SCHEDE DI LITURGIA A CURA DI ANTONIO RAIA |
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V DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
Le letture di questa quinta domenica propongono un identico concetto di vocazione, nella prima lettura ci viene narrata la vocazione di Isaia, la quale è davvero tipica. Lo sfondo è Gerusalemme, la città natale del profeta, la città del Tempio e della presenza divina. È appunto nel tempio che il sacerdote Isaia viene coinvolto in un’esperienza di vocazione. Il contesto è solenne, liturgico, davanti a lui appare il Consiglio della Corona divino con l’assise dei serafini e col simbolo del fumo – nube e della gloria, segni della trascendenza ma anche della rivelazione di Dio. Il profeta avverte il senso della presenza di Dio che lo sovrasta, avverte il suo limite creaturale di fronte alla santità divina. Dio si rivela come il Santo e di fronte a lui Isaia prende coscienza di essere “peccatore”, la sua reazione è del tutto comprensibile: davanti alla santità di Dio l’uomo sente tutto il peso, l’insopportabilità del suo peccato. Poi un serafino prende una pietra rovente dall’altare del santuario e con essa purifica le labbra di Isaia. È una specie di battesimo del fuoco, egli è ormai in grado di accedere alla corte celeste. Contemporaneamente sente la “chiamata” ad annunciare a tutti gli uomini la santità di Dio e la sua gloria universale. A differenza di Geremia, Isaia avanza liberamente e coraggiosamente la sua candidatura. Il Signore gli conferma la vocazione profetica, ora è istituito come l’inviato, come colui che si fa tramite della Parola di Dio e del suo disegno.
Nella seconda lettura, Paolo insegna sull’importante argomento dottrinale della risurrezione. L’occasione di questa esposizione gli è fornita dal fatto che vi erano, fra i cristiani di Corinto, delle persone che negavano la risurrezione dei morti. L’Apostolo, conscio del pericolo in cui si trova la chiesa di Corinto, di fronte a queste false dottrine, stabilisce saldamente il fatto della risurrezione di Cristo e su questo fondamento, edifica la speranza della risurrezione dei fedeli. Questa epistola ci mostra che la negazione della risurrezione dei morti è negazione di tutto il Vangelo. La risurrezione di Cristo è, nella storia, uno dei fatti meglio accertati. I testimoni che hanno veduto coi loro occhi la tomba vuota, che han contemplato, toccato e udito Gesù risorto sono numerosissimi e di molti possediamo la testimonianza nei loro scritti. Di essi non si può dubitare, tanto più che hanno confermato con la loro vita e spesso col martirio, la loro testimonianza. Stabilita la certezza della risurrezione, Paolo tratta della sua vicenda personale, il suo passare dalla condizione di persecutore a quella di chiamato. Il ricordo della sua condotta passata non abbandonò mai l’Apostolo e tenne in lui un vivo sentimento d’umiltà che egli professa: “Io infatti sono il più piccolo tra gli apostoli e non sono degno di essere chiamato apostolo perché ho perseguitato la Chiesa di Dio”. Paolo pur essendo stato ricolmato di grandi doni, conserva uno spirito umile e ricorda le sue colpe passate e la sua indegnità; ha coscienza della sua incapacità e debolezza in quanto attribuisce alla grazia di Dio i successi che egli ha riportato.
Come il profeta Isaia, nel Vangelo anche Pietro s’incontra con la santità divina presente in mezzo agli uomini e anche Pietro reagisce con la consapevolezza dolorosa del proprio peccato. Ma non siamo nel tempio, bensì sul lago di Gennèsaret (lago di Tiberiade); gli eventi si svolgono non durante una liturgia, ma nel mezzo delle attività mondane: “i pescatori erano scesi e lavavano le reti”. Gesù chiede un piccolo favore a Simone, quello di mettergli a disposizione la barca. Incomincia a coinvolgere Simone. Poi un secondo intervento: “Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca”. Qui chiede qualcosa in più, la sua fiducia basata sulla sua parola. L’esperienza direbbe: non serve a niente gettare le reti adesso; la Parola dice: “gettate le reti”. Questa frase richiama alla fede, vuole dire che la parola del Signore è più importante di tutte le altre scelte, anche quando sembra che tutto debba rivelarsi inefficace e inutile: alla fine dovranno riconoscere che quella pesca abbondante non è frutto del loro lavoro. Ecco dunque che Pietro incomincia a intravedere il mistero della persona di Gesù, perché ha ascoltato quella parola e ha capito che in lui c’è la presenza di Dio. La sua reazione: “Signore, allontanati da me, perché sono un peccatore”, è la reazione istintiva dell’uomo davanti alla santità di Dio, così come abbiamo ascoltato in Isaia, in qualche modo Pietro ha visto in Gesù di Nazaret la gloria di Dio e da quel momento la sua vita è legata a quella di Gesù, non se ne può più staccare. È quello che è capitato a San Paolo sulla via di Damasco quando il Signore è apparso a lui come a un aborto; è il più piccolo, l’infimo di tutti gli apostoli, ma da quel momento Paolo non ha più potuto fare altro se non essere al servizio del Signore: “Per grazia di Dio sono quello che sono e la sua grazia in me non è stata vana”. Per cui, ha cominciato a lavorare per il Signore, per annunciare il suo Vangelo. Gesù stringe a sé Pietro, nell’obbedienza verso la sua Parola egli ha fatto una grande esperienza e ora parteciperà a qualcosa di ancora più grande, sarà pescatore di uomini. Gesù prende il peccatore al suo servizio e lo chiama a partecipare alla sua opera. |
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