XXII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
La liturgia di questa domenica denuncia la regola dell’arrivismo e
dell’interesse e parla di virtù sconosciute: l’umiltà che sceglie
l’ultimo posto, l’amore gratuito che sceglie gli ultimi.
Nella prima lettura l’autore esprime in termini molto concreti la
condanna di ogni forma di orgoglio ed esalta l’umiltà, argomento
centrale di questa lettura. La vera grandezza si rivela nell’umiltà
dell’uomo che umilmente si apre alla sapienza. Infatti, quando
l’uomo comincia a riconoscere i propri limiti, l’incertezza e
l’insicurezza delle proprie convinzioni, l’insuccesso delle proprie
fatiche, allora è disposto a ricevere la sapienza che Dio vuole
rivelargli. Chi è umile sa apprezzare anche gli altri, chi invece si
stima autosufficiente resta chiuso in se stesso e non si trova bene
con nessuno. Solo l’umile arriva ad avere un’idea, anche se molto
imperfetta, della distanza che passa tra la sua piccolezza umana e
la grandezza di Dio. A differenza dell’orgoglioso che coltiva
sentimenti di alterigia, di superbia e di autosufficienza, l’umile
si mostra aperto e desideroso di acquistare la vera sapienza.
L’atteggiamento dell’umile, che sa di porsi al livello di tutti gli
uomini, non è solo una virtù umana, è anche una dote autenticamente
religiosa: “troverai grazia davanti al Signore”.
Nel ricordo di Israele l’alleanza del Sinai è incorniciata in uno
spettacolo affascinante ed insieme anche a tal punto terrificante
che, chi ne avesse fatta l’esperienza, sperava che per lui non si
ripetesse. L’antico popolo di Dio si trovava su un monte terreno,
tangibile e palpabile, sebbene gli fosse proibito di toccarlo. In
quel momento avvenivano le manifestazioni terribili e spaventose
della natura: il fuoco, il turbine, l’oscurità e la tempesta. Al
centro di questo scenario terrificante, la voce della tromba, la
voce di Dio. Quella antica esperienza di Dio fu dominata dal
terrore. Come poteva l’uomo trovarsi a suo agio di fronte a questa
esperienza opprimente di Dio? La risposta giudaica fu: Dio aveva
dato la legge sul Sinai; osservala e non temerai il giudizio di Dio.
Ma la paura rimaneva.
In luogo della risposta giudaica l’autore presenta come ideale la
risposta cristiana: noi non siamo sul monte santo, il Sinai, ma sul
monte Sion, la città del Dio vivente, la Gerusalemme celeste, uniti
a Dio, alle miriadi di angeli, all’assemblea dei primogeniti, agli
spiriti di questi perfetti. Il monte sul quale si trovano i
cristiani non è un monte inospitale, ma il monte Sion, il luogo
della salvezza, non è un monte terrificante, ma perfettamente
abitabile, la città di Gerusalemme, costruita dal Dio vivo.
Fra gli abitanti del cielo figurano tutti coloro che, pur vivendo
ancora sulla terra, sono iscritti nel libro dei giusti, tutti i
membri della comunità cristiana che, grazie al Figlio, hanno
raggiunto la dignità di figli primogeniti di Dio. Sono presenti
anche “gli spiriti dei giusti perfetti” cioè tutti i giusti
dell’Antico Testamento, i personaggi esemplari per la loro fede. Il
cristiano può giungere fino a questo luogo meraviglioso perché ha
Gesù, il mediatore della nuova alleanza. Il Sinai sul quale fu data
la legge è stato superato e sostituito.
Nel brano di Luca di oggi Gesù dà lezioni di umiltà e di carità.
Egli accetta un invito a pranzo nel giorno di sabato presso uno dei
capi dei farisei. Gli invitati sono persone convinte di avere
diritto ai posti d’onore e Gesù racconta loro una parabola che va a
colpire con grande forza la vanità di chi vuole primeggiare, e lo fa
perché sa che Dio non si comporta in quel modo. Gesù raccomanda di
accogliere gli ultimi e non i primi, perché è così che Dio desidera;
ed anche perché gli ultimi, i bisognosi, quelli che non hanno nulla
da offrire, possono solo ricevere e Dio si offre a loro, ad essi si
rivolge per servirli. Nella parabola dell’invito al banchetto, per
tutti, a qualunque grado della gerarchia sociale si trovino,
scegliere l’ultimo posto significa usare il proprio posto per il
servizio degli ultimi e non per il proprio dominio su di loro.
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