SCHEDE DI LITURGIA

A CURA DI ANTONIO RAIA

 

III DOMENICA DI PASQUA

 

La Pasqua continua nella vita della Chiesa, la gioia e il senso pasquale della lode liturgica, pervade la liturgia di questa terza domenica.

 

Il testo degli Atti ci mette dinanzi al proclama Kerygmatico di Pietro. Gli apostoli hanno disatteso l’ordine del Sinedrio di non insegnare nel nome di Gesù. Pietro, a nome di tutti, parla con franchezza e con forza, rispondendo che “bisogna obbedire a Dio invece che agli uomini”. La sua difesa diventa un vero e proprio atto d’accusa per il sinedrio: “Il Dio dei nostri padri ha risuscitato Gesù, che voi avete ucciso appendendolo a una croce”. E di ciò, con gli apostoli, egli è testimone. È una testimonianza non solo di parole ma di fatti, perché, dopo essere stati fustigati, tutti se ne vanno, “lieti di essere stati giudicati degni di subire oltraggi per il nome di Gesù”.

 

La visione dell’apostolo Giovanni ci introduce in una solenne liturgia di lode: si celebra il trionfo dell’Agnello.

Cristo ci è presentato come uguale a Dio Padre, in suo onore si leva un inno di acclamazione nel quale si fondono le voci del cosmo, degli angeli e dei santi che stanno davanti a Dio. La solenne azione liturgica assume così dimensioni veramente universali, per celebrare la salvezza pasquale operata da Dio e dal suo Cristo. Ad essa si associa, qui sulla terra, la liturgia eucaristica della nostra assemblea, divenendo così immagine e anticipazione dell’assemblea escatologica. La lode dell’Apocalisse si realizza oggi nell’assemblea celebrante, per rendere onore, gloria, testimonianza all’Agnello senza difetto che si è offerto come vittima propiziatoria per l’espiazione dei nostri peccati.

 

Il capitolo 21 del Vangelo di Giovanni viene denominato il secondo epilogo. Si tratta di un’appendice aggiunta posteriormente dallo stesso autore o da un suo discepolo. I temi che tratta sono sostanzialmente ecclesiali: la missione apostolica della Chiesa, il ruolo di Pietro, Gesù e il discepolo prediletto.

La figura di Pietro, in questo testo è predominante. Prima la sua decisione di andare a pescare, poi il suo dialogo con il Cristo durante l’abbondanza della pesca, poi il cammino che Pietro fa quando viene celebrata la liturgia sulla spiaggia e poi, ancora, il suo rapporto unico, irripetibile con Cristo in merito a quella domanda che il Signore, per ben tre volte gli rivolge: “mi vuoi bene?”.

Il racconto ci porta sul mare di Tiberiade dove Cristo appare nuovamente a sette degli apostoli, dopo una notte passata inutilmente a pescare. L’affermazione di Pietro “io vado a pescare”, cioè riprendo le cose di prima, l’evento pasquale si è concluso ed è tempo ormai di ritornare alle cose che facevo prima. Questa realtà di chiesa espressa dall’evangelista è una realtà di chiesa che non sa forse considerare la Pasqua come qualcosa di qualificante per la sua esistenza.

Di prima mattina, allo spuntare del giorno, Gesù si presentò sulla riva ma gli apostoli, nella semioscurità non lo riconobbero, venne probabilmente creduto come un passante che voleva comprare del pesce. Alla sua domanda risposero che non avevano preso nulla, ma egli ordinò loro di gettare la rete dal lato destro della barca.

Avendo ubbidito, presero una tale quantità di pesci, che non riuscivano più a tirare la rete a bordo. Questo fatto fece comprendere a Giovanni che quello straniero era il Signore e, comunicatolo a Pietro, quest’ultimo si gettò immediatamente in acqua nuotando fino alla riva, perché voleva gettarsi al più presto ai piedi di Gesù dopo il suo rinnegamento.

Il Signore li invitò a prender parte con lui ad un pasto miracoloso che egli aveva preparato per essi. Il segno di riconoscimento del Signore risorto nasce dall’invito che lui fa di venire a mangiare. La sua signoria la si riscontra, ancora una volta, nell’evento eucaristico. Dopo aver mangiato, Gesù fece a Pietro una domanda e la ripeté tre volte, con evidente allusione al triplice rinnegamento: “Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di costoro?”.  La domanda di Gesù a Pietro è molto calzante, vuole dire: quali sentimenti nutri verso di me: indifferenza o affetto? Io conosco il tuo passato, ti vidi quando mi rinnegasti, ora sei pronto a darmi tutto il tuo cuore? Gesù richiama alla memoria di Pietro il suo vanto, e cioè che non lo avrebbe mai rinnegato, ma che era pronto a seguirlo fino alla morte. Pietro ora sapeva di non avere alcun vanto. L’intenzione del Signore nel richiamare alla mente del suo discepolo il passato, era di condurlo ad umiliarsene e a pentirsene. E quando l’umiliato e penitente discepolo ebbe per tre volte ripetuto che egli lo amava, fu ristabilito nel suo ufficio mediante il comandamento anch’esso ripetuto tre volte: “Pasci i miei agnelli… Pascola le mie pecore”. Pietro fa appello alla onniscienza di Gesù, supplicandolo di leggere nell’intimo del suo cuore, e di vedervi la realtà del suo pentimento, la sincerità del suo amore: “Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene”.

Non appena ebbe ristabilito Pietro nell’ufficio apostolico e il suo diritto al nome di Pietro, “Roccia”, Gesù gli annunzia, in linguaggio figurativo, che la sua carriera si sarebbe conclusa con il martirio. In gioventù, l’apostolo poteva cingersi, come voleva e andar dove voleva; ma nella sua vecchiaia altri lo cingeranno, e lo condurranno dove non vorrebbe andare, obbligandolo a stendere le mani sulla croce. Pietro ne uscirà trionfante, rimanendo fedele fino alla morte.

 

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