SCHEDE DI LITURGIA

A CURA DI ANTONIO RAIA

 

XXI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

 

 

La liturgia di questa domenica è un canto all’universalità della salvezza, all’infinità dell’amore di Dio che non conosce barriere razziali, politiche, sociali, economiche e alla misteriosa ricchezza nascosta nel cuore di ogni uomo giusto. Il regno è simboleggiato da un banchetto, un luogo di incontro e di comunione, come spesso si legge nelle pagine bibliche. Ci è offerto, siamo tutti invitati, è un dono gratuito ma deve essere accolto.

Nella prima lettura ascoltiamo Isaia che tenta di risvegliare il coraggio descrivendo l’avvenire glorioso del popolo eletto. L’avvento messianico segnerà la riunione di tutti i popoli nel tempio del vero Dio e l’esclusivismo giudaico sarà totalmente superato, infatti la partecipazione al culto ed al sacerdozio, non è più riservata ad una casta ebraica privilegiata, ma è aperta a tutte le genti. Il segno che il Signore invierà e nel quale tutti gli uomini potranno riconoscersi è Gesù stesso: tutti gli uomini si riuniranno attorno a lui. Israele non si sentirà mai più solo, avrà con sé tutte le nazioni gentili definitivamente unite nella pace che procede dalla gloria di Dio, dalla sua visibile manifestazione a tutti gli uomini, dalla sua rivelazione in Gesù. Nella nuova comunità dei figli di Dio, nel nuovo Israele, tutte le differenze di razza, di colore, di ceto e di lingua sono scomparse.
Di questo popolo faranno parte anche persone che “non hanno udito parlare di me e non hanno visto la mia gloria”, eppure la loro esistenza giusta li rende già popolo di Dio. Nasce allora un movimento convergente da tutti i confini della terra verso Gerusalemme. Ed ecco la sorpresa: anche tra i pagani Dio sceglierà sacerdoti e leviti, abolendo ogni privilegio esclusivo di un popolo e di una tribù e ogni formalismo sacrale. Si tratta di un cambiamento radicale della prassi corrente in Israele, dove il ministero sacerdotale era riservato ai discendenti di Aronne. Il profeta sottolinea così che i pagani entreranno a far parte a pieno titolo del popolo eletto.

Dio corregge colui che ama e mette alla prova colui che riconosce come figlio, l’idea di questa seconda lettura è che Dio ci tratta sempre come figli. E’ normale sentire tristezza per le correzioni, ma questo è l’agire provvidenziale di Dio per noi. La correzione, la prova, attesta la nostra filiazione nei confronti di un padre che ci ama anche secondo criteri che a noi possono sembrare inaccettabili ed assurdi. Anche il Figlio per eccellenza, Cristo, è divenuto causa di salvezza passando attraverso l’oscurità della prova. Il dolore, la sofferenza, sono prove che siamo figli di Dio.

Il vangelo di Luca inizia con una domanda rivolta a Gesù da uno sconosciuto: “Signore, sono pochi quelli che si salvano?”. Questa domanda, è il nocciolo del brano di oggi. Questo problema era posto anche dai rabbini che ribadivano l’esiguità del numero di coloro che avrebbero conquistato il Regno. La risposta di Gesù non è per loro molto confortante. Nessuno infatti deve considerare la propria appartenenza ad un mondo religioso come facile assicurazione di salvezza. Questa è una grazia che va accolta. Le pratiche religiose giudaiche non garantiscono nulla, anzi, la sicurezza di sé porta distanti da Dio. Ciò che conta è la buona fede, la mancanza di una propria sicurezza, che porta all’incessante ricerca della verità ed alla gioia del cuore.
Gesù illustra la sua tesi con una parabola: la porta che conduce alla sala da pranzo è stretta e molta folla vi si accalca. Si avanzano soprattutto quelli che sono convinti di essere per eccellenza “cristiani” e amici di Cristo perché continuamente hanno gridato e segnalato agli altri questa loro identità. Ma ecco la risposta glaciale del Cristo ripetuta per ben due volte: “Non non so di dove siete”. Non basta aver “mangiato e bevuto” l’eucaristia, è la scelta di vita e di fede autentica che fa spalancare le porte della festa. Là entreranno “gli ultimi”, i “lontani” giusti, i veri operatori di pace e di giustizia, i veri fedeli.
Coloro che hanno mangiato con Gesù, che lo hanno chiamato loro Signore e che, tuttavia, gli sono estranei, sono in primo luogo i giudei che non si sono convertiti ascoltando la sua parola. Ma sono estranei a lui anche i cristiani che hanno mangiato con Gesù (eucaristia), hanno ascoltato la sua parola e lo hanno chiamato Signore nella preghiera, ma hanno però praticato la “ingiustizia”; non hanno messo in pratica la parola di Gesù; non hanno ricevuto il messaggio del suo regno e quindi restano fuori.
Il verbo che usa Gesù è “sforzarsi” di entrare nella porta, è il verbo della lotta. Questo è il cammino da fare per passare attraverso la porta stretta, perché il cammino non è immediato né facile, bensì molto impegnativo. Passare attraverso la porta stretta significa togliere quello che ci appesantisce, fare un discernimento, una scelta nella nostra vita e abbandonare tutto ciò che ci impedisce di oltrepassare quella porta.
Ecco allora che il cammino è ancora quello della fede che va rinnovata ogni giorno, cioè un cammino che vuole entrare nella nostra vita di tutti i giorni e vuole modellarla, altrimenti rischiamo di essere persone che mangiano alla sua mensa, che pregano tanto, ma che poi Gesù non sa da dove veniamo, non sa chi siamo perché lui non lo abbiamo proprio incontrato.
 

 

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