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A CURA DI  IRIS E LUCIA

 Il Signore ci educa al bello

I PRIMI CRISTIANI E IL SIMBOLO DELLA CROCE NELLE CASE E NELLE TOMBE.

L’arte fa riferimento in modo naturale alla dimensione dello spirito, per questa ragione, in modo sottile, può essere veicolo per attirare a temi religiosi anche coloro che non hanno la fede o sono ancora in cammino.  Tutti abbiamo bisogno di Dio, anche se spesso ci trinceriamo, nel corso della vita, dietro barricate di esistenza ripiegata sulla contingenza. Arriva, poi, all’improvviso un segno, una nota che in un istante fa risuonare e vibrare ogni cellula secondo frequenze sconosciute. Il nostro io è colpito disorientato e, dimentico di sé, si apre ad armonie finalmente riconosciute.  Dio che ci parla del suo Amore attraverso ogni cosa, si serve di segni sensibili per attirare a sé. L’arte dei segni è per i vicini, ma è fondamentale per risvegliare i lontani nello spazio e nel tempo. L’arte è come preghiera, permette la comunione fra persone che amano, siano lontane per latitudine o per millenni, distrugge le infrastrutture mentali dell’uomo razionale e attraversa il tempo.

Giovanni Paolo II,  a proposito della visita alle catacombe, durante l’ultimo Giubileo, osservava che questi luoghi “mentre presentano il volto eloquente della vita cristiana dei primi secoli, costituiscono una perenne scuola di fede, di speranza, di carità. [...] Le catacombe parlano della solidarietà che univa i fratelli nella fede” così che nel silenzio “il pellegrino […] può ritrovare o ravvisare la propria identità religiosa in una sorta di itinerario spirituale che, muovendo dalle prime testimonianze di fede, lo porta sino alle ragioni ed alle esigenze della nuova evangelizzazione”[13].

Vogliamo proporre ai lettori un percorso sulle vie dell’arte cristiana a partire dal primo segno: la CROCE.

 

Il tema della Croce è di fondamentale importanza per la fede cristiana, poiché nella Croce di Cristo è la testimonianza concreta e storica dell’avverarsi dell’antica promessa divina di riscatto dalla morte; è il punto di contatto tra il Divino e l’Umano, tra la sofferenza e la gloria; è la manifestazione infinita e compiuta dell’Amore di Dio per l’uomo e per il creato.

 Il fatto che Cristo era stato condannato alla morte di croce, condanna capitale per gli schiavi, i grandi delinquenti, i sobillatori di sommosse e per i disertori, costituiva onta per i non cristiani, come è dimostrato dal graffito anticristiano del III secolo scoperto nel 1856 su un muro del Pedagogium della Domus Augustana sul Palatino, raffigurante un uomo inginocchiato di fronte ad un uomo crocifisso dalla testa d’asino, accompagnato dalla scritta in greco “Alexamenos adora il (suo) Dio”, che denigrava lo schiavo imperiale di nome Alexamenos, divenuto cristiano.

Fin dal I secolo la religione cristiana si diffuse rapidamente in Roma e nel mondo intero, non solo per la sua originalità e universalità, ma anche molto per la testimonianza di fervore, di amore fraterno e di carità verso tutti dimostrata dai cristiani. Le autorità civili, e il popolo stesso, dapprima indifferenti, si dimostrarono ben presto ostili alla nuova religione, perché i cristiani rifiutavano il culto dell'imperatore e l'adorazione delle divinità pagane di Roma.

I cristiani vennero accusati perciò di slealtà verso la patria, di ateismo, di odio verso il genere umano, di delitti occulti, come l'incesto, l'infanticidio e il cannibalismo rituale; di essere la causa delle calamità naturali, come la peste, le inondazioni, le carestie, ecc.

La religione cristiana fu dichiarata : strana et illicita (decreto senatoriale del 35), exitialis - perniciosa (Tacito), prava et immodica - malvagia e sfrenata(Plinio), nova et malefica - nuova e malefica (Svetonio), tenebrosa et lucifuga - oscura e nemica della luce (dall'Octavius di Minucio), detestabilis - detestabile (Tacito); quindi fu posta fuori legge e perseguitata, perché fu considerata il nemico più pericoloso del potere di Roma, basato sull'antica religione nazionale e sul culto dell'imperatore, strumento e simbolo della forza e dell'unità dell' Impero.

I primi tre secoli costituiscono l'era dei martiri, che terminò nel 313 con l'editto di Milano, con cui gli imperatori Costantino e Licinio concessero la libertà alla Chiesa. La persecuzione non fu sempre continua e generale, cioè estesa a tutto l'impero, né fu sempre egualmente crudele e cruenta. A periodi di persecuzioni seguirono periodi di relativa tranquillità.

Nei primi tempi la diffusione del cristianesimo ha dovuto lottare contro diverse avversità, tuttavia, nonostante la clandestinità del culto, i Cristiano da subito hanno parlato e raccontato di Gesù secondo semplici segni che con il tempo  hanno preso corpo secondo armonie che pur parlando della sofferenza di Cristo ne trasmettevano l’Amore profondo.

I primi segni dell’arte dei cristiani nascono nelle case e da qui si diffondono nelle catacombe.

Quando la chiesa era una casa

Alle origini dell’esperienza ecclesiale i cristiani non si radunavano in luoghi "speciali" per il culto.

Negli Atti degli apostoli leggiamo che essi frequentavano il tempio di Gerusalemme, seguendo la prassi celebrativa del culto ebraico (Cfr. At 2, 46; 3, 1; 5, 12.42; 21, 26-30; 22, 17).

Pur non avendo interrotto la partecipazione ai momenti liturgici israelitici, da subito si realizza una celebrazione specificamente cristiana: la fractio panis ("la frazione del pane", cioè l’attuale celebrazione eucaristica").

Il luogo in cui si divideva il pane eucaristico era la casa di un battezzato.

Senz’altro veniva privilegiata una casa particolarmente capiente che potesse accogliere un buon numero di discepoli, com'era quella dove il giorno di Pentecoste "i fratelli radunati erano circa centoventi" (At 1, 15).

I cristiani organizzano queste riunioni per "ascoltare l'insegnamento degli apostoli, vivere nella comunione fraterna, spezzare il pane e pregare" (At 2, 42).

Per fare questo bastava una grande sala da pranzo, poiché l'oggetto principale della riunione era un pasto.

A Cafarnao, uno dei primi esempi di domus ecclesia è la casa di Pietro. Il carattere cristiano della domus-ecclesia  è provato dalla presenza, in molti graffiti del nome e dei monogramma di Gesù, (chiamato Signore, Cristo, l'Altissimo, Dio), da alcune espressioni liturgiche, come Amen, Kyrie eleison, da un'iscrizione molto lunga in paleo-estrangelo che sembra riferirsi all'Eucaristia. La pluralità delle lingue lascia fortemente supporre che la domus-ecclesia non era semplicemente usata dai semplici fedeli locali, ma anche dai pellegrini. La paleografia permette di datare i graffiti dall'inizio dei terzo secolo fino all'inizio del quinto secolo. Questa conclusione associata ai pavimenti in battuto di calce della fine del primo secolo ci induce a pensare che la trasformazione della stanza n. 1 in domus-ecclesia è stata l'opera delle prime generazioni cristiane di Cafarnao.

Se il culto era naturalmente incentrato sulla persona di Gesù, tuttavia, qui non è una sorpresa trovare dei graffiti che portano anche il nome di Pietro.

Dal punto di vista strettamente archeologico, la domus di Pietro, ingrandita e ristrutturata nel quarto secolo, rappresenta una scoperta singolare: può essere descritta come una struttura tripartita con atrio ad est, punto focale ad ovest e separata dal resto del villaggio attraverso un muro di cinta quadrangolare. Questi elementi fondamentali sembrano riecheggiare quello che era stato, sia pure su scala monumentale, il piano generale del Tempio di Gerusalemme. Tali somiglianze concettuali non possono essere interpretate come un caso accidentale, specialmente quando si pensa che durante i primi quattro secoli vivevano a Cafarnao dei cristiani d'origine ebraica.

A Gerusalemme, "la casa di Maria, madre di Giovanni, detto anche Marco, dove si trovava un buon numero di persone raccolte in preghiera" (At 12, 12), quando Pietro era stato messo in prigione.

A Troade, i cristiani si riunivano il primo giorno della settimana in una stanza al piano superiore per spezzare il pane (At 20, 7-8).

A Roma, Paolo saluta Prisca e Aquila e "la comunità che si riunisce nella loro casa" (Rm 16, 3-5).

A Laodicea, la comunità si raduna nella casa di Ninfa (Col 4, 15).

A Colossi, in quella di Filemone (Fm 2).

Il fatto che i primi cristiani non avessero un luogo riservato in maniera esclusiva al culto è in linea con quanto è affermato nella "Lettera a Diogneto" (scritto di autore anonimo del II secolo):

"I Cristiani infatti non si distinguono dagli altri uomini per il loro paese, per la lingua, per gli abiti. Non abitano città che siano loro proprie, non si servono di un qualche dialetto straordinario, il loro stile di vita non ha nulla di singolare. (…) Si distribuiscono nelle città greche e barbare a seconda del lotto che gli è toccato; si conformano alle abitudini del luogo per ciò che riguarda gli abiti, gli alimenti, lo stile di vita (...). Adempiono a tutti i doveri di cittadini e ricoprono ogni incarico come stranieri. Ogni terra straniera è per loropatria e ogni patria una terra straniera. Si sposano come tutti, hanno dei bambini, ma non abbandonano i loro nascituri Condividono la stessa tavola, ma non il letto. Sono nella carne, ma non vivono secondo la carne. Passano la loro vita sulla terra ma sono cittadini del cielo".

L’esperienza di fede come l’esperienza liturgica passano per la quotidianità degli eventi e dei luoghi.

La casa è il luogo della "familiarità", luogo di condivisione.

Ciò che conta è l’esperienza di fede del singolo e della comunità ecclesiale, a prescindere dai luoghi o dai contesti sociali in cui questa debba determinarsi. Come ricorda san Girolamo: "Parietes non faciunt christianos" (Non sono i muri a fare cristiani).

Quando le prime comunità cominciarono a contare un numero sempre crescente di fedeli nacque l’esigenza di una casa da utilizzare esclusivamente per gli incontri comunitari.

Sorgono così le "case della chiesa" (dove per chiesa si intende la comunità dei battezzati).

La "domus ecclesiae" è il primo luogo direttamente conducibile alle attuali chiese-edificio.

È dalla domus ecclesiae che deriva il termine "chiesa" per individuare il luogo di culto.

La riforma liturgica ha rivalutato l’esperienza liturgica della chiesa primitiva, restituendo alle celebrazioni e al luogo in cui si realizzano una forte dimensione comunitaria.

Oggi, senza nulla togliere al sentimento di ammirazione e di omaggio a Dio, si preferisce vedere nella chiesa la "domus ecclesiae", la "casa della comunità", e non tanto un monumento a Dio.

Dalla Domus Ecclesiae alla basilica paleocristiana

Dalle origini della diffusione del Cristianesimo fino al IV secolo d.C., il messaggio evangelico si diffondeva nei territori dell’Impero in piena clandestinità. La minaccia delle persecuzioni, come quella, terribile, di Diocleziano, obbligò i primi cristiani a riunirsi nelle domus ecclesiae: confuse nel tessuto urbano e quasi sempre di modeste dimensioni, apparivano simili, da fuori, a normali case private, mentre all’interno erano costituite da una aula destinata alle assemblee e alla celebrazione del rito.

Le catacombe cristiane, un’intricata tessitura di cunicoli sotterranei che si estende al di sotto della città di Roma, non erano i nascondigli o i luoghi segreti nei quali le prime comunità cristiane si riunivano per sfuggire alle cruente persecuzioni imperiali: la loro destinazione era funeraria, la loro funzione si esauriva, quindi, come cimiteri coperti kata’ ku’mbas (dal greco, sotto terra), soluzione più economica rispetto a cimiteri all’aperto.

La situazione cambiò radicalmente al tempo di Costantino: l’editto di Milano del 313 sancì la piena libertà di culto entro i confini dell’Impero e la nascita della prima architettura cristiana di scala monumentale. Vinto Massenzio nella battaglia del Ponte Milvio nel 312, che secondo la leggenda avrebbe costituito l’occasione dell’apparizione in pieno giorno e poi in sogno del segno del Chrismos, ossia il simbolo della croce come signum salutis, segno di salvezza, elemento pregnante dell’architettura di committenza costantiniana, il nuovo Imperatore intraprese un vasto programma edilizio a Roma, a Milano, a Gerusalemme, a Betlemme e, infine, a Bisanzio, la città da lui stesso fondata nel 324 e destinata a diventare la seconda capitale dell’Impero.

In questo clima di comunione domestica e di Amore vissuto nel nascondimento dei luoghi di sepoltura, la Croce di Cristo diviene segno di riconoscimento, preghiera disegnata per non essere traditi da una scrittura che non avrebbe raggiunto il cuore di tutti, verità storica da far ereditare alle generazioni future.

Nelle più antiche raffigurazioni dell’arte paleocristiana, infatti, vengono rappresentati con chiaro significato soteriologico i simboli della Croce (l’ancora, la svastica, l’Agnello crucifero, il monogramma cristologico composto dalle prime due lettere del nome greco di Cristo X e P), affiancati dalle lettere apocalittiche alfa (A) e omega (Ω), ma senza l’immagine di Gesù crocifisso.

I simboli riuscivano a comunicare ai fedeli il messaggio della redenzione senza scatenare la derisione dei non cristiani, scettici di fronte allo “scandalo” di un Dio condannato alla crocifissione, supplizio tra i più infamanti secondo la cultura diffusa nel mondo antico.

Il Signum Crucis, segno dell’amore di Dio per l’uomo e garanzia di salvezza, acquistò subito valore rituale di efficacia sacramentale (Agostino) e di appartenenza al cristianesimo (si diventa cristiani da quando si viene segnati sulla fronte) e dai cristiani cominciò ad essere compiuto con fede prima di ogni azione.

 L’inventio Crucis ad opera di S. Elena (325) diede sviluppo alla concezione della crux invicta, simbolo della vittoria sulla morte, rapportata non più al crocifisso ma alla venuta gloriosa del Signore.

 

 

 

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