ha la sua sorgente ed il suo punto di partenza nella croce di Cristo e nella Pasqua. Cristo è il “principio”, la “primizia” della risurrezione e, per conseguenza, di tutto il nuovo ordine instaurato. Con Cristo comincia la nuova “tappa” che giungerà alla sua pienezza decisiva nell’ora escatologica. Questo avvenimento salvatore appartiene al progetto primitivo della creazione, ed è per questo che Cristo è “generato prima di ogni creatura”. In questo progetto Cristo non è un solitario e isolato, ma è intimamente implicato in tutto il contesto cosmico, che trova in lui, nel suo gesto salvatore di risuscitato, la vera pienezza.
Questo brano ha, quindi, due versanti cristologici: il primo celebra il Cristo in relazione alla creazione , il secondo lo pone invece in relazione con la ri-creazione salvifica e storica da lui compiuta con l’incarnazione. Come la Sapienza divina riempie, armonizza e sostiene nell’essere tutta la realtà, così Cristo è l’anima vivificante della sua Chiesa.
Il vangelo di oggi è un brano della Passione secondo Luca, quando Gesù, in croce, è schernito e messo al rango dei malfattori. Sotto la croce il popolo muto tace, mentre i capi si beffano ironicamente di un Messia che, pretendendo di salvare gli altri, non sa salvare se stesso. Un pover’uomo, però, nella sua sofferenza, scopre con stupore la forza misericordiosa di Gesù e Gesù nel dialogo con lui è già trionfatore, re e salvatore e perciò chiama al suo regno chi confida in lui. E’ l’ultimo atto di amore e di perdono prima dell’agonia.
Anche nei confronti degli avversari più accaniti Gesù dirà parole di perdono: “Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno”.
Gesù, quindi, esercita e manifesta la sua regalità non nella affermazione di un potere dispotico, ma nel servizio di un perdono che tende alla riconciliazione. Gesù volle diventare causa di “maledizione” ( ha assunto su di sé il peccato del mondo) per riportare la giustizia agli uomini. In lui si spezza quella linea di peccato e di maledizione che pendeva sul mondo. “Oggi sarai con me in paradiso”, Gesù risponde come signore della salvezza e nell’ombra della morte la concede al malfattore: una prospettiva d’amore e di perdono.
Luca attesta attraverso questa via l’efficacia del sacrificio di Cristo: la croce di Cristo trasforma il mondo attraverso la conversione e il perdono. Perdono e abbandono fiducioso in Dio sono i due ultimi atti terreni di Gesù. Il destino dell’uomo è sempre nella mani della sua libertà: un ladrone crede, si converte, si salva; uno bestemmia, si dispera e muore.
Cristo morendo, e con lui il ladrone pentito, non ci dà un appuntamento nel regno della morte, ma in quello della vita; egli non è venuto ad annunziarci il Dio dei morti, ma quello dei vivi e la sua morte non è un sigillo definitivo, ma una soglia che ci introduce nel paradiso.
Il Cristo sulla croce, come ultimo atto del suo regno terrestre e come primo gesto del suo regno glorioso, offre perdono e salvezza: un gesto d’amore e di liberazione, sigillo di una vita consacrata al perdono e alla salvezza.
Cristo è crocifisso fuori della mura della città, il luogo destinato ai briganti, agli scomunicati perché non contaminassero il sacro suolo della città. Il termine “paradiso” di origine persiana, letteralmente vuol dire “giardino, luogo di delizie”. Questa immagine evoca la pagina fondamentale con la quale si apre la Sacra Scrittura: il paradiso dell’Eden da cui l’uomo (Adamo) fu espulso e a cui ora, con la guida di Cristo, ritorna. Là l’uomo ritroverà pace e pienezza di vita, armonia e felicità.
Il ladrone non pentito interpella Gesù con :“Cristo, lo insulta con le stesse parole dei sinedriti e dei soldati romani, ma con una formulazione piena di sarcasmo: “non sei tu il Cristo?”.
Il buon ladrone, invece, riconosce Gesù come re: “nel tuo regno” , un titolo politico per una realtà celeste: il regno di Dio. Nella figura del buon ladrone c’è la dimostrazione concreta di quanto è detto nei Vangeli: “Dio dà a tutti il tempo di pentirsi” e in effetti proprio all’ultimo momento, già crocifissi, ai due ladroni è data questa possibilità, ma uno solo la coglie e si salva. “Oggi sarai con me in paradiso”, non è una promessa rimandata ad un giorno futuro fosse anche prossimo, è una promessa subito mantenuta, che si trasforma in una realtà immediata. Oggi vuol dire infatti adesso, subito, ora: non c’è attesa tra la promessa e la sua realizzazione, che inoltre non è passeggera, ma per sempre.
Bisogna scoprire la gioia e il gusto di essere perdonati, riconoscere di essere bisognosi di perdono. Gesù si raggiunge prendendo coscienza di aver sbagliato; ricercando la sua misericordia la riceveremo.
 


 

 

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