SCHEDE DI LITURGIA

A CURA DI ANTONIO RAIA

 

V DOMENICA DI QUARESIMA

 

Questa V domenica di Quaresima trova ancora la sua chiave di lettura nella misericordia di Dio. Su questo motivo, su questo modo di procedere da parte di Dio, sul suo anteporre a tutto la misericordia, si snoda la prima lettura del profeta Isaia.

Sulla memoria dell’antico esodo, Dio ne prepara uno nuovo “Ecco, io faccio una cosa nuova…”. Ancora una volta Dio si dichiara misericordioso con il suo popolo, anche quando la loro insensatezza li aveva portati fuori dalla loro terra per servire un re straniero in Babilonia. Dio dona loro una strada nel deserto, fiumi nella steppa, la mappa nuova che Dio disegna per il suo popolo, la via nuova che lo ricondurrà, dall’esilio in Babilonia, verso la propria terra, sono doni della misericordia di Dio. Da quel momento la vita ritrova il suo significato; il peso di un passato inquietante è tolto e si apre il cammino della speranza.

 

Nella seconda lettura Paolo afferma: “Non ho certo raggiunto la mèta, non sono arrivato alla perfezione; ma mi sforzo di correre per conquistarla, perché anch’io sono stato conquistato da Cristo Gesù”.

Gesù Cristo ci dona la sua grazia affinché possiamo arrivare alla “perfezione” morale e spirituale, cioè l’ideale della vita cristiana. La grazia divina che Paolo ha ricevuto, lo ha trasformato da persecutore in apostolo. La grazia diventa, dunque, la forza motrice nello svolgimento della vita cristiana dell’apostolo, il quale ha una sola ambizione: conquistare quell’ideale per il quale fu da Cristo conquistato. In concreto si tratta di camminare verso una comunione sempre più piena con Cristo, unico vero valore. Tutto ciò che ostacola la “conoscenza” di Cristo, deve essere lasciato perdere, perché inconsistente. Allora la perdita di tutto ciò che non è Cristo si risolve in “guadagno”. Sempre ci saranno le prove e la sofferenza, ma in Gesù trovano un senso per la nostra fedeltà e perseveranza. Questa consapevolezza opera nella vita del cristiano una profonda serenità e promuove una gioiosa riconoscenza, infatti, il pensiero dell’apostolo è chiaro, il premio è la partecipazione della gloria di Cristo.

 

Il vangelo ci parla di una donna adultera sulla quale pendono le gravi sanzioni della legge. Gesù è interpellato e richiesto di un giudizio da parte degli zelanti custodi della tradizione, scribi e farisei, nel tentativo di imbrigliarlo nel vicolo cieco di una risposta, in ogni caso compromettente. Il dilemma è sulla scelta, se lui chiedeva l’adempimento della legge mosaica appariva durissimo, senza misericordia, crudele; se Gesù invece rispondeva che si poteva lasciare libera la donna veniva accusato di andare contro la legge di Mosè, di andare quindi contro la legge fondamentale non solo della vita religiosa, ma anche sociale di Israele. Questa era un’occasione buona per accusare Gesù e portarlo davanti ad un tribunale per farlo condannare. “Ma Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per terra”. Gesù compie un gesto che richiama Geremia e che vuole essere come un invito a riconoscersi peccatori, perché il peccato è la condizione non semplicemente della donna che è stata buttata là in mezzo, ma è la condizione di tutto Israele, di tutto il popolo: “Sarà scritto sulla polvere chi si allontana da te, poiché essi hanno abbandonato il Signore, la fonte dell’acqua sprizzante” (Ger 17, 13b). Quelle persone, dunque, non sono innocenti di fronte a una persona colpevole, ma sono partecipi della medesima colpa, del peccato e della lontananza da Dio.

Gesù allora fa appello alla coscienza degli accusatori: “Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei”. Il loro peccato sta nello sfruttare un caso umano per poter formulare accuse contro di lui. Ma l’intento di Gesù resta chiaro: salvare la peccatrice e mostrare la misericordia divina, che è capace di aprire una strada in mezzo al peccato. Essi, accusati dalla loro coscienza, “lo lasciarono solo, e la donna era là in mezzo”.

È famosa la frase di S. Agostino, che spiegando questo brano dice: “Sono rimasti solo due: la misera e la misericordia”. Prima erano tre: Gesù, la donna, e intorno c’erano gli scribi e i farisei con la folla che intorno facevano cerchio. E quello era il cerchio degli accusatori, da cui veniva una parola di condanna; ma questo cerchio è stato sciolto dalle parole di Gesù che diventano anche un appello per lei: “Nessuno ti ha condannata?… Nessuno, Signore... Neanch’io ti condanno”. È un vero atto di misericordia di Gesù nei confronti di questa donna. Gesù perdona proprio perché è venuto a prendere sopra di sé il peccato degli uomini.

Certamente non va ridimensionato il peccato di quella donna, non è questo il senso del vangelo. Il problema è quello capire il senso del peccato nella sua tragica dimensione di morte. Ma proprio lì appare la misericordia di Dio, quella parola: “va’ e d’ora in poi non peccare più”, va intesa come un comando, ma prima di tutto come un dono di una guarigione interiore. Sono parole che vogliono liberare, creare un cuore nuovo, Questa donna ha visto in faccia la morte e all’ultimo istante è stata graziata. Finché si ricorderà di essere una graziata, avrà la forza della fedeltà e della perseveranza, perché quella vita che lei aveva oramai perso, le è stata ridata liberamente e gratuitamente.

 

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