SCHEDE DI LITURGIA

A CURA DI ANTONIO RAIA

 

XXV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

 

a prima lettura di oggi è tratta dal libro del profeta Amos, un pastore e intagliatore di sicomori. Dopo la sua chiamata Amos va a Nord, nel centro religioso di Betel e di Samaria a denunciare l’ingiustizia, la corruzione delle classi influenti, la superbia dei ricchi, l’ostentazione del lusso a dispetto di poveri. L’ambizione dei potenti è insaziabile, fino al punto di non celebrare più le feste dedicate a Yahweh, le quali diventano un peso gravoso che spezza il ritmo frenetico del loro disonesto commercio. L’unica loro avidità e preoccupazione è il denaro.

Amos, profeta della giustizia sociale, si scaglia violentemente contro questi uomini che si arricchiscono con la frode e sfruttano sistematicamente i poveri: diminuiscono le misure, aumentano i prezzi e falsificano i pesi, speculano sui cambi e quindi truffano sistematicamente il prossimo. Su tutto poi domina la tragica constatazione che i poveri sul mercato di Samaria sono oggetto di trattativa economica per la riduzione in schiavitù e il loro prezzo è uguale a quello di un paio di sandali. Amos contesta con forza questa situazione e minaccia il castigo di Dio. L’attacco è vigoroso e colpisce chi “calpesta il povero e stermina gli umili del paese.

 

Nella seconda lettura Paolo raccomanda di includere tutti gli uomini nella preghiera, anche i potenti, coloro che hanno autorità. Fondamento di questo comando è la volontà salvifica universale di Dio, quale ci è stata rivelata nell’opera dell’unico mediatore: Gesù, che ha dato la sua vita in riscatto non per alcuni, ma per tutti. La missione di Paolo e della Chiesa è di annunciare questo. Paolo descrive infine la preghiera che deve essere fatta con il cuore pieno di carità, con mani pure nel senso che non si ha la vera pietà quando si prega conservando nel cuore sentimenti di odio verso il prossimo. La preghiera che si leva a Dio nelle comunità cristiane è innanzitutto universale come universale è la Chiesa. Essa deve, quindi, rispondere alla volontà di salvezza di Dio, “il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati” e alla mediazione salvifica del Cristo “che ha dato se stesso in riscatto per tutti”. La Chiesa, quando prega per le autorità di questo mondo, ricorda loro che non si devono attribuire nessun prestigio o gloria personale, poiché non fanno che esercitare l’autorità come un servizio, i cui limiti sono fissati da Dio stesso nella cornice del progetto salvifico del mondo.

 

La parabola dell’amministratore ladro, fin dalle origini della tradizione evangelica, appare difficile e molti vi leggono un’approvazione della disonestà da parte di Gesù. Nulla di tutto ciò: Gesù propone infatti l’abilità del truffatore, non la lode al furto. Il fattore viene infatti lodato dal padrone per l’accortezza con la quale si preoccupa del suo avvenire finché è ancora in tempo per farlo. Nella sua scaltrezza ed in null’altro sta l’esemplarità del suo modo di agire. E’ questo il fatto che importa, non l’ingiustizia del fattore. I cristiani dovrebbero avere altrettanta abilità nella conquista dei beni spirituali di quanta ne usano per accumulare ricchezze. L’atteggiamento verso il denaro è una prova della fedeltà del cristiano. Colui che ricerca i beni che durano, che valgono realmente, si stacca da quelli che passano; sa fare l’elemosina, soccorre i poveri, guadagna ed amministra i suoi beni con onestà, corregge con il buon uso una ricchezza ingiusta. Il vero bene è il dono di Dio. Così dunque le preoccupazioni del guadagno e della fortuna non possono essere al primo posto nella vita del cristiano, altrimenti il denaro diverrebbe per questi un idolo. L’uomo non è proprietario dei suoi beni, né della sua vita, ma solo l’amministratore, di tutto ciò che gli è stato donato e di questo dovrà rendere conto. Il denaro deve essere un mezzo per aiutare i bisognosi, i poveri, gli indigenti; come buoni amministratori dobbiamo usare questo deposito secondo la volontà del suo padrone, cioè come un mezzo d’amore e di servizio.

 

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