SCHEDE DI LITURGIA A CURA DI ANTONIO RAIA |
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II DOMENICA DI PASQUA
Oggi celebriamo la seconda domenica di Pasqua e per volere di Papa Giovanni Paolo II, questa domenica è anche denominata “domenica della Divina Misericordia”, per sottolineare che gli eventi pasquali celebrati (Passione, Morte e Risurrezione di Gesù) sono l’espressione suprema della bontà di Dio verso di noi.
La prima lettura degli Atti degli Apostoli ci presenta la potenza del dono dello Spirito che suscita la fede nella risurrezione di Cristo e nella sua forza di guarigione. Egli agisce nella persona di Pietro ed opera anche solo attraverso l’ombra dell’apostolo. In effetti, Luca non dice che l’ombra di Pietro operasse realmente un miracolo, ma riporta quella che era “voce di popolo”; la folla era giunta a un tal punto di entusiasmo fino a credere che l’ombra stessa di Pietro possedesse un qualcosa di magico, ma Luca non dice che questa opinione popolare fosse giustificata dai fatti. Ad ogni buon conto, Luca mette in risalto la posizione di preminenza che occupa Pietro nella comunità.
Nella seconda lettura, Giovanni, che si trovava relegato nell’isola di Patmo (colonia penale dei Romani) per ordine dell’imperatore Domiziano, espone in quali circostanze Cristo gli ha fatto le rivelazioni consegnate nel suo libro: quelle anzitutto relative alle sette chiese d’Asia, poi quelle relative alle sorti future del popolo di Dio. Resta così giustificato il titolo del libro: “Rivelazione di Gesù Cristo”. La rivelazione di Patmo è stata fatta a un apostolo perseguitato, per esser comunicata anzitutto a delle chiese esposte a dure prove, infatti, Giovanni parla di tribolazione, quella a cui sono esposti i cristiani a causa della loro fede in Cristo. Questa lettura dell’Apocalisse è una testimonianza forte della fede pasquale che animava la Chiesa delle origini, facendola crescere e vivere secondo lo Spirito di Colui che è per sempre “il Vivente”.
Il Vangelo di Giovanni riferisce due apparizioni del Risorto: l’una ai discepoli, la sera dello stesso giorno di Pasqua, l’altra a Tommaso, otto giorni dopo. Questo significa che l’intero brano deve essere letto in chiave liturgica ed eucaristica, nel contesto dell’assemblea domenicale. Quando Giovanni dice: “La sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato”, indica chiaramente la domenica, “otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa”, quel “di nuovo” suggerisce che i discepoli si riunivano ogni settimana, di domenica, e non ogni giorno. Va ricordato che quando Giovanni scriveva, l’assemblea eucaristica domenicale era già abbastanza consolidata, inoltre, è proprio dagli scritti giovannei che proviene il termine “giorno del Signore” (Ap 1,10) o domenica. La prima apparizione: da una parte l’entrare a porte “chiuse”, il fermarsi in mezzo agli apostoli e il rivolgere loro la parola dicono chiaramente che Gesù è vivo e possiede un’esistenza del tutto nuova. D’altra parte, Gesù “mostrò loro le mani e il fianco”, fornendo ai suoi le prove evidenti e tangibili che egli era veramente risuscitato. Questo inizio del racconto vuole far capire che colui che appare, il Risorto, è il Gesù crocifisso sul Calvario. Il Mistero Pasquale consiste proprio in questo, nell’identità tra il Gesù del Venerdì Santo e il Signore della domenica di Pasqua che prosegue in tutto il tempo della vita della Chiesa. Credere fermamente che Gesù è risorto e che la sua risurrezione è causa anche della nostra risurrezione, è la nostra speranza, è la speranza della Chiesa. Dopo aver dissipato ogni loro dubbio, Gesù conferisce loro la missione: “Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi”. La missione è quella di proclamare il suo messaggio fino all’estremità della terra: “Andate dunque e fate miei discepoli tutti i popoli battezzandoli nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo” (Mt 28, 18-19). Con queste parole, il Signore investe i suoi discepoli di questa funzione: egli li manda nel mondo, come il Padre ha mandato il Figlio, così i discepoli sono gli inviati del Cristo. In questi passi è espresso il fondamento divino della missione della Chiesa, la quale è per sua natura missionaria. Poi dona loro lo Spirito Santo: “soffiò e disse loro: ricevete lo Spirito Santo”. Il Signore comunica loro un dono speciale, che li prepara alla missione. Quel dono non fu fatto ai soli apostoli, bensì all’intera Chiesa. Infine, dona il potere di rimettere i peccati: “a coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati. Il dono dello Spirito manifesta la sua potenza soprattutto attraverso l’offerta del perdono. Il Risorto conferisce la grazia del perdono di Dio alla comunità dei discepoli; conseguentemente si tratta di un potere di carattere ecclesiale concesso ai loro successori. Nella seconda apparizione, avvenuta otto giorni dopo, predominano la persona del Risorto e quella di Tommaso. Quest’ultimo è disposto a fare propria la testimonianza degli altri discepoli che dicevano di aver visto il Signore, soltanto se controllerà nel Risorto i segni della passione. Tanto è vero che Tommaso dice: “Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo”. Tommaso dice una cosa molto vera: non mi basta più quello che voi mi dite di lui; voglio rendermi conto se nell’evento di cui sono stato testimone e che mi ha scandalizzato, cioè l’evento della croce, l’uomo che ha vissuto questo evento è il medesimo che è risorto. Tommaso chiede di rendersi conto se quel Cristo che è morto è il medesimo che è risuscitato e per crederlo risorto vuole crederlo crocifisso. La testimonianza che il vangelo rende a Tommaso è una testimonianza fortissima, Giovanni affida a Tommaso la professione di fede più alta. Per crederlo risorto ho bisogno di toccare i segni della sua crocifissione, che sono i segni del suo amore, è ciò per cui lui è morto, è la carità che ci ha usato. Ho bisogno di toccare i segni della sua carità. La fede di Tommaso è la fede del cristiano adulto, è la fede di colui che indaga, è la fede di colui che sa che se chiede, a lui il Signore si concederà, come puntualmente si concede. Con questo atteggiamento di Tommaso, Giovanni fa scoprire al lettore l’identità già riscontrata tra il Crocifisso e il Risorto. Gesù accondiscende alla pretesa di Tommaso perché sa che egli lo ama, e così facendo lo porta a proferire la più alta professione di fede presente nel quarto vangelo: “Mio Signore e mio Dio!”. Nell’Antico Testamento, le parole “Signore” e “Dio” corrispondono ai nomi ebraici di “Jahwè” e “Elohim”. Con la tecnica, potremmo dire così, abituale nel Nuovo Testamento, di trasferire su Cristo quanto l’Antico Testamento dice di Jahwè, qui viene proclamata esplicitamente la divinità del Crocifisso-Risorto che Tommaso ha davanti. Da questo momento in poi il resto del testo non fa altro che sottolineare il tema della fede: “Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!”. Queste sono parole preziosissime per la Chiesa di Cristo ai giorni nostri, a noi che siamo separati da molti secoli dal tempo in cui Gesù era presente in persona sulla terra, queste parole di Gesù, sono un invito a non chiuderci nella nostra logica umana, a non lasciarci bloccare dal razionalismo; sono un invito ad accettare ciò che ci supera e cioè le grandi verità della fede come il mistero di Dio, di Cristo o della risurrezione. In conclusione Giovanni dice di non aver voluto scrivere una storia completa di Cristo, ma solo raccontare alcuni fatti atti a convincere i lettori che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio. Le parole: “Gesù fece molti altri segni (miracoli)”, indicano che quelli raccontati da Giovanni sono frutto di una selezione che egli ha fatto fra molti altri segni operati dal Signore durante il suo ministero terreno, e che egli avrebbe potuto raccontare come testimone oculare. |
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