LA TUA VOCE

A CURA DI  IRIS E LUCIA

 

 Ricordiamo l'Olocausto:

“Per Olocausto si intende la persecuzione e l’uccisione sistematica, burocratica e sponsorizzata dallo stato di circa 6 milioni di Ebrei da parte del regime Nazista e dei suoi collaboratori.
‘Olocausto’ è un termine di origine greca che significa “sacrificio col fuoco”.
I Nazisti, che salirono al potere in Germania nel Gennaio del 1933, credevano nella “superiorità della razza Tedesca” e gli Ebrei ritenuti “vita indegna di vita”.
Durante l’Olocausto, i Nazisti perseguitarono anche altri gruppi per la loro presunta “inferiorità razziale”: zingari rom e sinti, portatori di handicap e alcune popolazioni Slave (Polacchi, Russi …). Altri furono perseguitati sulla base delle loro convinzioni politiche e dei loro comportamenti sociali, in particolare i Comunisti, i Socialisti i Testimoni di Geova e gli omosessuali.” Museo degli Stati Uniti sulla memoria dell’Olocausto
Nel Gennaio del 2000, 46 governi, inclusi quelli di 41 Paesi membri dell’OSCE, hanno firmato la Dichiarazione del Forum Internazionale di Stoccolma sull’Olocausto, sottolineando che “l’Olocausto (Shoah) ha sfidato i fondamenti della civiltà. Le caratteristiche senza precedenti dell’Olocausto manterranno sempre un significato universale. Dopo (più di) mezzo secolo, continua ad essere un evento sufficientemente vicino a noi nel tempo da permettere ai sopravvissuti di testimoniare gli orrori che travolsero il popolo Ebraico. Le terribili sofferenze di milioni e milioni di vittime del Nazismo hanno lasciato una cicatrice indelebile anche in tutta Europa. [...] Condividiamo l’impegno a commemorare le vittime dell’Olocausto e ad onorare quanti si opposero. I giorni della Memoria della Shoah sono un fenomeno relativamente nuovo in alcuni Paesi, mentre in altri vantano lunghe tradizioni. I Governi hanno indetto ed organizzato cerimonie ufficiali e speciali sessioni parlamentari in occasione della giornata della memoria dell’Olocausto, che sono state propagandate diffusamente dai media locali, nazionali ed internazionali.
Varsavia, Polonia, uno studio di Stargardt analizza le testimonianze e i diari della generazione cresciuta con il nazismo: la perversione dei valori in nome dell’ideologia
Quei bimbi forgiati dal Terzo Reich - Eutanasia per disabili e «asociali», propaganda martellante per le future leve della pura razza ariana, poi sacrificate in battaglia
«Ero giovane e non mi posi domande». Abbozzando un mea culpa sul giornale israeliano Ha’aretz, lo scrittore premio Nobel tedesco Gunter Grass ha tentato una spiegazione del perché lui, intellettuale impegnato della sinistra tedesca, abbia militato volontario durante la Seconda guerra mondiale nelle Waffen-Ss. «Seguii il percorso di centinaia di migliaia di tedeschi della mia età», ha scritto. Che la si accolga o meno, anche questa mezza autoassoluzione ripropone il tema dell’infanzia cresciuta a pane e Mein Kampf. Quanta parte di «colpa» si può imputare a chi fin dai primi ricordi è stato bombardato dalla propaganda, dall’irreggimentazione paramilitare, dall’ideologia che saturava ogni ambiente della vita dei bambini del Terzo Reich? E quali traumi può aver lasciato l’apocalisse della Seconda guerra mondiale su milioni di giovani che ancora stavano formando la propria personalità?
Ne La guerra dei bambini lo storico tedesco-australiano Nicholas Stargardt ha ordinato diari, testimonianze, disegni raccolti in anni di ricerca. Con un’attenzione particolare, come è giusto, ai bambini più esplicitamente vittime: ebrei, prima di tutto, e poi polacchi e degli altri popoli occupati dai nazisti. Ma Stargardt allarga la prospettiva e include anche i figli dei carnefici, a volte carnefici essi stessi – nelle scuole, nelle formazioni paramilitari, infine anche in battaglia – senza per questo smettere di essere al tempo stesso vittime. Rileggere le annotazioni dei ragazzi negli anni di guerra manifesta una generalizzata assenza di difese interiori contro la propaganda. Lettere e diari rigurgitano di slogan di Goebbels mascherati da riflessioni private. Il martellio monocorde permeava ogni istante di ideologia nazista, calcando su purezza, dovere, disciplina, volontà. L’attenzione per i più piccoli era programmatica, rileva Stargardt: «I bambini rappresentavano una misura di importanza strategica del successo dei nazisti nella realizzazione delle loro visioni utopistiche. Il bambino di pura razza tedesca, onesto e ben educato, veniva considerato il futuro razziale della nazione e si era fin troppo consapevoli che questa era la prima generazione che fosse possibile allevare e plasmare fin dall’infanzia».
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Risvolto «pedagogico» del prometeismo nazista, il forgiare le future generazioni di ariani era perseguito con determinazione e applicando ogni mezzo che la tecnica offriva al Reich. Ecco allora la colossale macchina della Gioventù hitleriana; ecco l’attenzione per testi e programmi scolastici, puntigliosamente arianizzati;

ecco la preoccupazione per la «sanità» razziale. Nei fatti, questo segnò l’ascesa dell’eutanasia – decine di migliaia i casi – contro piccoli malati di mente e disabili, frenata appena dalle voci contrarie della Chiesa cattolica e da quel poco di opinione pubblica che riusciva a penetrare la cappa totalitaria e far valere lo spontaneo inorridire dei tedeschi davanti alla minaccia a una vita che, nonostante tutta la propaganda, si ostinavano a considerare sacra. Quando i gerarchi non trovavano gli estremi per la soppressione, c’erano gli appositi centri di detenzione per «asociali», capaci di «influenze nocive» sui bambini, mentre per i «sani» c’era il fascino del Jungvolk. La divisa, i riti, il cameratismo, la dicotomia tra bene e male, le gite, l’indipendenza dalla famiglia: tutti fattori di forte attrazione per i ragazzi, che il regime non mancò si sfruttare: «L’iscrizione alla Gioventù hitleriana – annota Stargardt – era stata resa obbligatoria per tutti i ragazzi nel 1939 e gli ultimi grandi concorrenti dei nazisti, le organizzazioni giovanili cattoliche, erano state soppresse». La guerra segnò un’impennata del coinvolgimento dei ragazzi come protagonisti, almeno apparenti, della vita della nazione. Raccoglievano materie prime per il riciclaggio, distribuivano aiuti, setacciavano i boschi a caccia di erbe medicinali. Anche a discapito della scuola, sciamavano in continuazione, esaltati ed esaltanti speranze per i l futuro del Reich. Soltanto dopo la svolta del 1942 su di loro si abbatté, oltre a quello psicologico ed educativo, il dramma quotidiano e primario che già da anni affliggeva i loro coetanei non ariani: la fame, la solitudine, il dolore: «Nell’ultima fase della guerra, il regime nazista avrebbe invitato gli adolescenti a sacrificarsi sull’altare della patria, mandando le ragazze alle batterie della contraerea e i ragazzi sul campo di battaglia. Con questo culmine suicida del culto nazista del romanticismo gotico, il regime chiamava alle armi le ultime riserve dell’idealismo giovanile che aveva coltivato mandandolo a morire».
Per i sopravvissuti il buio sarebbe continuato: schiacciati da responsabilità premature, angosciati dal bisogno, feriti dalla dissoluzione di tutto ciò che era stato il loro orizzonte ideale. Il versante infantile della caduta degli dei ha il volto dell’Edmund di Germania anno zero di Rossellini: cresciuto nel culto del Reich e della razza, si ritrova lacero e cencioso, rancoroso, ladro, corrotto, infine parricida. Incapace di adattare quanto aveva imparato alla realtà che aveva davanti, scese i gradini di un personale girone infernale. Fino all’autodistruzione.
Nicholas Stargardt, La guerra dei bambini Infanzia e vita quotidiana durante il nazismo, Mondadori, Pagine 536. Euro 22,00.

Terminiamo citando il discorso fatto da Benedetto XVI, in occasione degli auguri natalizi alla Curia Romana, durante il quale ha sintetizzato le emozioni provate nel corso dei suoi viaggi apostolici, fra cui quello in Polonia: “Nei miei spostamenti in Polonia – ha detto – non poteva mancare la vista ad Auschwitz-Birkenau nel luogo della barbarie più crudele – del tentativo di cancellare il popolo di Israele, di vanificare così anche l’elezione da parte di Dio, di bandire Dio stesso dalla storia. Fu per me motivo di grande conforto veder comparire nel cielo in quel momento l’arcobaleno, mentre io, davanti all’orrore di quel luogo, nell'atteggiamento di Giobbe gridavo verso Dio, scosso dallo spavento della sua apparente assenza e, al contempo, sorretto dalla certezza che Egli anche nel suo silenzio non cessa di essere e di rimanere con noi. L’arcobaleno era come una risposta: Sì, Io ci sono, e le parole della promessa, dell’Alleanza, che ho pronunciato dopo il diluvio, sono valide anche oggi (cfr Gn 9,12-17)”.


 

 

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