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Percorrendo pochi chilometri in uscita da Capua da Porta Tifatina, si giunge alla frazione di S. Angelo in Formis; qui per mezzo di una stradina in salita ci si trova di fronte a quello che potrebbe essere identificato come
l'"Arcus Dinae", eretto nel 196 d.C. in nome dell'imperatore Settimio Severo. Questo arco, che fa mostra di elementi risalenti a varia epoca, può farsi risalire all'undicesimo secolo e con
buona probabilità doveva servire da ingresso all'antico monastero benedettino.
Oltrepassato l'arco, si accede ad un grande spazio che, tra due ali di cipressi, offre da un lato, un bellissimo panorama nel quale è facile riconoscere il profilo di Capua, dall'altro la meravigliosa basilica benedettina di S. Angelo in
Formis, uno dei monumenti più significativi della cultura dell'Italia meridionale.
BASILICA BENEDETTINA
La zona dove sorge la basilica benedettina, sul monte Tifata, era detta "in Formis" per gli acquedotti che dai Tifatini giungevano a Capua ed era famosa per aver ospitato un tempio dedicato a Diana Tifatina e poi, sulla sue
vestigia, l'attuale basilica. Pur non potendo stabilire con esattezza la data in cui fu fondata la primitiva basilica, quella cioè che precedette la riedificazione desideriana, essa può
essere collocabile alla fine del sesto secolo, periodo in cui il culto pagano fu definitivamente soppiantato da quello cristiano.
È comunque certo che una chiesa già esistesse al tempo del vescovo di Capua Pietro I (925-938), che la concesse ai monaci cassinosi per costruirvi un monastero. Nel 943, l'abate Baldino Sicone, vescovo di Capua, la tolse ai
cassinesi per darla in beneficio al suo diacono, per restituirla poi ai monaci del papa Marino II. Successivamente nel 1065 il vescovo Ildebrando la concesse a Riccardo I Principe di Capua e Conte di
Aversa, che a sua volta la donò alla Badia di Montecassino retta dall'abate Desiderio. Ed è proprio all'abate Desiderio che si deve la riedificazione della chiesa, il suo ampliamento
e l'abbellimento con preziosissimi affreschi, che consegnandoci un documento di inestimabile valore per l'arte dell'undicesimo secolo nel mezzogiorno d'Italia, ne fa un riferimento insostituibile dell'arte pittorica italiana.
La chiesa era originariamente a una sola navata e con il portico a tre archi, come conferma la miniatura del Regeto di S. Angelo in Formis che illustra il principe Riccardo all'atto della donazione della basilica all'abate
Desiderio avvenuta nel 1072. L'attuale impostazione a tre navate con portico a cinque archi è da ascriversi al volere di Desiderio come testimonia l'affresco sul lato sinistro
dell'abside maggiore in cui si legge la figura dell'abate che regge il modello della basilica ampliata e abbellita con una particolarità: il campanile si trova a sinistra della facciata.
La chiesa, rivolta a oriente verso Capua, presenta una facciata con portico a cinque fornici, al quale si accede per
mezzo di quattro gradini marmorei, e un campanile non alto ma di impatto possente. Quattro colonne, due di granito e due di marmo, insieme ai due pilastri laterali, fanno da sostegno a quattro archi ogivali, con volte a crociera e
quello centrale a tutto sesto; le cinque voltine sono a botte.
Due colonne di granito grigio sormontate da capitelli corinzi, anch'essi materiale di spoglio sporgenti dal muro per metà, sono poste ai lati della porta. Dal portico, per mezzo di tre scalini marmorei, si accede alla chiesa.
Nell'arco della volta centrale sono poste due lunette: su quella superiore ricollocata nel 1992, dopo essere stata staccata e restaurata, è rappresentata la Vergine tra angeli vestita alla foggia bizantina, su quella inferiore
l'Arcangelo Michele, cui si deve l'intitolazione della Chiesa. Le quattro ogive trattano scene dalla vita dei Santi Antonio e Paolo. La sopraelevazione della navata centrale è occupata nella
sua parte inferiore da tre finestre a pieno centro, mentre nel timpano triangolare è visibile una finestrella anch'essa
a tutto sesto.
A completare la generale visione d'insieme della facciata vi è il campanile, situato alla destra della chiesa a poca distanza da essa. Esso, dopo il crollo verificatosi in seguito ad un terremoto o un incendio, fu riedificato nella
posizione opposta a quella originale e cioè alla destra della facciata. Simile ad un torrione per la sua sagoma massiccia, presenta un basamento, un piano inferiore in blocchi di travertino e lastre di marmo, ed una parte superiore in
mattoni. Le pietre del basamento provengono da un antico edificio romano. Il primo piano in blocchi di pietra presenta su due lati delle feritoie e alla sommità una cornice
di coronamento in marmo di pregevolissima fattura. Il piano terminale è in mattoni rossi e appare alleggerito dalle quattro bifore a pieno centro una per lato.
L'architettura interna della basilica, nella sua semplicità e chiarezza, è basata sul tipico schema planimetrico
di tradizione paleocristiana adottato però senza transetto. La scansione della pianta presenta quattordici colonne, disposte su due file di sette, che si concludono verso l'abside con pilastri poligonali in muratura, sormontati da capitelli
romanici, mentre nella controfacciata si concludono con le due mezze colonne in tufo sormontate da analoghi capitelli.
La navata centrale è più larga e più lunga delle laterali con cui è messa in comunicazione, per mezzo di otto archi a tutto sesto per ciascun lato, sostenuti da quattordici colonne di uguale grandezza, due di granito, le altre di
marmo cipollino, tutte sormontate da capitelli corinzi. Le colonne derivano, molto probabilmente, dall'antico tempio di Diana Tifatina e si possono far risalire alla metà del primo secolo
d.C..
Le tre navate terminano in tre absidi semicircolari di cui la centrale è più profonda e sopraelevata; al suo interno era collocato un altare cui si accedeva per mezzo di alcuni gradini. Irrimediabilmente perduto risulta l'altare
maggiore originario, al cui posto fu eretto uno strano baldacchino marmoreo, eliminato solo in seguito a lavori di restauro e sostituito da un grosso sarcofago strigliato posto su tre
gradini marmorei, provenienti dal chiostro maggiore del Museo di S. Martino.
Delle tre absidi, le due laterali presentano una piccola monofora, mentre l'abside centrale pur presentando tracce di tre finestre, è completamente cieca. Desiderio utilizzò nel progetto della nuova basilica l'abside di quella antica,
ma ne fece chiudere le aperture per rendere possibile da parte dei pittori lo svolgimento del programma pittorico prestabilito.
Nel 1927 il soffitto in tela con disegni lacunari fu sostituito da un tavolato in legno mentre l'ultimo restauro,
realizzato dalla Soprintendenza di Caserta e Benevento, ha opportunamente riportato in vista la struttura lignea del tetto, ricostituendo l'ambiente interno originario e conferendo al ciclo di affreschi un maggiore respiro spaziale.
Elemento di particolare pregio è sulla sinistra il pulpito di forma quadrata arricchito nella parte inferiore di un'aquila acefala scolpita in pietra, che regge tra gli artigli il Vangelo. Accanto al pulpito, posta su di un antico capitello
corinzio rovesciato, c'è una bianca e sottile colonna in marmo che fungeva da candelabro per il cero pasquale. Ai lati dell'ingresso vi sono due acquasantiere: quella di destra è un'antica ara di epoca tardo romana, mentre l'altra a
sinistra è un capitello romanico che poggia su di un rocco di colonna in cipollino.
Ancora a sinistra dell'ingresso, è situato il fonte battesimale formato da due rocchi di grosse colonne scanalate la cui provenienza può essere ricercata o nell'ambito del Santuario di Diana oppure in altri edifici della zona. Da
segnalare la decorazione del pavimento per la identificazione della maggior parte di essa con l'originale tassellato dell'antico tempio di Diana. Precisamente il tratto dinanzi all'altare attuale a tessere più fini, può essere attribuito
alla cella dell'antico tempio, quello a tessere bianche ma irregolari alla zona circostante la cella. Le lastre marmoree che separano questi due tipi di tessere sarebbero state aggiunte in epoca medievale per coprire la traccia del muro
della cella, in seguito all'abbattimento di quest'ultima.
Da notare presso la porta della sagrestia una grande pietra marmorea rettangolare ornata da un bellissimo motivo geometrico a mosaico.
L'interno della basilica offre una eccezionale serie di decorazioni pittoriche: l'abside centrale, le due laterali, la navata centrale e quelle laterali, la controfaccia sono totalmente decorate da affreschi, databili tra il XII e il XIII
secolo, la cui scansione in fasce e riquadri si inserisce armonicamente nello spazio architettonico.
Si tratta di espressioni artistiche differenti tra loro che denunciano la presenza a S. Angelo in Formis di vari artisti al fianco di maestranze locali che lavorano nel solco della tradizione
bizantina pur con supporti marginali di tipo occidentale che sono evidenti sia in spunti iconografici che in componenti stilistiche.
Lungo le navate della basilica, sono riconoscibili scene di profeti e re dell'Antico Testamento, scene del Nuovo Testamento e sulla parete di controfacciata il grande affresco del Giudizio Finale, di cui si è perso il volto del
maestoso Cristo Giudice per la realizzazione di una apertura circolare durante i lavori del 1732.
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