SCHEDE DI LITURGIA A CURA DI ANTONIO RAIA |
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XII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
Questa XII domenica del Tempo Ordinario ci invita a seguire Cristo per farci sperimentare la vittoria della sua risurrezione. È l’invito a seguirlo sulla croce, perché il nostro avvenire dipende dalla croce, sapienza di Dio che trova la sua massima espressione nel Cristo innalzato che ci ha aperto la via verso il futuro.
La prima lettura della liturgia odierna è tratta dal profeta Zaccaria, il quale iniziò la sua attività profetica all’incirca nel 520 a.C. In quel periodo i Giudei, di ritorno dall’esilio, si sentono scoraggiati, perché la speranza di una restaurazione del regno è scomparsa. Gerusalemme è soltanto una piccola città dell’impero persiano ed Israele una piccola nazione in mezzo a grandi imperi. Zaccaria annuncia che nella restaurazione finale tutti (qui gli abitanti di Gerusalemme), saranno animati da un senso di pentimento; riconosceranno la loro colpevolezza e si apriranno allo Spirito. Sarà questo il tempo della vera conversione; la sofferenza sarà sorgente di salvezza. Sull’Israele rigenerato dopo il bagno purificatore della sofferenza dell’esilio, Dio effonde il suo “Spirito di Grazia” che penetra nell’interno del cuore e lo fa ritornare vivo. “Guarderanno a me, colui che hanno trafitto (il Trafitto viene considerato come una figura di Cristo sofferente). Egli viene messo a morte ed è pianto su tutto Israele, ma dalla sua morte scaturisce la purificazione di Gerusalemme e dei suoi abitanti; si pente e piange come si fa quando una famiglia è sconvolta per la morte del figlio unico o primogenito. E’ un lamento penitenziale, simile a quello proverbiale di Meghiddo, la città simbolo della strage, della rovina e della morte apocalittica.
Nella seconda lettura Paolo, molto sinteticamente, annuncia uno dei principi fondamentali della sua dottrina: la fede in Cristo ed il battesimo rendono il cristiano un tutt’uno con Gesù e perciò figlio di Dio. Scompaiono così d’un tratto tutte le differenze tra gli uomini: giudei e greci, schiavi o liberi, maschio e femmina. Questo annulla ogni diversità e discriminazione umana: “tutti voi siete figli di Dio”, cioè Giudei e Greci. “Figli di Dio mediante la fede in Cristo Gesù”.
Il Vangelo di Luca ci fa capire che sulla persona di Gesù c’era un ventaglio di opinioni su chi Lui fosse. Questa era una realtà ormai nota per i discepoli, i quali riconoscono in lui il Cristo, il Messia atteso dai profeti. Pietro confessa così la sua fede, anche se non è ancora tempo di proclamarlo pubblicamente, il tempo della piena rivelazione non è ancora arrivato. I discepoli devono ancora scoprire molto del mistero di Gesù, la parte più importante: la sua passione e risurrezione. Solo queste infatti metteranno in piena luce la verità di questo Messia. Non va dimenticato che in quell’epoca il messianesimo aveva forti connotati politici e trionfalistici, per cui la definizione di Pietro ha ancora un qualcosa che falsa il vero volto del Cristo. Gesù non potrà mai accettare di essere quello che i connazionali vogliono che lui sia. Egli sarà quello che il Padre vuole che egli sia: la vera immagine di Dio e dell’uomo, il vero volto di Dio e dell’uomo. Ecco allora che Gesù impone il silenzio attorno alla professione di fede di Pietro perché desidera chiarirla con una catechesi per i suoi uditori. Certo egli è un messia salvatore, ma un Salvatore che non imbocca la strada del trionfo imperiale, bensì quella della donazione della sua stessa vita per il mondo. Un messia che attua la sua opera gloriosa consacrandosi nel sangue e nella morte più infamante, quella riservata dal potere romano ai sovversivi. Gesù allora annuncia la via della sofferenza, dell’umiliazione, della morte e risurrezione che vede davanti a sé ed incomincia a preparare i discepoli a riconoscere il carattere paradossale della sua missione: la vita non può nascere che dalla morte. Ma accettare Gesù non significa solo confessarlo come Messia, così come ha fatto Pietro, ma è necessario “rinnegare se stessi”, cioè rinnegare una religiosità comoda, l’egoismo; rinnegare se stessi è portare la croce ogni giorno e seguirlo, perdere la vita. La prospettiva del vangelo nel rinnegare se stessi, è quella della salvezza. Questo non significa che si deve rinnegare la propria umanità, ma rinnegare il proprio orgoglio, la propria autosufficienza, riconoscere che la salvezza viene da lui, non da se stessi. |
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