XXVIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
La
prima lettura di oggi ci presenta la guarigione di Naaman, generale
siriano i cui rapporti del suo paese con Gerusalemme non sono buoni.
Egli è lebbroso e i medici siriani non riescono a guarirlo. Una
schiava gli suggerisce di affidarsi alle cure di un profeta ebreo,
egli accetta e si affida al nemico, è disposto ad umiliarsi ed a
pagare ma Eliseo gli ordina solo di lavarsi nel Giordano, perché Dio
lo si riceve, gratuitamente, non si paga. Naaman passa così dalla
guarigione alla fede: egli non riconosce più altro Dio se non il Dio
di Israele.
Naaman ha fatto un percorso, da generale dell’esercito siriano è
sceso nella sua ricerca della guarigione, dal re al profeta, da
questi al suo servo, dai grandi rituali magici e spettacolari al
semplice gesto di immersione nel Giordano. Attraverso questa
umiliazione e questo atto di obbedienza, lo straniero non è solo
guarito dalla lebbra, è anche ringiovanito, ma soprattutto diviene
un convertito, raggiunge la salvezza. La guarigione di Naaman passa
dunque attraverso la sua umiliazione, egli dal piedistallo della sua
dignità di capo dell’esercito siriano si umilia davanti ad un servo
nemico. Su questa via di umiliazione Naaman incontra sia la
guarigione che la salvezza.
Nella seconda lettura Paolo esorta Timoteo a ricordarsi sempre che
Gesù è risuscitato, a comportarsi cioè in modo che sempre il suo
essere ed il suo agire ricordino la risurrezione di Cristo e in modo
da rendere questa risurrezione presente agli uomini che incontra.
Questo è quello che significa essere cristiani, credere in Gesù
Cristo, quell’uomo storico e determinato che continua ad essere
misteriosamente presente nella comunità dopo la sua risurrezione.
Paolo, imprigionato e dimenticato, sopporta le catene, sicuro che la
parola di Dio non sarà incatenata né soffocata in una prigione come
è la sua. Egli se ne andrà, ma Cristo resterà sempre nella comunità,
presente in modo vivo e sempre rinnovato.
Gli ultimi versetti sono un inno battesimale nel quale viene
rivelato come tra Cristo ed il credente vi sia, e debba esservi,
comunione di vita e di gloria. Paolo cita questo vecchio inno
liturgico, nel quale è ricordato l’elemento più profondo della fede
e della speranza di un cristiano: la partecipazione alle
vicissitudini stesse di Cristo. Paolo ricorda la sua passione nella
prigionia di Roma, una passione che, come quella di Cristo, è
offerta per gli altri “perché anch’essi raggiungano la salvezza che
è in Gesù Cristo”.
Il Vangelo di Luca ci da un insegnamento che traspare
dall’atteggiamento dei dieci lebbrosi guariti. Essi osservano la
legge, ubbidiscono alla parola di Gesù perché è compimento della
legge, ma si ritengono guariti perché osservanti, praticamente hanno
meritato la guarigione. Il decimo lebbroso, al contrario, non
obbedisce alla legge che lo obbliga a far verificare ai sacerdoti la
salute riacquistata ma torna per ringraziare. La differenza fra
queste reazioni illustra ciò che Gesù non cessa di constatare e di
denunciare: i Giudei, sicuri dei loro diritti, sono soddisfatti di
un legalismo che tranquillizza le loro coscienze. Uno straniero, per
di più un eretico samaritano, è disponibile all’appello del Signore,
è aperto alla fede e riconosce che tutto è sempre ed esclusivamente
dono della bontà di Dio che si rivela in Gesù. Ritorna a lui e
riceve la parola di salvezza.
Il lebbroso era, prima di tutto, un emarginato, considerato come un
maledetto, la sua malattia era considerata il segno più parlante di
una maledizione divina per un peccato gravissimo, non importa se suo
o dei suoi genitori; il suo destino non era solo quello di un
malato, ma di un isolato, di uno scomunicato di un condannato.
Il samaritano è eterodosso, nemico di Israele, individuo con il
quale l’ebreo puro e genuino non deve avere minimamente contatti, ma
anche questa volta i samaritani sono da esempio ai giudei loro
nemici.
Da questo racconto, scaturisce il ritratto dell’uomo e l’idea
fondamentale del brano: la salvezza è offerta a tutti ed in
particolare ai meno privilegiati e “predestinati”. Nove lebbrosi, i
giudei, accettano il prodigio e continuano il viaggio verso il
sacerdote, pronti a rientrare nella vita umana e religiosa di
Israele, loro popolo. Uno però torna da Gesù e lo ringrazia per il
dono ricevuto: costui è un samaritano che ha trovato in Gesù
qualcosa di diverso, decisamente salvatore e per questo è tornato a
ringraziarlo e a mettersi al suo servizio. I nove giudei pur avendo
ricevuto il miracolo della guarigione, rimasero legati ai vecchi
ideali del giudaismo. Il samaritano invece vede il dono di Dio che
Cristo gli ha offerto, perciò la verità del miracolo si realizza in
un modo pieno e totale solo nella sua persona: “và, la tua fede ti
ha salvato”. Quello che era cominciato come una guarigione fisica
diviene una “salvezza” definitiva.
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