SCHEDE DI LITURGIA

A CURA DI ANTONIO RAIA

 

XXVIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

 

 

La prima lettura di oggi ci presenta la guarigione di Naaman, generale siriano i cui rapporti del suo paese con Gerusalemme non sono buoni. Egli è lebbroso e i medici siriani non riescono a guarirlo. Una schiava gli suggerisce di affidarsi alle cure di un profeta ebreo, egli accetta e si affida al nemico, è disposto ad umiliarsi ed a pagare ma Eliseo gli ordina solo di lavarsi nel Giordano, perché Dio lo si riceve, gratuitamente, non si paga. Naaman passa così dalla guarigione alla fede: egli non riconosce più altro Dio se non il Dio di Israele.
Naaman ha fatto un percorso, da generale dell’esercito siriano è sceso nella sua ricerca della guarigione, dal re al profeta, da questi al suo servo, dai grandi rituali magici e spettacolari al semplice gesto di immersione nel Giordano. Attraverso questa umiliazione e questo atto di obbedienza, lo straniero non è solo guarito dalla lebbra, è anche ringiovanito, ma soprattutto diviene un convertito, raggiunge la salvezza. La guarigione di Naaman passa dunque attraverso la sua umiliazione, egli dal piedistallo della sua dignità di capo dell’esercito siriano si umilia davanti ad un servo nemico. Su questa via di umiliazione Naaman incontra sia la guarigione che la salvezza.

Nella seconda lettura Paolo esorta Timoteo a ricordarsi sempre che Gesù è risuscitato, a comportarsi cioè in modo che sempre il suo essere ed il suo agire ricordino la risurrezione di Cristo e in modo da rendere questa risurrezione presente agli uomini che incontra. Questo è quello che significa essere cristiani, credere in Gesù Cristo, quell’uomo storico e determinato che continua ad essere misteriosamente presente nella comunità dopo la sua risurrezione.
Paolo, imprigionato e dimenticato, sopporta le catene, sicuro che la parola di Dio non sarà incatenata né soffocata in una prigione come è la sua. Egli se ne andrà, ma Cristo resterà sempre nella comunità, presente in modo vivo e sempre rinnovato.
Gli ultimi versetti sono un inno battesimale nel quale viene rivelato come tra Cristo ed il credente vi sia, e debba esservi, comunione di vita e di gloria. Paolo cita questo vecchio inno liturgico, nel quale è ricordato l’elemento più profondo della fede e della speranza di un cristiano: la partecipazione alle vicissitudini stesse di Cristo. Paolo ricorda la sua passione nella prigionia di Roma, una passione che, come quella di Cristo, è offerta per gli altri “perché anch’essi raggiungano la salvezza che è in Gesù Cristo”.

Il Vangelo di Luca ci da un insegnamento che traspare dall’atteggiamento dei dieci lebbrosi guariti. Essi osservano la legge, ubbidiscono alla parola di Gesù perché è compimento della legge, ma si ritengono guariti perché osservanti, praticamente hanno meritato la guarigione. Il decimo lebbroso, al contrario, non obbedisce alla legge che lo obbliga a far verificare ai sacerdoti la salute riacquistata ma torna per ringraziare. La differenza fra queste reazioni illustra ciò che Gesù non cessa di constatare e di denunciare: i Giudei, sicuri dei loro diritti, sono soddisfatti di un legalismo che tranquillizza le loro coscienze. Uno straniero, per di più un eretico samaritano, è disponibile all’appello del Signore, è aperto alla fede e riconosce che tutto è sempre ed esclusivamente dono della bontà di Dio che si rivela in Gesù. Ritorna a lui e riceve la parola di salvezza.
Il lebbroso era, prima di tutto, un emarginato, considerato come un maledetto, la sua malattia era considerata il segno più parlante di una maledizione divina per un peccato gravissimo, non importa se suo o dei suoi genitori; il suo destino non era solo quello di un malato, ma di un isolato, di uno scomunicato di un condannato.
Il samaritano è eterodosso, nemico di Israele, individuo con il quale l’ebreo puro e genuino non deve avere minimamente contatti, ma anche questa volta i samaritani sono da esempio ai giudei loro nemici.
Da questo racconto, scaturisce il ritratto dell’uomo e l’idea fondamentale del brano: la salvezza è offerta a tutti ed in particolare ai meno privilegiati e “predestinati”. Nove lebbrosi, i giudei, accettano il prodigio e continuano il viaggio verso il sacerdote, pronti a rientrare nella vita umana e religiosa di Israele, loro popolo. Uno però torna da Gesù e lo ringrazia per il dono ricevuto: costui è un samaritano che ha trovato in Gesù qualcosa di diverso, decisamente salvatore e per questo è tornato a ringraziarlo e a mettersi al suo servizio. I nove giudei pur avendo ricevuto il miracolo della guarigione, rimasero legati ai vecchi ideali del giudaismo. Il samaritano invece vede il dono di Dio che Cristo gli ha offerto, perciò la verità del miracolo si realizza in un modo pieno e totale solo nella sua persona: “và, la tua fede ti ha salvato”. Quello che era cominciato come una guarigione fisica diviene una “salvezza” definitiva.

 

 

www.parrocchiasantifilippoegiacomo.it