SCHEDE DI LITURGIA

A CURA DI ANTONIO RAIA

 

XVII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

 

Il tema di questa XVII domenica è la preghiera. Nella sua definizione più universale e condivisa da ogni religione, è dialogo con Dio. Però mettere l’uomo in dialogo con Dio può essere un rischio. L’uomo nella preghiera può ridurre Dio a un suo bene di consumo, a un facile rimedio alle proprie insufficienze e alle proprie pigrizie. E può ridurre se stesso a un essere che scarica le proprie responsabilità su un altro.

In Israele la preghiera è legata essenzialmente alla fede. Una libera risposta al Dio che si rivela e che parla, un’azione di grazie per i grandi eventi che Dio compie per il suo popolo. La preghiera è perciò prima risposta che domanda.

 

Nella prima lettura vediamo che il Signore non ha più segreti per i suoi amici, si rivela completamente e l’uomo capisce a sua volta di potergli chiedere molto.

Per la prima volta nella Bibbia la giustizia divina è messa in discussione. Il dialogo di Abramo con il Signore è un episodio che mette in luce il potere di intercessione delle preghiere dei buoni presso Dio, infatti, l’intercessione di Abramo per la città svolge il tema del giusto che salva il peccatore. La teologia cristiana attesta che tale concetto ha trovato, nel sacrificio di Cristo, la sua realizzazione più perfetta.

Abramo si attiene a due principi: la giustizia di Dio e la solidarietà dei giusti con i peccatori. Se Dio distrugge la città ed in essa vi sono uomini giusti, la giustizia di Dio sarebbe ancora giustizia a loro riguardo? Abramo, con un linguaggio coraggioso, si pone davanti a Dio per cercare la benedizione in favore di una umanità che, con il suo peccato, è in condizione di essere maledetta. la preghiera di Abramo si ferma a “dieci” giusti perché questo numero, nella concezione degli antichi, indica il più piccolo dei gruppi. Nella tradizione giudaica dieci è il numero minimo di uomini richiesto per poter celebrare la preghiera liturgica.

Il risultato che ottiene è inaspettato: l’umanità è peccatrice nella sua totalità, non c’è neppure un giusto. Dio stesso, per accettare la proposta di Abramo, dovrà inviare all’umanità il vero giusto: Gesù.

 

La lettura di S. Paolo è un testo fondamentale per la teologia del battesimo visto come nostra partecipazione alla morte e alla risurrezione del Cristo. La comunità che ha fatto l’esperienza della morte a causa del peccato, ora fa l’esperienza della vita, qualificata soprattutto come remissione della colpa. Cristo con la sua morte in croce ha liberato gli uomini dal peccato e da altre forme di schiavitù.

Il battesimo,  per chi crede, rappresenta la sepoltura e la risurrezione del credente, a somiglianza della sepoltura e risurrezione di Cristo. Il battesimo quindi, donandoci la vita stessa di Cristo, ci libera dal destino di dannazione che caratterizzava la nostra vita. Ma il battesimo ci libera anche dal legalismo, dall’osservanza di quella legge giudaica fatta di comandamenti, riti e norme a volte tiranniche, che obbligava senza dare la forza di osservarli, diventando così solo strumento di accusa e che poteva perciò solo aggravare le colpe. Questi obblighi sono stati inchiodati da Cristo sulla croce e cioè annullati: “il documento scritto contro di noi” che Cristo annulla e “ha tolto di mezzo inchiodandolo alla croce”: è la legge mosaica con tutti i suoi precetti. Paradossalmente, ciò che è stato inchiodato in croce, è questo documento scritto che reca le prove di accusa contro gli uomini. Distrutto il documento, sono distrutte anche le prove di accusa.

 

Nel brano evangelico, alla domanda di un discepolo: “insegnaci a pregare”, Gesù indica una preghiera che prima di tutto è una professione di fede. In essa il cristiano chiede a Dio di realizzare in terra il suo Regno ed implicitamente che gli uomini non vi oppongano ostacoli. Chiede inoltre il pane di ogni giorno, il perdono e la forza nelle tentazioni.

Diversamente da Matteo che usa la forma più giudaizzante di “Padre nostro”, Luca ha solo “Padre”, traduzione dell’originale aramaico usato da Gesù, Abbà, “caro padre, papà”. Si scopre così un Dio vicinissimo ed umano, in un rapporto assolutamente nuovo ed inedito. Qui vediamo chi era veramente il Gesù storico: l’uomo che aveva il potere di rivolgersi a Dio come Abbà e che rendeva partecipi del Regno peccatori e pubblicani, autorizzandoli a ripetere quest’unica parola: “Abbà, caro papà!”

“Padre” esprime parentela con Dio non solamente come nostro Creatore, ma come nostro Padre.

Le due prime petizioni:  “sia santificato il tuo nome; venga il tuo regno”, implorano insieme la manifestazione di Dio nella storia: Dio rivela la santità del suo nome appunto nella venuta del suo regno. Nella prima domanda si chiede che Dio sia adorato da tutti gli uomini, e glorificato, da tutte le sue creature. La seconda domanda si riferisce primariamente alla sua manifestazione, per mezzo dell'effusione dello Spirito Santo nel giorno di Pentecoste; ma essa è anche una preghiera affinchè il Regno venga, avanzi attraverso l’annuncio del Vangelo e abbracci tutti gli uomini di tutti i popoli, lingue, tribù e nazioni e assumi, nella seconda venuta di Cristo, la finale ed eterna forma gloriosa.

La terza domanda: “dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano”, cioè l’alimento necessario a sostenere la nostra vita spirituale e materiale; e Gesù ci insegna a pregare Dio, nella sua bontà infinita, di concedercelo ogni giorno.

La quarta domanda è relativa al maggiore e più urgente dei nostri bisogni, cioè al perdono dei peccati. In questa preghiera supplichiamo Dio di dimenticare le offese che gli abbiamo recate con i nostri peccati e di cancellare i nostri debiti.

“Anche noi infatti perdoniamo a ogni nostro debitore”; non possiamo domandare con fede il perdono dei nostri peccati se non siamo disposti a perdonare ai nostri simili le loro offese. Questa domanda si riferisce al perdono giornaliero, come la precedente si riferisce al pane quotidiano.

“E non abbandonarci alla tentazione”. Questa domanda segue quella che precede; infatti il cristiano perdonato, sa che la lotta con il male non è finita e consapevole della propria debolezza sente il bisogno di essere liberato dalla tentazione.

Il vangelo prosegue con la parabola dell’insistenza, ambientata  in Palestina dove la famiglia, numerosa, è coricata in una unica stanza, la porta assicurata all’interno con una pesante sbarra di legno e manca la luce. Svegliare un vicino causava quindi grande disturbo; ma l’insistenza fa cedere.

Insistenza è un concetto che noi abbiamo dimenticato in quest’epoca dove bisogna avere “tutto e subito”, nel senso che o la preghiera funziona e mi dà subito il risultato che voglio, oppure non serve a nulla. Ma oggi Luca ci insegna che bisogna pregare con insistenza e sempre, infatti, anche se contro voglia l’uomo cede all’insistenza e allora molto meglio farà Dio che è la misericordia stessa e sicuramente cederà all’insistente richiesta di chi prega, qualora essa sia giustificata .

 

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