SCHEDE DI LITURGIA A CURA DI ANTONIO RAIA |
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V DOMENICA DI PASQUA
In questa domenica, i testi liturgici possono concentrarsi intorno al tema della Chiesa come comunità di amore e comunione che si realizza storicamente nelle piccole comunità delle origini cristiane. Questa Chiesa storica è riflesso, e allo stesso tempo impulso, verso la Chiesa celeste, dimora eterna dell’amore che stringe in unità il Padre, il Figlio, lo Spirito Santo e la Comunità: ecco la nuova realtà che la liturgia di oggi ci fa contemplare.
Nella prima lettura, Luca narra del viaggio che Paolo e Barnaba intrapresero con lo scopo che non era tanto quello di evangelizzare, ma piuttosto di fortificare quelle comunità di cristiani, costituendo anche un organismo collegiale di guida: “gli anziani”. Paolo e Barnaba si preoccupano quindi di dare alle varie comunità locali un’organizzazione strutturale e istituzionale, simile a quella di Gerusalemme. Questa lettura ci offre dei modelli e dei criteri ai quali la nostra opera deve ispirarsi: perseverare nella fede attraverso le prove e le tribolazioni per entrare nel Regno; vivere come comunità animata dall’amore fraterno e affidata alla guida e alla cura dei presbiteri.
Nella seconda lettura, Giovanni descrive la nuova creazione, che è il punto culminante di tutto il libro dell’Apocalisse. L’apostolo rivela una nuova realtà, una città nuova: la Chiesa, nuova Gerusalemme, dimora di Dio con gli uomini, la suprema perfezione e felicità, che noi chiamiamo “Paradiso”. La città che scende dal cielo, la terra nuova dalla quale è scomparso il mare (simbolo delle forze del male), indica che la creazione deve essere rinnovata, trasformata affinché si adatti all’umanità redenta. Essa è di origine divina: Dio è l’architetto e il costruttore della città. Poi Giovanni ode la voce di uno dei quattro esseri viventi, il quale da una spiegazione della nuova creazione: si compiono le profezie che preannunciavano l’intima unione di Dio con il popolo eletto; l’intimità che Israele sperimentò nel deserto e nel tempio è ora accordata a tutto il popolo di Dio, per sempre. Dunque, il mondo del passato con tutte quelle caratteristiche di una creazione asservita al peccato scompare, “non vi sarà più la morte né lutto né lamento né affanno”, e tutte queste cose che sono state descritte, saranno compiute: “Ecco, io faccio nuove tutte le cose”. Questo è l’unico passo nell’Apocalisse in cui è Dio stesso che parla.
Il brano del vangelo è tratto dal cap. 13, dove si apre la seconda parte del vangelo di Giovanni, il cosiddetto “Libro della gloria”. In questa seconda parte, il racconto della passione e l’innalzamento (l’esaltazione) della croce sono visti come il momento culminante della manifestazione della gloria di Dio in Gesù. La rivelazione della gloria giunge al suo punto culminante nell’”ora giunta”, come la chiama Giovanni, del suo innalzamento sulla croce che coincide con l’evento della sua glorificazione. In realtà, è importante sottolineare che nella prima parte del vangelo (Libro dei Segni), la rivelazione della gloria avviene mediante i segni e le parole di Gesù, “ora non giunta”. Quello di oggi è un brano stupendo, che pone questa vicenda conclusiva della vita terrena di Gesù all’insegna dell’amore vicendevole, manifestazione dell’amore divino che circola tra il Padre e il Figlio nello Spirito Santo. Il contesto in cui ci troviamo è quello della lavanda dei piedi, dove Gesù ha annunciato con questo gesto la sua passione; ha spiegato ai suoi discepoli che quello che stava per succedere, cioè il cammino della croce, era una sua scelta di servizio. Dopo la lavanda dei piedi, Gesù siede a tavola e annuncia il tradimento di Giuda, il quale esce dal cenacolo. Appena uscito Giuda, Gesù inizia il suo discorso, parla ai discepoli come se fosse già stato glorificato, perché la successione degli eventi (passione e morte) connessi con la sua glorificazione, hanno ormai avuto inizio. In realtà tutto è già accaduto nella decisione del cuore di Gesù. La glorificazione del Figlio è allo stesso tempo la glorificazione del Padre: l’una si attua nell’altra. Tale glorificazione sarà realizzata immediatamente con la morte e risurrezione di Cristo, nel momento in cui Gesù percorre il suo cammino verso la croce, il Padre gli fa percorre il cammino verso la gloria, la risurrezione, la partecipazione alla vita del Padre. La separazione di Gesù dai discepoli è solo temporanea, perché essi lo avranno sempre in mezzo a loro, se vivono il “Comandamento nuovo”, un comandamento escatologico (della fine dei tempi) che viene esteso a tutti gli uomini senza alcuna distinzione, dove la vita diventa partecipazione della vita di Dio. Ebbene, il comandamento di Gesù è nuovo perché appartiene a quel tempo, al tempo della fine; non appartiene alla storia, ma appartiene “ai cieli nuovi e alla terra nuova”. L’amore di Cristo non è un modello, ma è causa dell’amore cristiano: “amatevi come io ho amato voi”. Di qui l’importanza dell’amore fraterno come segno distintivo della vera Chiesa che diventa rivelazione di Gesù. |
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