SCHEDE DI LITURGIA

A CURA DI ANTONIO RAIA

 

XXXII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

 

 

La prima lettura di oggi è tratta dal secondo libro dei Maccabei, nome con il quale furono designati i discendenti della famiglia del sacerdote Mattatia che lottarono contro l’oppressore dei Giudei; si trattava inizialmente di una guerra civile con forti motivazioni religiose e poi politiche. Giasone di Cirene, autore di questo libro, scrive per i giudei di Alessandria con l’intenzione di risvegliare il loro senso di solidarietà con i fratelli della Palestina, in particolare vuole destare in loro l’interesse per il tempio, centro della vita religiosa secondo la Legge. E’ il primo libro della Bibbia nel quale si afferma esplicitamente la fede nella resurrezione dei giusti. Finora la fede giudaica non era mai penetrata a tal punto nel mistero della retribuzione e dell’al di là.
La sicurezza dei sette fratelli ha la sua origine nella loro fede nel Dio che ha creato dal nulla il mondo e gli uomini e può ugualmente richiamare i giusti alla vita. La risurrezione non è vista come un ritorno alla vita di prima, ma come un cammino in avanti, verso una vita nuova con Dio. Si parla semplicemente di vita eterna.

Il brano della seconda lettura è una preghiera a Dio ed un invito a quei cristiani di perseverare nella fede. E’ anche un preghiera a diffondere la fede verso tutti, anche se poi non sarà accettata da tutti. Ciascuno, infatti, rimane sempre libero di rispondere o di rifiutare. A chi ha fede l’aiuto del Signore non viene mai meno, darà protezione e sicurezza contro il malvagio. Il brano si conclude con l’invito ad imitare Cristo nel suo amore e nella sua pazienza perché Cristo ci attende al di là delle difficoltà provocate dagli avversari della fede.

All’inizio della storia del popolo ebraico si credeva che l’uomo potesse sopravvivere, nell’ambito del popolo eletto, solo per mezzo dei figli. Per questo la legge del levirato (da levir = cognato) ordinava, al fratello di un uomo morto senza figli, di sposarne la vedova imponendo al primogenito il nome del fratello defunto, come fosse figlio di lui, assicurandogli così la discendenza legale e il mantenimento in seno alla famiglia del defunto.
Basandosi su questa legge i sadducei tentano di screditare l’idea della risurrezione e mettere in ridicolo Gesù che la difende. La reazione di Gesù è netta.
Prendendo la vita presente come modello di quella futura si fraintende la realtà della risurrezione che trasforma radicalmente la condizione dell’uomo. Gesù rigetta in modo assoluto ogni rappresentazione che l’immaginazione umana può farsi del Regno di Dio. Il Regno di Dio è di Dio, solo lui lo conosce, noi possiamo solo fare delle ipotesi che però devono essere conformi alla fede in Cristo, nell’orizzonte dei suoi insegnamenti.
Se la morte fosse definitiva essa annienterebbe la promessa di salvezza fatta ai patriarchi, la migliore prova della risurrezione dei corpi è l’alleanza che Dio ha stabilito con i patriarchi. Non potrebbe chiamarsi Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe se questi fossero soltanto dei nomi vuoti. Dio non avrebbe perduto il suo tempo a vivere con uomini condannati a scomparire per sempre. Ammettere che egli possa dimenticare l’amore che ha per noi, permettendo la nostra scomparsa definitiva con la morte fisica, sarebbe negare la stessa esistenza di Dio. “Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe”. Se questo modo di pensare è vero, se ha ancora un senso parlare dei vecchi patriarchi, bisogna supporre che essi siano vivi davanti a Dio.
La prova Teologica di Gesù è una rilettura a partire dal concetto di Santo.
Dio è il tre volte santo, l’incontaminato, il puro. I morti, se non esiste risurrezione sono cadaveri, impuri. Come può allora Dio presentarsi come “Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe” se questi sono cadaveri? Allora, o Dio è impuro, e non è più il Santo (e questa è una bestemmia), o Abramo, Isacco e Giacobbe non sono cadaveri, ma viventi: “Dio non è il Dio dei morti, ma dei vivi”. Coloro che risuscitano non vivono come prima.
Gesù sta dicendo che non importa come sia il paradiso, certamente nel paradiso non c’è più bisogno di fare figli; “marito e moglie” non hanno più significato da questo punto di vista, e questa era l’insidia, l’ipocrita domanda che ponevano i sadducei. Certo riconoscerò la persona alla quale ho voluto bene, le persone che mi sono state a fianco, ma non c’è più bisogno di generare. Non sappiamo nulla di certo né di cosa ci sarà, né di come sarà il nostro dopo; sappiamo però, con certezza, che c’è. La “Buona notizia” del cristiano è la “speranza” che Dio gli ha dato, tutto il resto sono parole, l’essenziale, l’indispensabile, è la fiducia in lui, totale e assoluta.
I legami di questa vita non saranno gli stessi di quella futura, siamo certi però di ritrovare le persone amate e la nostra unione con loro sarà molto più intima e gioiosa di quanto è stata qui e, in aggiunta, sarà illuminata per sempre dalla luce e dalla gioia della presenza di Cristo, per sempre.
Se noi possiamo dire che siamo vivi oltre la morte è perché c’è qualcuno che si è sacrificato per me e assicura tutti i giorni la sua fedeltà alla mia vita, che mi vuole veramente bene, oggi, domani e nel momento della mia morte e anche dopo. Gesù è venuto per il nostro al di là, per darci una vita dopo la morte; non è venuto per cambiare la nostra vita sulla terra, ma per permetterci di continuarla dopo la morte. Non si può quindi negare la risurrezione altrimenti Gesù avrebbe potuto benissimo fare a meno di venire, sarebbe venuto per nulla.
 

 

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