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Norme per la trasmissione televisiva della messa
Episcopato italiano - Roma, 14/06/1973 209 Nell’ambito dei mezzi di comunicazione sociale, grande importanza hanno le trasmissioni televisive, per il numero sempre crescente di telespettatori che esse raggiungono e per l’influenza notevole che esercitano su di essi. Il decreto conciliare sulle comunicazioni sociali Inter mirifica raccomanda che si sostengano efficacemente i programmi televisivi e "si promuovano con impegno le trasmissioni cattoliche, mediante le quali gli operatori vengano orientati a partecipare alla vita della Chiesa e ad assimilare le verità religiose" (IM 14). 210 Ora, tra queste trasmissioni, un rilievo particolare assumono quelle riferite alla liturgia e alle celebrazioni liturgiche, sia in linea di principio, perché la liturgia è "culmine e fonte" della vita della Chiesa (cf. SC 10), sia nella contingenza concreta dell’attuazione della riforma liturgica voluta dal concilio. La traduzione dei principi e di norme in esperienza liturgica vissuta, l’immediatezza delle immagini e la recettività dei telespettatori fanno sì che una trasmissione televisiva, per la sua diffusione, incida assai più di altri mezzi di comunicazione sociale per far conoscere le istanze della liturgia, e la traduzione di queste istanze nelle modalità del suo rinnovamento. 211 Vantaggi grandi, dunque, ma anche possibili pericoli. Tutto bene, e provvidenzialmente, se le trasmissioni sono davvero in linea con la liturgia, quale la vuole e la presenta la Chiesa; ma se il mezzo televisivo servisse per indulgere a forme liturgiche indebite e arbitrarie, o per trasmettere celebrazioni sciatte, incolori e chiuse al rinnovamento, si rischierebbe - rischio non immaginario - di portare smarrimento nei fedeli, e di sovvertire praticamente il giusto cammino della riforma. 212 Giustamente a questo problema già aveva accennato la costituzione conciliare sulla sacra liturgia: "Le trasmissioni... televisive di funzioni sacre, specialmente se si tratta della santa messa, siano fatte con devozione e decoro, sotto la direzione e la garanzia di persona competente, destinata a tale ufficio dai vescovi" (SC 20). E sul medesimo problema si trattenne poi l’istruzione Eucharisticum mysterium: "Quando, secondo lo spirito dell’art. 20 della costituzione sulla sacra liturgia, la messa è trasmessa per radio e televisione, gli ordinari provvedano a che la preghiera e la partecipazione dei fedeli non ne siano turbate, e che, d’altra parte, la celebrazione si svolga con tale cura e decoro, da risultare esempio di celebrazione del sacro mistero secondo le leggi del rinnovamento liturgico" (EM 22). 213 Ecco perché si ritiene opportuno, dopo una breve informazione sullo stato attuale delle cose in materia, richiamare alcuni principi e dettare alcune norme da tener presenti nella trasmissione televisiva della messa e delle celebrazioni liturgiche in genere. Principi 214 1. La liturgia, e tanto più la messa, che ne è il centro, in quanto "esercizio del sacerdozio di Gesù Cristo", è "azione sacra", e sacra "per eccellenza" (SC 7). Tutto quindi quello che rientra nell’ambito celebrativo - luogo, persone, atteggiamenti, testi, canti, ecc. - deve rispecchiare questa sacralità. 215 2. La celebrazione della messa è "azione di Cristo e del popolo di Dio gerarchicamente ordinato" (IGMR 1). Di qui l’esigenza che nella celebrazione sia convenientemente affermato sia l’aspetto gerarchico in chi presiede, sia quello comunitario in tutti i partecipanti, ognuno dei quali, "ministro o semplice fedele, deve fare tutto e solo ciò che, secondo la natura del rito e le norme liturgiche, è di sua competenza" (SC 28). 216 3. La messa è un unico atto di culto, che consta di due parti, intimamente e organicamente connesse tra loro: liturgia della parola e liturgia eucaristica. L’una e l’altra parte sono regolate, nel loro contenuto e nel loro svolgimento, da apposite norme dei libri liturgici: a queste norme devono fedelmente conformarsi sacerdoti e fedeli. 217 4. Data l’importanza della liturgia in genere e della messa in specie nella vita della Chiesa, regolarne la celebrazione "compete unicamente all’autorità della Chiesa. Di conseguenza, nessun altro, per nessun motivo, anche se sacerdote, osi di sua iniziativa aggiungere, togliere o mutare alcunché in materia liturgica" (SC 22; cf. 39). 218 5. "La sacra liturgia è principalmente culto della maestà divina, ma è pure ricca fonte di istruzione per il popolo fedele". Perché questo si avveri in concreto, "i riti splendano per nobile semplicità, siano chiari nella loro brevità e senza inutili ripetizioni; siano adattati alla capacità di comprensione dei fedeli, né abbiano bisogno, generalmente, di molte spiegazioni" (SC 33, 34). 219 6. Il fatto che la liturgia sia "azione" esige che tutti i presenti alla messa vi partecipino davvero attivamente, soprattutto con la comunione eucaristica. Da parte sua anche il sacerdote che presiede deve tener conto dell’assemblea e adattare ad essa, entro i limiti consentiti dai libri liturgici, lo svolgimento della celebrazione. 220 7. Tra le varie forme di partecipazione comunitaria, una delle più espressive è quella del canto, specie se di tutta l’assemblea; vi si deve dare molta importanza, tenuto conto delle capacità concrete dell’assemblea liturgica. Anche la musica sacra presta un buon servizio nella celebrazione liturgica, sebbene "non ogni genere di musica, si tratti di canto o di suono, debba ritenersi adatto allo stesso modo ad alimentare la preghiera e ad esprimere il mistero di Cristo" (Sacra congregazione per il culto divino, Istruzione Liturgicae instaurationes, n. 3c). 221 8. Quanto all’uso di strumenti, giova ricordare quanto è detto nell’istruzione sulla Musica sacra (n. 63): "Gli strumenti che, secondo il giudizio e l’uso comune, sono propri della musica profana, siano tenuti completamente al di fuori di ogni azione liturgica e dai pii e sacri esercizi". Questo perché le espressioni musicali ammesse nel culto devono essere "in sintonia con lo spirito dell’azione liturgica e conformi alla natura di ciascun momento di essa, non essere di impedimento alla partecipazione attiva di tutta l’assemblea e indirizzare alla sacra azione l’attenzione della mente e il fervore dello spirito" (Liturgicae instaurationes, n. 3c). Trattandosi di trasmissioni che interessano tutto il territorio nazionale, autorità competente in materia non sono i singoli vescovi, ma la Conferenza episcopale italiana. Indicazioni e norme 222 Dai principi sopra esposti, derivano le norme seguenti. 9. Si dovrà anzitutto fare in modo che la celebrazione teletrasmessa, data la sua diffusione in tutto il territorio nazionale, si svolga secondo il calendario liturgico comune. Se particolari ricorrenze locali consentissero o consigliassero una messa diversa da quella del calendario comune, la cosa si dovrebbe opportunamente sottolineare nella presentazione della trasmissione. 223 10. Le richieste fisse di trasmissioni, in occasione di manifestazioni o "giornate" varie non coincidano di norma con ricorrenze particolarmente importanti dell’anno liturgico, quali le grandi solennità, o i cosiddetti "tempi forti" di avvento, quaresima e tempo pasquale. 224 11. La celebrazione teletrasmessa deve conservare integralmente la sua sacralità. Sarà quindi compito degli organizzatori - tecnici, parroco o rettore della chiesa, maestro di canto, animatore di assemblee, ecc. - tutto predisporre perché la disposizione dell’ambiente, l’insieme della celebrazione, la scelta dei canti e relativo accompagnamento, le intenzioni della preghiera universale, gli atteggiamenti stessi dei partecipanti rientrino davvero in questo clima sacro, secondo le norme dell’autorità competente. Si curi in particolare che le telecamere, con l’immancabile andirivieni di operatori e tecnici, non invadano lo spazio d’immediata adiacenza all’altare. 225 12. Un impegno particolare spetta al celebrante. Il suo compito presidenziale infatti esige che egli sia naturalmente dignitoso negli atteggiamenti, chiaro nella dizione dei testi, semplice e breve nelle eventuali didascalie ammesse dal rito; che, in particolare, prepari con cura l’omelia, preferibilmente scritta, in modo che rientri nella proclamazione della parola di Dio, a commento e applicazione dei testi della messa in atto. 226 13. La celebrazione deve essere vera ed esemplare. La "verità" televisiva esige che in tutti gli aspetti celebrativi si tenga presente non soltanto l’assemblea che partecipa, ma la più grande assemblea moralmente presente attraverso il video. L’"esemplarità" esigerebbe anzitutto la preferenza data a chiese liturgicamente idonee; essa inoltre deve far ricordare che la celebrazione non è sperimentazione di riti, né esibizione di usi o particolarismi locali, ma espressione fedele della liturgia così com’è approvata dalla Santa Sede e dalla Conferenza episcopale italiana, autorità competente per tutto il territorio nazionale. Il richiamo a una fedele osservanza delle norme, senza mutamenti arbitrari nei riti, negli atteggiamenti e nei testi dei libri liturgici deve essere qui particolarmente ribadito: ne può andar di mezzo la genuina attuazione della riforma, con ammirazione o smarrimento dei fedeli. Sempre per motivi di "esemplarità", non si dovrebbero teletrasmettere messe celebrate per soli gruppi particolari, per es. messe per gruppi giovanili, per evitare che si generalizzino indebitamente aspetti limitati ai gruppi stessi. 227 14. Si osservino in particolare le norme che mettono in risalto, nella celebrazione, i compiti presidenziali del sacerdozio ministeriale del celebrante, accanto a quelli del sacerdozio comune dell’assemblea. Solo al celebrante, o eventualmente ad altro sacerdote o diacono, spetta pronunciare l’omelia, come a lui solo compete la recita di tutta la grande preghiera eucaristica (cf. EM 11; IGMR 60). 228 15. Non s’indulga a certe forme estrose che, sotto pretesto di una maggior incidenza esistenziale, possono travisare il senso e la portata di un rito o la decorosa sacralità di un atteggiamento. Così, per esempio, per dare il segno della pace, il sacerdote non deve mai discostarsi dall’altare. 229 16. Per quanto si riferisce al canto e alla musica in particolare, si preferisca, per quanto possibile, il canto di tutta l’assemblea, eventualmente alternato con quello della "schola", e si dia anzitutto rilievo a quei momenti e a quelle parti che nella celebrazione esigerebbero per l’appunto il canto: l’ingresso del celebrante, l’alleluia, il "Santo", il momento della comunione, il ringraziamento dopo la comunione stessa. Siano però canti debitamente approvati, in cui emerga anzitutto un testo dottrinalmente sicuro e spiritualmente ricco; ma anche la melodia s’ispiri a quel "sensus Ecclesiae", senza il quale il canto, invece che aiutare a fondere gli animi nella carità, può invece essere fonte di disagio, di dissipazione, di incrinatura del sacro, quando non di divisione nella stessa comunità dei fedeli (Paolo VI). 230 17. Una parola infine per il commentatore televisivo. Chi segue dal video la celebrazione teletrasmessa, desidera vedere, ma anche sentire: sentire soprattutto i canti, che hanno tanta importanza nello svolgimento del rito. Converrà quindi ridurre i commenti al puro indispensabile, tanto più che molte cose si comprendono ormai o s’intuiscono. D’altra parte anche un po’ di sacro silenzio può giovare piuttosto che nuocere alla trasmissione. 231 18. L’Ufficio nazionale delle comunicazioni sociali, attraverso il delegato per il settore audiovisivi e l’Ente dello spettacolo, curerà l’applicazione delle presenti norme in tutto il territorio nazionale. Conclusione 232 In tal modo, la trasmissione televisiva diventerà una testimonianza: testimonianza non solo di un clero e di un’assemblea che s’impegnano in una celebrazione ben fatta, ma testimonianza di tutto un popolo che guarda, che ascolta, che prega, che canta, e professa così la sua fede. Roma, 14 giugno 1973. |
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