SCHEDE DI LITURGIA

A CURA DI ANTONIO RAIA

 

IV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

 

La liturgia di oggi ci fa ascoltare in due domeniche successive quanto avviene nella sinagoga di Nazaret. Domenica scorsa abbiamo interrotto la narrazione di Luca nel momento in cui Gesù, dopo aver proclamato la lettura dal rotolo del profeta Isaia, ne afferma il suo compimento “oggi”. In questa domenica leggiamo la seconda parte del racconto, che si sofferma sulla reazione dei suoi concittadini presenti alla preghiera sinagogale.

 

Nella prima lettura, Geremia espone il tema del profeta perseguitato dal suo stesso popolo: “i re di Giuda e i suoi capi, i suoi sacerdoti e il popolo del paese ti faranno guerra…”. Egli, tuttavia, trova nel Signore un rifugio sicuro poiché il Signore lo ha scelto e consacrato fin dal seno materno: “io faccio di te come una città fortificata, una colonna di ferro e un muro di bronzo contro tutto il paese”.

Geremia, chiamato da Dio diventa la coscienza critica del popolo, egli predica contro l’ottusità del regime politico e sacerdotale che esalta il nazionalismo ebraico, annunzia il crollo di Giuda per volere del Signore che si verificherà puntualmente nel 605 a.C. con l’occupazione iniziale della Palestina da parte di Nabucodonosor, re di babilonia. Questa predicazione di Geremia gli attirerà addosso la fama di disfattista e di traditore della patria. Ma egli smaschera le subdole complicità del male: denuncia i vizi del popolo, la falsità del culto, gli abusi di potere, ogni forma di idolatria e di ingiustizia. Il profeta diventa il difensore degli oppressi, dei deboli, degli emarginati, si pone dalla loro parte, diventa la loro voce; è la voce di chi non ha voce. È chiamato ad essere responsabile di Dio di fronte agli uomini e responsabile degli uomini di fronte a Dio. La denuncia del profeta diventa dunque “giudizio di Dio” sulle vicende umane e quindi sempre un invito alla conversione del cuore.

 

La seconda lettura inizia con l’insegnamento di Paolo ad aspirare ai carismi più grandi: “Fratelli, desiderate intensamente i carismi più grandi”. Dio è l’autore dei doni: ma ciò non toglie che i cristiani li ricerchino con zelo. Essi hanno tutti un’utilità, ma sono maggiori quelli che, più degli altri, sono atti ad edificare la Chiesa.

Spesso gli abusi o erronee tendenze di alcune persone, provengono più da ignoranza che da un atto di volontà, questi vanno quindi corretti mediante una paziente istruzione nella verità.

S. Paolo più volte nelle sue epistole dice: “io non voglio che siate nell’ignoranza”. L’ideale del cristiano è dunque colui che cammina verso la luce, non è colui dalla fede cieca che non ha esaminato nulla, che non conosce neppure i primi elementi della verità, ma colui che “aggiunge alla fede la conoscenza”. Va ricordato comunque che tutti i dono sono conferiti, non per l’onore o la vanagloria dell’individuo, ma per essere adoperati fedelmente al bene della società ed alla gloria di Cristo. Sono “talenti” da far valere e di cui ciascuno dovrà render conto. Ma questa lettura è una delle pagine più belle ed intense del Nuovo Testamento, a ragione è stato chiamato l’inno della carità. Esso si apre con il confronto tra la carità e i carismi, passa quindi in rassegna i tratti distintivi della carità vera e si chiude con la prospettiva escatologica. In conclusione, rimane solo la carità, la quale non si identifica con la donazione dei beni o di se stessi, ma anima tutta l’esistenza e non avrà mai fine. La carità sta alla radice della fede e della speranza, senza di essa, l’uomo non ha nessun valore morale. Paolo ci esorta dunque a cercare i doni di conoscenza, di parola, di volontà, ma sopra di essi deve regnare sovrano l’amore, l’eccellenza morale suprema da ricercare. La grandezza morale e spirituale di un uomo non sta in quello che egli ha, ma in quello che egli è. Beni materiali, intelligenza, scienza, eloquenza, ecc., possono arricchire e rendere famoso un uomo che agli occhi di Dio è moralmente vacuo e nullo.

 

Il Vangelo ci presenta Gesù come il profeta che compie la sua missione nel modo voluto da Dio, ma quando il compimento giunge, si realizza in modo del tutto inatteso: l’alleanza è Gesù di Nazaret, Uomo-Dio. In lui coincidono la profezia e l’oggetto della profezia, per questo Gesù è più che un profeta.

Gesù si reca nella sua patria, predica nella sinagoga e incontra il rifiuto dei suoi compaesani. Dopo aver letto Isaia, proclama che i tempi delle promesse si sono compiuti in lui. I presenti sono chiamati a testimoniare di aver udito con le proprie orecchie l’annuncio della svolta decisiva di tutta la storia: è finito il tempo dell’attesa ed è cominciato l’oggi della presenza liberatoria di Dio. Ma per loro è impossibile credere che Gesù, il giovane cresciuto nel loro stesso villaggio, il figlio di Giuseppe, sia colui che le Scritture hanno preannunciato.

Lo stupore è ormai orientato nel verso del rifiuto, essi respingendo Gesù, non fanno altro che rinnovare un tratto della storia di Israele: essi sono un popolo di dura cervice, chiuso all’ascolto della parola dei profeti.

La prima scena di predicazione pubblica di Gesù si conclude con la prima manifestazione della volontà di ucciderlo, anticipando così ciò che si compirà nei giorni di Pasqua. Ma la minaccia di morte rivolta a Gesù non può compiersi ora, se non come preannuncio di ciò che avverrà a Gerusalemme.

 

www.parrocchiasantifilippoegiacomo.it