LIBERTÀ DI VIVERE, INNANZITUTTO
Ho assistito, alcune settimane fa, ad uno spettacolo davvero
originale, dal titolo: ”L’altra parte di Ron”. Non un concerto, ma
una vera e propria pièce teatrale, scritta appositamente per Ron,
che ho così scoperto essere, oltre che musicista raffinato, attore
tutt’altro che improvvisato.
Dialogando con alcuni personaggi-chiave della sua esistenza, che lui
stesso interpreta, affronta varie tematiche, non esclusivamente
autobiografiche, come la fede, il successo, l’immigrazione, il
testamento biologico. Filo conduttore, il suo grande amore per la
musica. Sul palco, Ron è affiancato da un solo “attore”, sarei
tentata di definirlo un co-protagonista, che recita nella parte di
se stesso: Mario Melazzini, suo amico di vecchia data. Non si tratta
di un uomo di spettacolo, nella realtà Melazzini è un oncologo,
nonché Presidente dell’AISLA (Associazione Italiana Sclerosi
Laterale Amiotrofica). Un medico che alcuni anni fa scopre di essere
affetto da un male incurabile, appunto la SLA. Chiunque si
perderebbe d’animo in una situazione così terribile. Ma, superato lo
sgomento iniziale, il professor Melazzini affronta la malattia con
straordinario coraggio ed accetta con serenità la perdita
progressiva delle funzioni del proprio corpo; si abitua a dover
dipendere in tutto dagli altri. In un suo libro racconta come,
paradossalmente, la malattia che lo sta uccidendo gli abbia
insegnato a vivere. Una lezione impareggiabile, che quest’uomo
apparentemente debole e costretto su una carrozzina, ma forte e
lucido come pochi, sa trasmettere con grande dignità e semplicità.
Senza retorica e senza polemica, osserva come in questi ultimi mesi
si sia discusso tanto, forse troppo, della libertà di morire. La
vicenda dolorosa, straziante, dell’inconsapevole Eluana ha
monopolizzato le cronache per settimane. Un risalto molto inferiore
è stato dato, invece, ad un’iniziativa promossa dal professor
Melazzini, denominata “Liberi di vivere”. Chi soffre di una malattia
degenerativa, o di un’infinità di altre patologie che impediscono di
respirare autonomamente, di alimentarsi, di comunicare, e sceglie
non di morire, ma di vivere fino in fondo la propria esistenza, ha
bisogno di cure, di sostegno, di strumenti precisi che possano
aiutarlo ad alleviare, per quanto possibile, la sua sofferenza ed il
suo disagio. La famiglia del malato è impreparata ad affrontare una
condizione così dolorosa, e spesso non possiede le risorse
economiche, oltre che morali, necessarie.
Le parole pacate del professor Melazzini suscitano una valanga di
applausi. Ma lui non cerca l’ammirazione del pubblico, quella è
scontata. Cerca di sensibilizzarci sulla necessità di sostenere la
ricerca, e parallelamente ribadisce un concetto fondamentale: il
malato è una persona. Anche se le sue funzioni vitali sono ridotte
all’essenziale, anche se la sua vita sta per spegnersi. Il malato è
un uomo fino all’ultimo istante. E non va guardato con pietà. Va
amato e curato, concretamente. Parole incisive, che non si
dimenticano. E chi era andato a teatro pensando solo di ascoltare
delle belle canzoni, ne è uscito sicuramente arricchito
dall’incontro con un uomo speciale. Ron è passato un po’ in secondo
piano, ma credo che non gli dispiacerà affatto!
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