SCHEDE DI LITURGIA A CURA DI ANTONIO RAIA |
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IV DOMENICA DI PASQUA
Questa quarta domenica è caratterizzata da un unico elemento che unifica le tre letture, il dono della vita eterna. Ciascuno oggi può sentirsi pieno di gioia e di esultanza pasquale perché, al di là delle situazioni più tristi e sconcertanti dell’esistenza terrena, sa che la bontà di Dio si rivolge personalmente ad ognuno e a tutti, senza distinzione e senza limiti.
Nella prima lettura, Luca riporta l’importante discorso di Paolo in Antiochia di Pisidia (da non confondersi con la più nota Antiochia di Siria). Attenendosi alla direttiva secondo la quale bisognava annunciare la parola di Dio prima ai Giudei, Paolo e Barnaba si presentano alla sinagoga, durante il culto sabbatico e si siedono. L’atto di sedere, indicava che non erano soltanto degli ascoltatori, ma che avevano qualcosa da dire, mostrarono il desiderio di parlare all’assemblea. Letta le legge, la spiegazione è affidata agli ospiti, cioè a Paolo e ai suoi compagni. Il sabato seguente, Paolo ha un secondo incontro pubblico: questa volta è con l’intera città, cioè con pagani e membri della comunità giudaica. Il successo dell’apostolo scatena la reazione aspra e ostile nei suoi confronti. A seguito del rifiuto da parte dei giudei, Paolo dichiara esplicitamente: “non vi giudicate degni della vita eterna”, cioè: con la vostra condotta voi segnate la vostra condanna. Questo testo, ci mostra una comunità che è chiusa nell’accogliere la novità del Vangelo e quindi la Parola di vita si diffonde per altre vie, superando le barriere nazionalistiche e razziali; i pagani aprono il loro cuore e accolgono la parola diventando così partecipi della vita eterna.
La visione di Giovanni si riferisce principalmente ai riscattati che appaiono al veggente come una gran moltitudine che nessuno potrà mai contare; ed essi provengono da ogni popolo, lingua, tribù e nazioni. È l’esito finale del progetto di Dio per tutta l’umanità. La “moltitudine immensa” testimonia l’universalità della salvezza attraverso il sacrificio di Cristo; dall’alto della croce egli ha attirato tutti a se. Ecco dunque l’immagine dell’Agnello, guida di una umanità completamente rinnovata, una umanità trionfale e gloriosa, in un mondo nuovo dal quale sono scomparse sofferenza e lacrime. Le loro vesti erano sporche, erano schiavi del peccato, erano infelici. Ma ora le loro vesti sono bianche, portano in mano la palma della vittoria, sono alla presenza di Dio e celebrano le sue lodi. Essi hanno accolto con fede l’opera del Salvatore ed hanno lavato le loro vesti nel sangue dell’Agnello. Ora per loro c’è la felicità, conoscono Dio e vivono in comunione perfetta con lui. Questa visione anticipata del trionfo è data appunto per la consolazione e per l’incoraggiamento di quelli che ancora soffrono e lottano in questo mondo.
Nel brano del vangelo Gesù rivela la sua persona e la sua opera proclamandosi Buon Pastore. Il brano inizia con la descrizione che il pastore fa delle pecore. Le pecore sono quelle che “ascoltano la sua voce, sono “conosciute” e lo “seguono”. È l’immagine della Chiesa che ascolta la voce del suo Signore; le pecore sono conosciute dal pastore ed è quindi dalla conoscenza che egli ha di loro a fondare la sequela. Giovanni descrive questi tre caratteristiche delle pecore, per enumerare i privilegi che a loro sono concessi. Il primo e il più importante è la “vita eterna”, che Gesù concede ai suoi. Quando Gesù dice: “Io do loro la vita eterna”, parla di un dono che s’innesta nella struttura profonda del desiderio dell’uomo. Quello che ci è promesso, quello che attendiamo per il futuro, lo possiamo sperimentare e gustare fin d’ora nella fede. Un altro privilegio è la certezza che non verranno mai più rigettati, nonostante tutti i pericoli e le tentazioni da cui verranno assediati. Il demonio non può rapire dalla sua mano uno solo dei suoi piccoli. Dopo queste garanzie che Gesù da, ne aggiunge una seconda, fondata sul fatto che il suo diritto di proprietà è diviso con Dio medesimo. Gesù sta portando il discorso ad un livello più alto, cioè a quello della unità sostanziale, in virtù della quale ogni cosa è comune al Padre ed al Figlio. L’unità che Cristo dichiara nel vangelo fra lui ed il Padre: “Io e il Padre siamo una cosa sola”, significa che egli ha ogni cosa in comune con il Padre attraverso lo Spirito che è l’unità del Figlio con il Padre. Le pecore dunque, che il Padre gli ha dato sono sue; la grandezza del Padre deriva dal donare, dal dono che lui fa di noi al Figlio. Nessuno può entrare nella casa di Dio senza passare per Gesù. Lui è l’unico che può condurre le pecore alla salvezza. Solo lui è in grado di donare la vita eterna. Nessun altro invece ha il potere di donare la vita. |
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