SCHEDE DI LITURGIA

A CURA DI ANTONIO RAIA

 

DOMENICA DELLE PALME

 

Con la domenica delle palme entriamo nella Settimana Santa. Ci avviamo, dunque, a celebrare l’evento fondamentale della nostra salvezza: la morte e risurrezione del Signore.

La prima lettura, ci fa ascoltare il terzo carme del servo sofferente, al quale Dio ha dato una missione di salvezza perché possa rivolgere una parola di consolazione agli sfiduciati. Nel corso della sua missione questo servo è percosso sulla schiena come uno stolto, mentre egli è il sapiente per eccellenza in quanto portavoce della Parola di Dio. Il disprezzo nei suoi confronti è aggressivo con gli sputi e lo strappo della barba. Strappare la barba era una tortura e un gesto di disprezzo, fatto per umiliare i nemici, così come gli insulti e gli sputi. Ma nonostante tutto questo, il servo va incontro coscientemente a queste conseguenze del suo ministero, certo della vittoria per la vicinanza di Dio. Questi versetti presentano diversi tratti che si troveranno poi nel racconto della passione di Gesù.

 

Nella seconda lettura, San Paolo dice che Gesù ha talmente amato il Padre da accogliere liberamente il suo progetto per noi e per la nostra salvezza. “Umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce”. Gesù non muore perché lo uccidono, ma perché egli stesso “si consegna” per amore, diventando solidale con tutte le umiliazioni, i dolori, i rifiuti patiti dall’uomo. Dio vince il dolore e la morte non togliendoli all’uomo, ma assumendoli in sé. Ha ragione dunque il servo sofferente di Isaia ad esprimere questa fiducia in Dio, e anche Paolo quando dice che l’abbassamento di Cristo non ha avuto limiti: dalla natura divina alla condizione di servo, all’obbedienza “fino alla morte e alla morte di croce”. Ma questo non è un destino bloccato nella morte, perché Dio ha esaltato Gesù, lo ha proclamato “Signore” davanti al mondo intero.

 

Il vertice della liturgia della parola è la lettura della Passione, dove la Croce diventa il centro della contemplazione della comunità cristiana che in essa legge il progetto misterioso di Dio e adora la regalità di Cristo. Il vangelo di Luca, nel descrivere la passione, non vuole farci assistere al dramma di Gesù da lontano, oppresso dalla tristezza, (caratteristica del vangelo di Marco), ma ci invita a seguire l’esempio di Simone di Cirene, nel prendere il suo posto accanto a Gesù e portare la sua croce. Inoltre, vuole portare il lettore a vedere se stesso nella debolezza di Pietro e ridare la speranza a chi come il buon ladrone l’aveva persa.

Gesù è a mensa con i suoi discepoli e le sue parole esprimono un sentimento a lungo coltivato, un momento preparato e atteso che finalmente si compie. Al centro di questa scena abbiamo l’istituzione dell’Eucaristia: il pane e il vino sono “il corpo” e “il sangue” di Cristo, cioè la totalità della sua persona che Gesù dona. Il sangue “versato” indica una morte violenta, il martirio, il quale manifesta tutta la sua potenza.

Gesù compie i suoi gesti all’interno di una ricorrenza ebraica che tutto il popolo celebrava. Dunque all’interno di una tradizione che egli assume, ma che la spezza, il gesto del pane e del vino e le parole che pronuncia sono una novità che fa emergere il grande disegno di questa istituzione che è innanzitutto quello di un cambiamento di contenuto: Gesù si sta distaccando ed allontanando dalle usanze giudaiche che prima facevano memoria delle meraviglie d’Egitto, ora fate questo in memoria di me. Fare memoria non s’intende solamente come ricordare, ma evoca un ri-compiere un atto consapevoli che la sua efficacia rimane immutata nel tempo, è riattualizzare un gesto. Ogni volta in cui si dicono quelle parole e si compiono quei gesti “sfondiamo” la barriera del tempo e dello spazio entrando in contemporaneità e sintonia col cenacolo nell’ultima cena. Dicendo fate questo in memoria di me, Gesù ci chiama a ri-vivere a ri-attualizzare la Sua storia in ognuno di noi (passato, presente e futuro).

Troviamo poi la tentazione religiosa, che è la tentazione dell’orgoglio. Abbiamo innanzitutto la presunzione di Pietro: “Pietro gli disse: Signore, con te sono pronto ad andare anche in prigione e alla morte”. Gesù sa che il demonio sta tentando Pietro e prega per lui affinché la sua fede non venga meno. Qui Pietro riceve il suo ministero: una volta convertitosi deve consolidare e rendere saldi i fratelli della comunità.

Al termine della cena pasquale, Gesù si reca al monte degli Ulivi con i suoi discepoli dai quali si allontana quanto “un tiro di sasso”, nell’orto, dove inizia a pregare “in ginocchio”. Intanto i discepoli si sono assopiti “per la tristezza”. Luca introduce la narrazione con l’imperativo “pregate per non soccombere nella prova”, egli vuole insegnare alla sua comunità che, se si vuole superare la prova, occorre pregare come ha fatto Gesù.

Per descrivere lo stato d’animo di Gesù, Luca ricorre alla parola “agonia”, cioè per lui la passione è un’agonia (una battaglia), una lotta in cui Gesù entra. In questa lotta Gesù combatte e suda sangue, il quale, non sgorga per la paura, ma per lo sforzo del combattimento. Le sue armi sono la preghiera che lo fanno arrivare fino in fondo a questo combattimento come vincitore.

La narrazione prosegue con il tradimento di Giuda e l’arresto di Gesù. Per Luca Gesù è il misericordioso, colui che perdona sempre. Solo lui, infatti, nota che Gesù “gli attaccò l’orecchio e lo guarì”, cioè, nel momento tragico dell’arresto non pensa a se stesso, poteva usare la sua potenza per salvare la propria persona, invece la usa per salvare un nemico. Alla violenza risponde con l’amore e a chi gli fa del male, risponde facendo del bene. Gesù viene condotto dal sommo sacerdote e intanto, Pietro, che aveva seguito Gesù, lo rinnega per ben tre volte quando si vede identificato, e: “mentre ancora parlava, un gallo cantò. Allora il Signore si voltò e fissò lo sguardo su Pietro”. Lo sguardo di Gesù, di cui riferisce solo Luca, è significativo, perché è proprio quello sguardo che suscita il ricordo e fa nascere il pentimento.

Dopo il racconto del rinnegamento di Pietro e le varie consegne di Gesù ha inizio il processo vero e proprio davanti a Pilato. Questo racconto è composto di tre scene: Gesù viene condotto a Pilato, Pilato lo manda da Erode che a sua volta lo rimanda da Pilato, infine, Pilato lo consegna alla folla. Le accuse contro Gesù sono sostanzialmente tre: sovverte il popolo, contesta il dovere di pagare le tasse a Cesare, si proclama re. L’accusa principale, in un certo senso, è la prima: “Mi avete portato quest’uomo come sobillatore del popolo”. I capi giudei temono il sovvertimento religioso, tuttavia di fronte a Pilato lasciano intendere che il loro timore riguarda soprattutto il sovvertimento politico. E’ un malizioso rovesciamento di prospettiva che mostra la loro menzogna, perché essi sapevano bene che Gesù non aveva mai sollevato il popolo organizzando gruppi di rivoltosi, o fomentando sommosse, come gli zeloti, ma insegnando, quello che fa paura è la sua dottrina.

La novità più importante del racconto lucano è la comparsa di Erode, presentato come un re dissoluto. A lui interessa vedere qualche prodigio, non indagare sulla verità di Gesù. È un uomo a cui non interessa la verità, di conseguenza Gesù non risponde  alle sue provocazioni, ma questo suo silenzio non è la negazione della sua potenza, cioè di fare miracoli, ma mostra che essa è a servizio di un Dio che non si sottomette alle pretese degli uomini, neppure per affermare se stesso.

Luca sottolinea spesso che Gesù è innocente. Pilato per tre volte dice: “quest’uomo è innocente, non ha fatto niente di male”, ma non ha la forza, per resistere alle pressioni dei giudei che lo accusano di essere un sedizioso e chiedono la liberazione proprio di un sedizioso. In questo passo c’è tutta l’ironia del baratto fra Barabba e Gesù, Luca, infatti, lo descrive così: “Questi era stato incarcerato per una sommossa scoppiata in città e per omicidio”.

Luca, sviluppa poi la via della croce. La strada che conduceva dal palazzo del governatore al luogo dell’esecuzione, fuori le mura, non era molto lunga, ma passava attraverso il centro cittadino: la condanna doveva, infatti, essere pubblica e servire da esempio. Lungo il tragitto i soldati fermarono Simone, un ebreo di Cirene, che tornava dai campi e “gli misero addosso la croce, da portare dietro a Gesù”.

Nella tradizione cristiana, questa frase si riferisce al discepolo che porta la croce dietro il Maestro. Luca, dunque, vuole farci vedere nell’episodio del Cireneo, la figura del discepolo.

Le donne che seguono Gesù dimostrano, con la loro coraggiosa testimonianza, che egli non è un malfattore, ma un profeta che sta subendo la sorte di tutti i profeti: il martirio. Ma Gesù non vuole la compassione, bensì la conversione.  

Il legno verde è Gesù innocente, il legno secco sono quanti, avendo condannato il loro Messia, sono pronti per la punizione.

Segue poi il momento della crocifissione. Luca prosegue raccontando una dopo l’altra le reazioni dei due malfattori “appesi” con lui. Le due figure sono radicalmente contrapposte. Il primo malfattore lo insultava dicendo: “Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi”. Diversamente dal primo, il secondo malfattore confessa senza attenuanti la propria colpa, riconosce l’innocenza e la dignità di Gesù e si affida a lui. Gesù lo accoglie immediatamente con una solenne promessa: “in verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso”.

A sottolineare la singolarità della morte di Gesù ci sono dei segni che la precedono: le tenebre e la rottura del velo del tempio; poi le reazioni del centurione e della folla. Luca dispone i particolari narrativi in modo che i segni straordinari accompagnino la morte di Gesù, spiegano il significato di quella morte, ma non ne sono il frutto. L’evangelista non vede nelle tenebre un simbolo biblico, ma un fatto reale, per sottolineare la straordinarietà dell’evento e non il suo significato biblico. Frutto della morte di Gesù sono il riconoscimento del centurione pagano e la commossa partecipazione della folla.

Deposto dalla croce, il corpo di Gesù viene avvolto in un lenzuolo, precisando che è la vigilia di Pasqua, cioè il nostro venerdì. Il racconto della sepoltura lascia intendere che i discepoli non sono presenti. La sepoltura chiamerà in causa un nuovo personaggio del racconto, Giuseppe d’Arimatea, uomo ricco (possiede un sepolcro vuoto), un membro autorevole del sinedrio (ha l’autorità di presentarsi a Pilato), virtuoso e giusto, osservante della legge, è un pio giudeo. Le donne venute dalla Galilea, non fanno nulla: sono in contemplazione del crocifisso. Queste donne rappresentano la chiesa con le sue note essenziali: seguire Gesù, stare ai piedi della croce, contemplare il crocifisso. La Galilea e la croce sono rispettivamente l’inizio e il termine del cammino di sequela.

 

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