SCHEDE DI LITURGIA A CURA DI ANTONIO RAIA |
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XVIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
Il tema di questa domenica sono le sicurezze, uno dei bisogni fondamentali dell’uomo che ricerca in modo ossessivo come fondamento stabile su cui poggiare la propria esistenza. Purtroppo le cose e il danaro sono una falsa sicurezza, perché si finisce per essere posseduti da esse. L’unico fondamento sicuro della nostra esistenza è Dio, in lui tutto acquista un significato diverso, anche l’uso dei soldi, che non saranno più strumento di divisione, ma di comunione. L’uomo non le tiene egoisticamente per sé, ma le trasforma in segno d’amore.
Nella prima lettura, Qohelet espone la sua visione della vita che non ha alcuno scopo. Non è felice, non ha durata, tutto è vanità; nel testo incombono il senso irrequieto e doloroso della caducità della vita e della sue incolmabili delusioni. Il testo però fa riflettere sulla condizione dell’uomo, infatti ci ricorda la transitorietà delle cose terrene, ne fa percepire il limite e, invitando al distacco da esse, prepara la ricerca della felicità in una direzione più spirituale. Di fronte alla morte tutti i progetti svaniscono ed è insensato di riporre in essi la speranza della felicità. Sembra anche una grossa ingiustizia il fatto che altri godranno dei frutti del lavoro intelligente, costante ed assiduo del predecessore. Tutto è quindi vanità o, più esattamente, completa assurdità. La fatica, lo sforzo ed il dolore non sono proporzionati al risultato che si ottiene perché non arrivano mai a soddisfare le aspirazione dell’uomo che non arriva mai alla meta finale. Quindi anche la ricchezza e il lavoro sono vacuità e assurdo, come è assurdo che di tutto ciò goda chi non ha fatto nulla. Qoèlet è un Sapiente, ma critica la sapienza umana. È un uomo che non affida il suo cuore a ciò che passa. È certamente un uomo disincantato sul mondo perché libero: apprezza i beni in quanto beni, non però come fine ultimo. Nella tradizione cristiana l’affermazione di Qohelet sulla vanità è stata letta come un invito pressante al distacco dai beni terreni.
Nella seconda lettura, Paolo ci dice che il cristiano deve essere costantemente proiettato verso i valori superiori, per i quali Cristo è assiso alla destra del Padre. Il battesimo ci fa partecipi della Pasqua, come ci ha fatto partecipi della morte di Cristo. Perciò anche noi dobbiamo trascendere l’orizzonte della cose di quaggiù, delle realtà dell’uomo vecchio e pensare a quelle di lassù dove è il Cristo. Paolo ci propone una duplice enumerazione di vizi che devono essere eliminati. La prima serie comprende peccati che si commettono nell’ambito individuale e suppongono la soddisfazione di un piacere. A questi peccati di tipo sessuale egli aggiunge la “cupidigia”, vizio che insieme a quelli sessuali, era largamente comune fra i pagani. Questa “avarizia” è detta da Paolo “idolatria”, poiché suppone una totale consacrazione al dio-denaro; appunto in questa esagerazione sta la sua immoralità. Meta dell’etica cristiana è il superamento di ogni discriminazione fra gli uomini: greco, giudeo, schiavo, libero, ricco e povero.
Il brano evangelico di Luca di oggi si ricollega alla prima lettura sulla vanità e la caducità delle ricchezze terrene. Gesù è sollecitato ad entrare come giudice in un conflitto di interesse. Cristo rifiuta di farsi giudice tra i due fratelli perché non è la sua missione fare giustizia mediante la via del potere; se facesse da giudice avallerebbe l’importanza di una spartizione, di un possesso di beni. Il potere non è la via che Gesù ha scelto per fare giustizia. Gesù non chiede la povertà, ma la libertà dai beni, accumulare per il domani al fine di essere il più possibile al sicuro è secondo la logica comune ed è giustificabile e giustificata anche da parte di Gesù che ammette l’esistenza della proprietà privata e il giusto preoccuparsi per il domani, ché altrimenti risulterebbe essere incoscienza. Sempre però nella giusta misura. Qui si tratta invece di grande ricchezza, tale da costituire una riserva per tutto il resto della vita. Per Gesù l’accumulo di ricchezza esagerato è stupidità, perché significa affidare la propria vita ai beni terreni che si dimostrano effimeri. Quindi in questione non sono i beni né il loro godimento, ma l’illusione di cercare nel loro accumulo la sicurezza, lo scopo e il senso della vita. Questo atteggiamento è idolatria. Ciò che viene rimproverato all’uomo ricco non è la sua cupidigia, dato che non ha cercato affannosamente di arricchirsi, ma è stato favorito dalla buona sorte. Come tutte le cose del mondo la ricchezza non è un male in se stesso, lo diventa solo, per chi la possiede, in base all’uso che di essa ne fa. La parabola dell’uomo che accumula ricchezza, può servirci da ammonimento. Ogni anno cresceva la sua fortuna, e in proporzione la sua avarizia. Il desiderio di averne sempre più, e la sollecitudine di conservarle divenne la passione dominante della sua vita. Dopo aver preso consiglio con se stesso, decide di edificare nuovi magazzini per le sue crescenti ricchezze. Non pare che si sia presentata alla sua mente l'idea che c’erano molti poveri nel suo vicinato, i quali lo avrebbero benedetto, se avesse diviso con loro quello che sopravanzava, e non avrebbero avuto la più piccola difficoltà nel farne uso. |
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