XXXIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
NOSTRO SIGNORE GESÙ CRISTO RE DELL’UNIVERSO
Questa
è l’ultima domenica del tempo ordinario, l’ultima domenica dell’anno
liturgico. Domenica prossima inizierà infatti il Tempo di Avvento:
il tempo di attesa della venuta del Signore. L’ultima domenica
dell’anno liturgico ha sullo sfondo il Cristo crocifisso, la cui
regalità non si manifesta in un atto trionfale, ma in una
umiliazione, una cocente sconfitta; non si attua attraverso un atto
giudiziario supremo, ma attraverso un gesto estremo di perdono.
La prima lettura ci racconta di Davide che diventa re d’Israele.
Davide si è fatto una reputazione di guerriero invincibile e le
tribù del nord vogliono un capo che le protegga efficacemente e
quindi gli chiedono se vuole essere loro re. Davide accetta e
inaugura così, il periodo più brillante della storia di Israele.
Nel brano si descrive l’acclamazione regale di Davide ad Ebron,
città di Giuda e prima capitale del regno di Davide dopo la lunga
lotta contro Saul. La frase fondamentale di questo testo è: “il
Signore ti ha detto: tu pascerai il mio popolo Israele, tu sarai
capo d’Israele”. Con questo riconoscimento dell’intervento di Dio
sull’uomo Davide si siglano un patto istituzionale e un giuramento
di mutua lealtà tra il popolo e il suo re. E’ un’adesione che si
rivelerà limitata perché Davide, pur essendo la radice della linea
messianica, è sempre uomo debole e peccatore. Con il Cristo, invece,
l’adesione è salvifica e totalmente liberatrice. L’unificazione
delle 12 tribù, l’instaurazione della monarchia davidica e la scelta
di Gerusalemme come capitale segnano uno dei momenti più importanti
della storia di Israele. Con Davide la conquista è praticamente
terminata: il popolo si sente sicuro e può dedicarsi ad altre
attività e comincerà di nuovo a mettere in secondo piano l’alleanza
con Dio.
La seconda lettura si apre con Paolo che riconosce l’iniziativa
della salvezza, descritta come passaggio dalle tenebre al regno del
figlio, quale opera del Padre. E’ lui infatti che ci ha resi eredi
della promessa. La seconda parte della lettura è un inno
entusiastico al primato assoluto di Cristo.
Il motivo di questa lettera è perché nei Colossesi si erano
infiltrate influenze religiose orientali che vedevano un sistema di
spiriti intermediari fra Dio e la creazione che presiedevano alla
vita del cosmo ed ai destini del mondo. Secondo questa filosofia
l’energia divina si espandeva per gradi successivi: agli angeli,
agli uomini, alla materia, mentre Cristo era posto in qualche punto
di questa gerarchia. La signoria di Cristo è in pericolo, si mette
in forse l’autorità unica e la posizione suprema di Gesù. Paolo, che
prima aveva contemplato la presenza di Cristo nella vita del
cristiano, adesso scrive ai Colossesi contemplando il primato di
Cristo sul destino del mondo. Cristo domina tutto, sopra gli uomini,
sopra le forze cosmiche: egli è l’autore ed il capo dell’universo.
Tutto questo ha la sua sorgente ed il suo punto di partenza nella
croce di Cristo e nella Pasqua. Cristo è il “principio”, la
“primizia” della risurrezione e, per conseguenza, di tutto il nuovo
ordine instaurato. Con Cristo comincia la nuova “tappa” che giungerà
alla sua pienezza decisiva nell’ora escatologica. Questo avvenimento
salvatore appartiene al progetto primitivo della creazione, ed è per
questo che Cristo è “generato prima di ogni creatura”. In questo
progetto Cristo non è un solitario e isolato, ma è intimamente
implicato in tutto il contesto cosmico, che trova in lui, nel suo
gesto salvatore di risuscitato, la vera pienezza.
Questo brano ha, quindi, due versanti cristologici: il primo celebra
il Cristo in relazione alla creazione , il secondo lo pone invece in
relazione con la ri-creazione salvifica e storica da lui compiuta
con l’incarnazione. Come la Sapienza divina riempie, armonizza e
sostiene nell’essere tutta la realtà, così Cristo è l’anima
vivificante della sua Chiesa.
Il vangelo di oggi è un brano della Passione secondo Luca, quando
Gesù, in croce, è schernito e messo al rango dei malfattori. Sotto
la croce il popolo muto tace, mentre i capi si beffano ironicamente
di un Messia che, pretendendo di salvare gli altri, non sa salvare
se stesso. Un pover’uomo, però, nella sua sofferenza, scopre con
stupore la forza misericordiosa di Gesù e Gesù nel dialogo con lui è
già trionfatore, re e salvatore e perciò chiama al suo regno chi
confida in lui. E’ l’ultimo atto di amore e di perdono prima
dell’agonia.
Anche nei confronti degli avversari più accaniti Gesù dirà parole di
perdono: “Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno”.
Gesù, quindi, esercita e manifesta la sua regalità non nella
affermazione di un potere dispotico, ma nel servizio di un perdono
che tende alla riconciliazione. Gesù volle diventare causa di
“maledizione” ( ha assunto su di sé il peccato del mondo) per
riportare la giustizia agli uomini. In lui si spezza quella linea di
peccato e di maledizione che pendeva sul mondo. “Oggi sarai con me
in paradiso”, Gesù risponde come signore della salvezza e nell’ombra
della morte la concede al malfattore: una prospettiva d’amore e di
perdono.
Luca attesta attraverso questa via l’efficacia del sacrificio di
Cristo: la croce di Cristo trasforma il mondo attraverso la
conversione e il perdono. Perdono e abbandono fiducioso in Dio sono
i due ultimi atti terreni di Gesù. Il destino dell’uomo è sempre
nella mani della sua libertà: un ladrone crede, si converte, si
salva; uno bestemmia, si dispera e muore.
Cristo morendo, e con lui il ladrone pentito, non ci dà un
appuntamento nel regno della morte, ma in quello della vita; egli
non è venuto ad annunziarci il Dio dei morti, ma quello dei vivi e
la sua morte non è un sigillo definitivo, ma una soglia che ci
introduce nel paradiso.
Il Cristo sulla croce, come ultimo atto del suo regno terrestre e
come primo gesto del suo regno glorioso, offre perdono e salvezza:
un gesto d’amore e di liberazione, sigillo di una vita consacrata al
perdono e alla salvezza.
Cristo è crocifisso fuori della mura della città, il luogo destinato
ai briganti, agli scomunicati perché non contaminassero il sacro
suolo della città. Il termine “paradiso” di origine persiana,
letteralmente vuol dire “giardino, luogo di delizie”. Questa
immagine evoca la pagina fondamentale con la quale si apre la Sacra
Scrittura: il paradiso dell’Eden da cui l’uomo (Adamo) fu espulso e
a cui ora, con la guida di Cristo, ritorna. Là l’uomo ritroverà pace
e pienezza di vita, armonia e felicità.
Il ladrone non pentito interpella Gesù con :“Cristo, lo insulta con
le stesse parole dei sinedriti e dei soldati romani, ma con una
formulazione piena di sarcasmo: “non sei tu il Cristo?”.
Il buon ladrone, invece, riconosce Gesù come re: “nel tuo regno” ,
un titolo politico per una realtà celeste: il regno di Dio. Nella
figura del buon ladrone c’è la dimostrazione concreta di quanto è
detto nei Vangeli: “Dio dà a tutti il tempo di pentirsi” e in
effetti proprio all’ultimo momento, già crocifissi, ai due ladroni è
data questa possibilità, ma uno solo la coglie e si salva. “Oggi
sarai con me in paradiso”, non è una promessa rimandata ad un giorno
futuro fosse anche prossimo, è una promessa subito mantenuta, che si
trasforma in una realtà immediata. Oggi vuol dire infatti adesso,
subito, ora: non c’è attesa tra la promessa e la sua realizzazione,
che inoltre non è passeggera, ma per sempre.
Bisogna scoprire la gioia e il gusto di essere perdonati,
riconoscere di essere bisognosi di perdono. Gesù si raggiunge
prendendo coscienza di aver sbagliato; ricercando la sua
misericordia la riceveremo.
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