SCHEDE DI LITURGIA A CURA DI ANTONIO RAIA |
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XIX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
In continuità con la scorsa domenica le letture ci offrono la possibilità di approfondire quali sono i parametri e le caratteristiche del vivere cristiano, il cui sguardo e mèta è il regno eterno.
Il brano della prima lettura di oggi è un ricordo della notte di Pasqua, della liberazione dall’Egitto. E’ in quella notte che si celebra per la prima volta la Pasqua, celebrazione possibile solo nella libertà e nella pienezza dell’essere uomini. Per gli Ebrei si apre un futuro di gioia, segno dell’attuazione delle promesse di Dio. Gli israeliti sono chiamati i “figli santi dei giusti”, cioè i discendenti di una stirpe santa: popolo che ha come capi i santi e giusti patriarchi. La partecipazione alla celebrazione pasquale si traduce in un impegno: “si imposero”, che però non è un semplice impegno di solidarietà tra uomini, bensì una fraternità profonda creata dall’accettazione del dono divino della alleanza; si tratta, infatti, della “legge divina”, dove la specificazione vuole sottolineare la dimensione soprannaturale e l’iniziativa gratuita di Dio in favore dell’uomo.
La fede descritta nella seconda lettura è quella che proietta la vita del cristiano nel futuro, verso il compimento finale, è il fine a cui tendere. Grande testimone della fede fu Abramo che, confidando totalmente nella parola di Dio, rinunciò alle sicurezze ed alla tranquillità della sua famiglia, dei suoi beni e della sua terra. A questo proposito è utile ricordare come il termine “giusto” sia utilizzato per definire la persona ed il comportamento di Abramo che cerca in ogni cosa il compimento della volontà di Dio. Abramo lasciò il certo per l’incerto, sorretto solo dalla fede; in questa luce è riletta la storia di Abramo che “partì senza sapere dove andava”. In virtù dei suoi meriti Dio concesse a Sara, sterile e vecchia, di generare un figlio dal quale sarebbe sorta una discendenza innumerevole. Per la stessa fede Abramo non esitò a sacrificare il suo unigenito Isacco, sicuro che Dio gli avrebbe ugualmente dato in Isacco una discendenza. Per ben quattro volte il testo di oggi ripete le parole: “per fede”. La frase è riferita oltre ad Abramo anche a sua moglie Sara; ecco dunque la fede non solo del padre dei fedeli, ma anche della moglie, quindi un inno alla fede della famiglia, base e culla del cristiano. La fede ha unito e costituito il popolo di Israele, la stessa fede unisce e crea la famiglia cristiana.
Nel vangelo di oggi i temi di fondo sono la vigilanza e il giudizio, ma la prospettiva in cui questo tema viene letto è quella della ricompensa che spetterà ai servi fedeli. C’è l’esortazione a staccarsi dai beni, ciò renderà più pronti all’incontro con il Signore. Ignorando il tempo della venuta del Signore il discepolo deve mantenersi sempre, vigile, attento e pronto “con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese”. Le tre parabole che Luca racconta sono legate dall’idea dell’incertezza sull’ora della venuta del Signore e il conseguente dovere della vigilanza. E’ solo vegliando che si può entrare in comunione con Cristo, il pensare è un errore fondamentale: “il padrone tarda a venire”. In questa frase è racchiuso il problema della Chiesa lucana: alla speranza dell’immediata venuta del Signore sta subentrando la freddezza, l’indifferenza del rimando ad un “poi”; ecco allora l’appello ripetuto di Gesù: “Siate pronti”. Significativo è l’intervento di Pietro: “dici per noi o anche per tutti?” Gesù non risponde, ma fa capire che proprio loro, che hanno maggiore responsabilità, di fronte a questa (apparente) lontananza e ritardo del Signore non devono distrarsi dalla vigilanza né considerarsi padroni. Il castigo per il servo disonesto sarà severissimo: alla lettera “lo punirà severamente e gli infliggerà la sorte che meritano gli infedeli ”. |
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