SCHEDE DI LITURGIA

A CURA DI ANTONIO RAIA

 

XXIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

 

Nella prima lettura vediamo che gli israeliti sono minacciati di morte per essersi costruita un’immagine di Dio. La mediazione di Mosè riafferma che il popolo è stato tratto fuori dall’Egitto da Dio, e non da lui, che questo è il “suo” popolo; inoltre la parola data ai patriarchi impegna Dio riguardo ai loro discendenti. In definitiva, Dio non si mostrerebbe glorioso, se non si mostrasse lineare e costante nella sua parola e nella sua azione. La figura di Mosè mediatore, che ottiene la salvezza, prefigura quella di Cristo che, resosi solidale con l’uomo, intercede per noi presso il Padre. La risposta di Dio a questa intercessione riafferma la sua fedeltà nella parola e nell’azione, ed egli riprende a chiamare “suo popolo” quel popolo infedele.

 

Le due lettere a Timoteo, così come quella a Tito, sono indirizzate a uomini che hanno una responsabilità nel governo, nell’insegnamento, e nella condotta della comunità. Poiché danno direttive, consigli ed ammonimenti ai Padri delle Chiese, utili per il buon governo di queste, vengono chiamate lettere pastorali.

Timoteo è vescovo di Efeso, ed è molto affezionato a Paolo che considera come suo padre spirituale e del quale fu stretto collaboratore. Nel brano di oggi Paolo ricorda l’esperienza fondamentale che ha sconvolto la sua esistenza. Dominato da uno spirito legalista, convinto della propria giustizia, aveva perseguitato i cristiani in nome di Dio. Ma un giorno scoprì il carattere gratuito della misericordia divina e nello stesso tempo divenne consapevole del proprio peccato. Trasformato interiormente si mise al servizio del vangelo. Paolo si presenta come peccatore redento dal gesto gratuito di Cristo; solo per la “grazia” di Gesù poté avvenire quel sorprendente cambiamento nella sua vita. Paolo ricorda il suo passato di “figlio prodigo”, “bestemmiatore, persecutore violento”. Ma il “prima” è stato cancellato, la misericordia di Dio e la grazia di Cristo hanno aperto un “poi”, un orizzonte di luce e di speranza. Paolo è l’esempio classico dell’uomo peccatore salvato unicamente per un intervento gratuito di Dio, senza alcun merito personale né barlume di pentimento o desiderio di cambiare la propria situazione. Alla base di tutto c’è il grande asserto del v. 15: “Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori”.

 

Il vangelo secondo Luca ci propone tre parabole che hanno una stessa conclusione: il cantico di gioia in cielo per il peccatore che si converte.

Le prime due parabole: quella della pecora e quella della moneta smarrita, descrivono la sollecitudine di Dio che va in cerca personalmente anche del singolo, se questi si perde. La terza parabola, quella del Padre misericordioso che, al di là di ogni speranza umana, conserva per ciascun figlio l’affetto indefettibile di un padre per il figlio: lo attende con speranza incrollabile e lo accoglie sempre con gioia.

Qui Luca contrappone l’atteggiamento del peccatore che prende coscienza della sua miseria e si apre con gioia alla scoperta dell’amore gratuito di un Dio misericordioso, e quello delle persone autosufficienti, il figlio maggiore, che si gloriano delle loro opere buone, ma che per questo sono condannate a non capire il vero volto di Dio. Il Padre misericordioso invece, non rimprovera nulla al figlio né si fa spiegare le ragioni del ritorno, ma gli offre amore e casa.

Altro aspetto fondamentale della parabola, oltre l’amore del padre che perdona, è la reazione del figlio “buono” della casa. In questo vediamo Israele, i giusti di Israele che si dolgono che il Padre accolga i peccatori e offra loro il suo banchetto. Pensavano che la casa fosse loro e credevano di poter organizzare a modo loro le leggi del bene e del male. Ora hanno scoperto che la legge del Padre è diversa e si sentono degradati, contrariati e mal disposti; è l’indivia per chi è perdonato.

 

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