LA DONNA NEL TEMPO

A CURA DI  IRIS E LUCIA

LETTERA DEL PAPA GIOVANNI PAOLO II ALLE DONNE

12. Voi vedete, dunque, carissime sorelle, quanti motivi ha la Chiesa per desiderare che, nella prossima Conferenza, promossa a Pechino dalle Nazioni Unite, si metta in luce la piena verità sulla donna. Si ponga davvero nel dovuto rilievo il « genio della donna », non tenendo conto soltanto delle donne grandi e famose vissute nel passato o nostre contemporanee, ma anche di quelle semplici, che esprimono il loro talento femminile a servizio degli altri nella normalità del quotidiano. È infatti specialmente nel suo donarsi agli altri nella vita di ogni giorno che la donna coglie la vocazione profonda della propria vita, lei che forse ancor più dell'uomo vede l'uomo, perché lo vede con il cuore. Lo vede indipendentemente dai vari sistemi ideologici o politici. Lo vede nella sua grandezza e nei suoi limiti, e cerca di venirgli incontro e di essergli di aiuto. In questo modo, si realizza nella storia dell'umanità il fondamentale disegno del Creatore e viene alla luce incessantemente, nella varietà delle vocazioni, la bellezza - non soltanto fisica, ma soprattutto spirituale - che Dio ha elargito sin dall'inizio alla creatura umana e specialmente alla donna.

29 giugno 1995

Le donne raccontate dall'apostolo Paolo: Lidia

 

At 16,11-15

11 Salpati da Troade, facemmo vela verso Samotracia e il giorno dopo verso Neapoli e 12 di qui a Filippi, colonia romana e città del primo distretto della Macedonia. Restammo in questa città alcuni giorni; 13 il sabato uscimmo fuori della porta lungo il fiume, dove ritenevamo che si facesse la preghiera, e sedutici rivolgevamo la parola alle donne colà riunite. 14 C’era ad ascoltare anche una donna di nome Lidia, commerciante di porpora, della città di Tiàtira, una credente in Dio, e il Signore le aprì il cuore per aderire alle parole di Paolo. 15 Dopo esser stata battezzata insieme alla sua famiglia, ci invitò: «Se avete giudicato ch’io sia fedele al Signore, venite ad abitare nella mia casa». E ci costrinse ad accettare.

All'ombra dell'8 marzo (giornata della donna) vogliamo fermarci un pò a fare il punto sulle donne nella vita della Chiesa nascente.

 

Gesù reclutò le donne come discepole. Sostenne la loro dignità. E, quando risorse, si rivelò prima a loro. Ecco perché tra i primi cristiani c'erano anche le sacerdotesse. La liturgia delle prime comunità cristiane esprime con chiarezza la portata innovativa del messaggio evangelico circa le donne. Tutti, infatti, uomini e donne, indipendentemente dal loro ceto sociale, celebravano insieme la cena del Signore. La stessa «corsa della Parola» deve molto alla capacità femminile di tessere reti di comunicazione, e prezioso sarà il ministero della donna nell’opera di evangelizzazione.

La Chiesa primitiva è una domus ecclesiae, «chiesa domestica». Il suo ambiente d’origine non è il tempio e neppure la sinagoga, ma la casa (vedi Atti 2,46), dove si raduna tutta la comunità per la Cena del Signore, il battesimo, la preghiera, le riunioni. E, nella casa, la donna favorisce un ambiente accogliente e un clima di ospitalità, talvolta anche un servizio di animazione e una funzione di guida. Pensate: dato che l’Eucaristia era, almeno in parte, un’evoluzione del Seder , spesso erano le donne che sovrintendevano allo spezzare del pane» . Non esistevano ancora sacerdoti consacrati come li intendiamo noi. All’interno della casa troviamo la donna, che fa da “signora”, con una autorità che gli uomini riconoscono e rispettano; e nella vita pubblica, liturgica, c’è ancora la donna, con la sua possibilità di comunicare i doni dello Spirito, come raccontano gli Atti al capitolo 21,9, in cui si menzionano le quattro figlie del diacono Filippo, residenti a Cesarea Marittima, dotate del "dono della profezia”, cioè – dice Benedetto XVI, «della facoltà di intervenire pubblicamente sotto l’azione dello Spirito Santo». Donne ascoltate, tenute in grande considerazione, rivestite di dignità e libere di condividere il dono ricevuto.

A tal proposito sono interessanti alcuni stralci conclusivi delle Lettere paoline, quelli riservati ai saluti. Non si tratta di brani dottrinali, ma sono fonti preziosissime per la ricostruzione storica del ruolo delle donne nelle prime comunità cristiane. Raccontano le relazioni femminili di Paolo, la sua ricca umanità, la stima, la gratitudine e l’affetto grande per numerose donne che l’apostolo chiama per nome.

Lidia rappresenta la prima conversione in terra europea. Siamo a Filippi, in una colonia romana abitata da molti veterani di guerra (i veterani della famosa battaglia di Filippi durante la quale Ottavio e Antonio, nel 42 a.C., riportarono la vittoria su Bruto e Cassio, assassini di Cesare). Filippi è un grande centro commerciale e urbano, circondato da un vasto territorio destinato all’agricoltura, dove si parlavano molte lingue per la presenza dei romani, dei traci indigeni, dei commercianti greci e asiatici, giudei e africani. Insomma una città cosmopolita.
Arrivati a Filippi, nel giorno di sabato, Paolo, Sila, Timoteo e Luca vanno a pregare nella sinagoga con la comunità ebraica. Roma obbligava tutte le città dell'impero al rispetto della religione ebraica. In una colonia, il culto ebraico era dunque praticato liberamente.
Molto probabilmente qui a Filippi i Giudei erano pochi e non c’era una vera e propria sinagoga. Dove mancava la sinagoga era usanza dei Giudei ritrovarsi lungo le rive di un torrente o un fiume per poter disporre dell’acqua per le abluzioni. Una specie di oratorio all’aperto che non doveva essere molto lontano dall’abitato. Presso gli ebrei infatti, il punto di raduno per il culto doveva sempre essere ubicato in un luogo non molto distante dalla città perché, nel giorno di sabato, agli ebrei era permesso percorrere solo una distanza di poco inferiore a un chilometro.
Gli Atti ci fanno supporre che la comunità giudaica di Filippi disponesse appunto di un oratorio all’aperto, nelle vicinanze del fiume Gangite.
Il racconto di Luca non offre molti dettagli. Vuole solo riferire l'incontro di Paolo e dei suoi compagni con un gruppo di donne che si trovavano sulle rive di quel corso d’acqua.
Paolo e i suoi amici finiscono di raccontare, e solo Lidia si fa avanti a parlare, a fare domande. Lei non è ebrea di nascita. Viene dal paganesimo e poi l’ha attratta la fede di Israele; ora è una "credente in Dio" (così gli ebrei chiamano i nuovi proseliti). In Lidia è avvenuta una trasformazione che gli Atti descrivono sobriamente così: "Il Signore le aprì il cuore per aderire alle parole di Paolo". Lidia diventa cristiana. Nella sostanza e nella forma, perché chiede e riceve il battesimo; insieme alla sua famiglia, nella quale è evidente che comanda lei. Poi, invita Paolo, Timoteo, Luca e Sila a essere ospiti in casa sua. E ci dev’essere un po’ d’imbarazzo in loro: mah, abitare in casa di una donna... E allora la cristiana Lidia li batte in logica e in franchezza con un ragionamento inattaccabile: "Se avete giudicato che io sia fedele al Signore, venite ad abitare nella mia casa". Confessa Luca: "Ci costrinse ad accettare" (Anche i discepoli di Emmaus costrinsero il Signore a restare perchè il sole tramontava.). Nei giorni seguenti, Paolo e Sila finiscono in prigione a causa di un’indovina e dei suoi sfruttatori,  poi vengono liberati miracolosamen-te, e ricevono le scuse dell’autorità, perché Paolo è cittadino romano.
Prima di partire, i due tornano nella casa di Lidia. "E qui, incontrati i fratelli, li esortarono e poi partirono". Poche e illuminanti parole: in quei giorni di predicazione e di avventura ci sono state conversioni, si è formata una comunità di cristiani. E, prima di andarsene, l’apostolo Paolo la riunisce e l’ammaestra. Proprio lì, nella casa della lucida ed energica Lidia, ha preso dunque vita la prima Chiesa fondata in Europa da Paolo di Tarso.

 

 

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