SCHEDE DI LITURGIA

A CURA DI ANTONIO RAIA

 

XXXIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

 

 

La prima lettura di oggi è tratta dal libro del profeta Malachia (= mio messaggero) che svolse il suo ministero dopo la ricostruzione del secondo tempio, cioè dopo il 515 a.C.
La comunità ebraica è rimpatriata da Babilonia, ed ha ricostruito il tempio di Gerusalemme. Dopo circa 50 anni la religione comincia ad essere trascurata, non si pagano più le decime, si sposano le straniere, si divorzia, essa non è più forza di vita. Lo spirito sacerdotale è in decadenza e così pure la morale sociale. I leviti (sacerdoti) svolgevano il loro ufficio con negligenza offrendo a Dio sacrifici impuri; i fedeli trascuravano di dare ai leviti le decime prelevati sui proventi del suolo. Malachia si scaglia con veemenza contro i sacerdoti e lancia un vigoroso appello: il popolo deve continuare a volgersi con fiducia verso il futuro, verrà infatti il giorno del Signore, il giorno del giudizio nel quale, mentre per gli empi ci sarà la condanna, per i giusti sorgerà il sole di giustizia e loro saranno i veri e definitivi vincitori. Per diffusione di violenza e malizia, i buoni erano in preda alla sfiducia e allo scetticismo; si pensava che Dio avesse abbandonato il suo popolo e che era inutile servire il Signore poiché trionfavano i superbi che rimanevano impuniti. Alla reazione dei fedeli scandalizzati dalla felicità degli arroganti, Malachia replica affermando che tutto è scritto nel libro della storia, conservato in attesa del “giorno” per eccellenza, quello del giudizio di Dio, l’atteso momento escatologico. Il “giorno del Signore” è l’evento decisivo e risolutivo della storia umana in cui Dio instaura il suo regno di giustizia e di pace in un mondo rinnovato. Le prospettive attuali che celebrano i ricchi, i potenti, i superbi, saranno totalmente ribaltate e la vera beatitudine sarà destinata a coloro che hanno “timore del mio nome”: i poveri, gli affamati, i sofferenti, i perseguitati.

Nella seconda lettura Paolo combatte contro la falsa predicazione dell’imminente venuta del Signore, la parusia, che aveva creato negli sfaccendati un alibi abbastanza solido per vivere oziosamente alle spalle degli altri: non c’è bisogno di lavorare, bisogna solo attendere la fine. Paolo protesta, egli insegna, con il suo esempio, che il cristiano non mangia gratuitamente il pane, non vive oziosamente. I cristiani devono essere di esempio, e dunque Paolo fa un rigoroso appello all’impegno e al lavoro. Polemizza duramente con quelli che con l’alibi dell’imminente ritorno di Cristo, “vivono una vita disordinata, senza far nulla e sempre in agitazione”.
Paolo vuole che un predicatore, un pastore, possa accettare la condizione di “sostenuto dalla comunità”, ma solo in casi eccezionali. Era consuetudine e dovere dare vitto e alloggio ai predicatori, ma Paolo di questo suo diritto non volle mai approfittare, perché lavorare è un segno di serietà e onestà, inoltre è anche un segno di distinzione rispetto ai molti falsi profeti e predicatori che, approfittando della semplicità e fiducia delle persone, si facevano mantenere.

Nel vangelo di oggi, Luca ci racconta la profezia di Gesù sulla distruzione del tempio e i discepoli vorrebbero sapere quando questi fatti avverranno. Gesù vede nel rifiuto delle autorità giudaiche opposto al suo messaggio, la sorte terribile che attende la città santa, vede in questo rifiuto il segno della rovina della nazione ed annuncia la distruzione del tempio. Egli descrive tale sorte per dare un avvertimento; prevede anche un tempo nuovo e difficile: quello della missione della Chiesa, pieno di difficoltà e lotte. La solidità della Chiesa, in mezzo all’insicurezza del mondo, è una testimonianza e una conseguenza della verità di Gesù Cristo. Resterà sempre la sicurezza della parola di Gesù: “Nemmeno un capello del vostro capo perirà”.
Quello di Luca è un linguaggio del genere apocalittico, dove alcune realtà e i fenomeni naturali come tempeste, terremoti, fuoco, pestilenze e quant’altro, sono ingigantiti per incutere un certo grado di timore. È un linguaggio in uso in quel tempo. Però il Regno di Dio non è in nessuno di quegli avvenimenti imponenti e terrificanti, non è né nel vento impetuoso e gagliardo, né nel terremoto o nel fuoco e nemmeno nella tempesta, il Signore lo incontri nell’esperienza della fraternità, dell’accoglienza, che è l’esperienza della chiesa. Questo perché il regno di Dio è già tra noi, ce lo ha portato Gesù Cristo con la sua passione e morte e ritorna vivo e presente tra noi ad ogni celebrazione eucaristica con la quale Cristo è presente in mezzo a noi che con l’eucaristia partecipiamo di Lui. Ecco così che le ultime parole del vangelo di oggi ci dicono come fare per essere già oggi nel Regno dei cieli e non temere né gli eventi tragici della natura, né il giudizio del giorno del Signore: “con la vostra perseveranza salverete le vostre anime”, è in questo modo che il nostro rapporto d’amicizia con Dio rimarrà sempre inalterato e non avremo timore del giudizio.
Il discorso di Luca serve a dirci questo, che c’è una cosa sola che conta nella vita del cristiano: la venuta di Cristo, un Padre che ci ama, e ci ama a tal punto da cambiare nostra vita e da farla diventare qualcosa di qualitativamente nuovo. Ecco allora che non ci sarà nessuno e nessun segno che potrà essere il segno liberatore. Gesù lo dice in maniera molto chiara: non fidatevi di chi dice: “sono io”, di chi vuole presentarsi come il nuovo messia, il nuovo “dio-con-noi” e non fidatevi di tutti gli allarmi che vengono dati.

 

 

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