SCHEDE DI LITURGIA

A CURA DI ANTONIO RAIA

 

TUTTI I SANTI

 

 

 

La festa di Tutti i Santi non è una celebrazione in ricordo di tutti i santi che non appaiono nel calendario al fine di comprenderli ed accontentarli tutti senza escluderne alcuno. È invece la festa di tutti i cristiani che con il battesimo hanno ricevuto la possibilità di percorrere la strada della santità con la loro partecipazione alla vita di Cristo. Sono tutti coloro che il loro miracolo lo compiono nella difficoltà della loro esistenza con una vita di testimonianza concreta della fede, rendendo evidente agli occhi del mondo che la santità non è una realtà irraggiungibile e destinata solo a pochi eletti, particolarmente dotati, non è utopia per le persone normali, ma è una realtà possibile a tutti, una meta raggiungibile senza doti particolari oltre una fede vera e testimoniata. È la fede che smuove le montagne.

La prima lettura di oggi ci dice che alla vigilia della rovina di Gerusalemme Dio pone il sigillo sulla fronte dei suoi fedeli come segno di salvezza al momento del giudizio e che dimostra l’appartenenza al Signore. La tremenda paura non riguarda la comunità dei perseguitati perché i segnati sulla fronte sono benedetti e protetti da Dio. Il numero simbolico 144.000 indica la perfezione e la moltitudine dei salvati (il quadrato delle 12 tribù) e quello tipico della moltitudine (il mille) ci presentano oggi la gioiosa possibilità di salvezza offerta a tutti i credenti ed a tutti gli operatori di pace e di giustizia. Nei “segnati” si cela la Chiesa intera, il popolo di Dio, i fedeli di Cristo.
Poi la visione si allarga: la folla diventa senza numero, presa fra tutte le nazioni della terra; da ogni parte vengono i martiri e tutti coloro che hanno sopportato e superato la prova: è la Chiesa tutta.
E’ una grandiosa celebrazione della felicità e del trionfo, è la Chiesa stretta dalle tribolazioni e dalle persecuzioni, assistita dal Cristo suo Pastore e trasportata verso il trionfo celeste. Tutti hanno il vestito bianco, simbolo della luce di Dio ed in mano hanno una palma, simbolo di vittoria. Non contano più in mezzo a loro le distinzioni razziali, linguistiche e culturali; una pari dignità li accomuna: “hanno lavato le loro vesti nel sangue dell’agnello”. Significativo è il simbolo del sigillo, esso è il segno della proprietà di una cosa e del rapporto di intimità che si ha con essa.

Gli ebrei erano convinti che la prosperità materiale, il successo, fossero segni della benedizione di Dio e segni invece di maledizione la povertà e la sterilità. Gesù denuncia l’ambiguità di una rappresentazione terrena della beatitudine.
Ormai i beati non sono più i ricchi di questo mondo, i sazi, gli adulati, ma coloro che hanno fame e che piangono, i poveri ed i perseguitati.
Le nove beatitudini di Matteo si riassumono nella prima: “Beati i poveri in spirito”; le altre sono un corollario di questa. Poveri in spirito non sono, secondo il senso di oggi, gli sciocchi, gli sprovveduti, i sempliciotti, in contrapposizione ai furbastri ed agli scaltri.
L’essere povero in spirito è il non avere una propria sicurezza, è una disposizione interiore che impronta il proprio agire in ogni circostanza alla disponibilità, all’aprirsi, all’accettare, all’avere fiducia nel Signore; è la negazione del proprio orgoglio: è l’ammettere di essere bisognosi, di non essere autosufficienti, di dipendere da Dio; questo atteggiamento di sincera umiltà interiore è quello che giustifica l’uomo e cioè lo pone in buona relazione con Dio. Povero in spirito è chi è umile e dolce, chi attende la salvezza solo da Dio, chi ha animo retto ed intenzioni pure, chi lavora per la giustizia e per la pace.
C’è in questa beatitudine un appello a seguire quel Gesù che non ha trovato posto nell’albergo, che non aveva una pietra su cui posare il capo, che è morto povero e spoglio su una croce. La folla che segue Gesù è anonima, fatta di gente semplice che vive del proprio lavoro e non del lavoro degli altri; la gente che dai potenti del tempo, ed oggi non sarebbe diverso, era imbrogliata ed oppressa.
Le beatitudini hanno questo senso: “Beati i poveri perché loro è il regno dei cieli”. Sono coloro che vivono avendo vicino a sé il futuro di Dio, cioè quel futuro che Dio promette loro, lo stanno già vivendo, hanno la netta e convinta percezione della sua compagnia, la comunione piena con lui, che realizza per loro il regno e per questo possono accettare la sofferenza, possono accettare di attendere perché quel futuro è già entrato nella loro vita. Il Dio che li ama, che ha cura di loro, che gli è vicino nella sofferenza, che li perdona malgrado il loro peccato, è il Dio che già ora ha inaugurato qualche cosa di nuovo. Questa novità, questa compagnia, questa condivisione di Dio al loro patire, diventa il motore della loro beatitudine, della loro pazienza nella sofferenza, del loro agire nella tristezza.
La santità, allora, altro non è che il sigillo della fede ed è alla portata di tutti i credenti, dell’uomo comune, con una vita ed un’attività normale, una persona come quelle che incontriamo tutti i giorni all’esterno o all’interno della porta di casa. Santo è il cristiano che veramente crede e pratica la sua fede quotidianamente.
 

 

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