Quinto Martedì:
Le sette parole di Gesù
Martedì,
23 marzo 2010, si è svolto il quinto ed ultimo incontro di
formazione per gli operatori pastorali.
Lo scorso, 16 marzo 2010, abbiamo vissuto un momento di Lectio
Divina personale, la quale ha avuto come oggetto la storia di
Giuseppe. L’esperienza è stata vissuta con entusiasmo ed interesse
vivo, per molti si è trattato di una vera novità, altri hanno
ricevuto un nuovo impulso verso una pratica che dimentichiamo perché
presi nei rivoli di molti e, spesso inutili, impegni.
Questa sera, Diego ha voluto riportarci indietro nel tempo, nella
Spagna del 1100. Siamo in Quaresima e quale modo più prezioso per
concludere questo ciclo di incontri se non riprendendo l’antica
liturgia del Venerdì Santo sulle Sette Parole di Gesù sulla Croce?
La riflessione sulle ultime parole di Gesù nasce in epoca medievale
come necessità di meditazione e preghiera, attraverso la quale è
possibile cogliere i frutti della venuta di Nostro Signore.
Nel XVI secolo San Roberto Bellarmino volle tornare a questa pia
pratica, consegnandoci quello che possiamo definire una preziosa
chiave per l’ascolto di Dio.
1. “Padre perdonali perché non sanno quello che fanno” Lc 23, 34
Sono le prime parole, ci aprono gli occhi sul vero cuore di Dio, la
grandezza del Suo perdono anche di fronte alla morte del Suo Figlio.
2. “In verità ti dico, oggi sarai con me in Paradiso” Lc 23, 43
Le porte del Paradiso sono aperte una volta per tutte a chi
riconosce Cristo quale Signore della propria vita. Non solo,
possiamo fin da ora sentirci in Paradiso se scorgiamo Gesù accanto a
noi, anche se siamo nelle difficoltà.
3. “Gesù, disse alla madre: donna ecco il tuo figlio. Poi disse al
discepolo: ecco la tua madre. E da quel momento il discepolo la
prese nella sua casa.” Gv 19, 25-27
Gesù è sulla croce morente, un figlio pianto da sua madre, tuttavia
il suo cuore parla come quello di un padre. Non si chiude nella
sofferenza fisica, ma guarda lontano pensando all’affidamento di due
persone amate, affinchè nella comunione sentano meno forte il dolore
di una mancanza. Il dono dell’accoglienza di Maria possa essere vivo
anche nelle nostre case, Lei ha colmato il cuore di Giovanni dando
agli altri la sua semplice maternità, così come aveva fatto a Cana.
Quando c’è Maria non manca nulla.
4. “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? Mc 15, 33-36
La terra è ormai avvolta nel buio, anche Gesù avverte l’oscurità che
si spinge fin dentro la sua anima. Parla di “abbandono”, tuttavia si
rivolge a Suo Padre. Nel buio della mente e dello spirito non si
allontana dal cerchio dell’Amore Divino. Ringraziamo di cuore il
Signore del fatto che ci tiene legati al Suo Amore anche nei momenti
di “abbandono”.
5. “Ho sete” Gv 19, 28-29
E’ la richiesta semplice sommessa di un malfattore, Gesù sapeva di
essere visto così. Lui si rende piccolo impotente bisognoso di
aiuto. Chiediamo la Grazia della Carità e della Pazienza nella
sofferenza.
6. “Tutto è compiuto!” Gv 19, 29-30
Sono le parole con le quali Gesù rivela a noi il fine della Sua
venuta. La Sua vita spesa nell’annunciare l’Amore di Dio si
trasforma in dono, ora l’Amore è giunto alla sua pienezza. Non ci
sono commenti che possano spiegare oltre, solo la presa piena di
coscienza che la venuta al mondo di Gesù è stata un atto di solo e
puro Amore di Dio per noi.
7. “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito.” Lc 23, 46
La morte di Gesù ormai è vicina, Lui ha sperimentato tutto della Sua
umanità, il Suo Amore appassionato per gli uomini non poteva
calcolare le conseguenze. Tuttavia, il Suo dare la vita non è un
salto nel buio, è un gesto concreto che nasce dall’abbandonarsi alla
Volontà del Padre. Chiediamo al Signore di sperimentare il vero
abbandono in Lui, perché, come scriveva San Giovanni della Croce:
“Egualmente da suoi voli è trattenuto l’uccello coi lacci di sodo
fil di rame, o del più sottile e delicato filo; poiché quando l’uno
o l’altro impedimento non franga, non può nel volo esercitarsi. Così
l’anima del pari che dall’affetto è legata ad umane cose, per
piccole che siano, sinchè duran quei lacci, non può a Dio
camminare."
Mena e Lucia
Nell’ultimo
dei Martedì Quaresimali Diego Benites ci ha condotto alla riscoperta
delle Ultime sette parole di Gesù sulla croce. Questa funzione,
parecchi anni fa molto diffusa per le celebrazioni del Venerdì
Santo, è stata in questi ultimi tempi “rispolverata”, tanto è vero
che anche il papa Benedetto XVI, in occasione dei festeggiamenti per
il suo onomastico, ha assistito alla rappresentazione dell’opera
composta da Franz Joseph Hayden.
La celebrazione delle Sette ultime parole di Gesù sulla croce è
stata la giusta chiusura del nostro cammino alla ricerca della
Misericordia di Dio nella Bibbia. Queste ultime parole sono un
“concentrato” dell’Amore di Dio! D’altra parte la “Passione” di
Cristo rappresenta l’Amore stesso che Dio nutre nei confronti di
tutti gli uomini: è l’ Amore senza limiti e senza confini di chi non
giudica la “meritevolezza”, non calcola i mezzi, non misura la
contropartita e non valuta le conseguenze, ma Ama, Ama soltanto!
Anche a costo di morire, ma morire per Amore e con Amore. Che Gesù
fosse morto in croce per Amore nostro è una di quelle cose che
sappiamo da piccoli, ma lasciare che il cuore si apra e assapori
tutto l’Amore con cui Gesù ha portato a termine il suo compito è
tutta un’altra esperienza, perché da queste parole trasuda una
modalità d’Amore di cui commuoversi e nutrirsi.
PRIMA PAROLA Padre, perdona loro perchè non sanno ciò che fanno
(Luca 23,34)
Gesù aveva taciuto davanti alle menzogne del processo e
all’umiliazione e alla fatica della salita verso il Calvario e solo
ora, sospeso tra cielo e terra, inchiodato e senza alcuna difesa, in
una disfatta che sembra totale, parla. E la prima parola che udiamo
da lui sulla croce è “perdono”, cioè per-dono, ossia dono al
superlativo! Che cosa poteva aggiungere di dolcezza, di carità a
questa preghiera al Padre? Invece gli sembrò poco implorare il
perdono, volle anche scusare: crocifiggono, ma non sanno chi
crocifiggono, mi ritengono un trasgressore della legge, un
presuntuoso che si fa Dio, un seduttore del popolo, non hanno
riconosciuto la mia maestà. Gesù ha avuto cura della nostra
mediocrità e piccolezza!
SECONDA PAROLA In verità ti dico, oggi sarai con me in Paradiso
(Luca 23,43)
Gesù è inchiodato alla croce tra due malfattori, provocato e deriso
dai capi e dai soldati, abbandonato dai discepoli, guardato da
lontano dalla folla che prima l’aveva seguito, ascoltato e osannato
per le sue parole e i suoi miracoli. Ora è il più inconcepibile
scandalo dell’impotenza, è un re che non si difende e che non è
difeso da nessuno. Soltanto il «buon ladrone» riconobbe nel suo
compagno di sventura un vero re, che pativa ingiustamente il
misconoscimento e l’ ingratitudine. «Gesù, ricòrdati di me quando
entrerai nel tuo regno»: con queste parole ha commesso “l’ultimo
misfatto”, rubando il passaporto per entrare nel più bello di tutti
i regni e ricevere in eredità una ricchezza incalcolabile. Ebbe,
infatti, la grazia di sentirsi dire: «Oggi con me sarai nel
paradiso» ( Lc 23,43). Questa di Gesù è una promessa per la morte in
croce, ma anche per la vita, perché in ogni momento di buio e di
croce lui è con noi.
TERZA PAROLA Gesù disse alla madre: “Donna, ecco tuo figlio!”. Poi
disse al discepolo: “Ecco la tua madre!” (Giovanni 19,25-27)
Gesù è agonizzante, sotto la croce ci sono Maria , la Madre e
Giovanni, il discepolo prediletto, entrambi capaci di un amore che è
totalità e dedizione, senza paura di morirne. Gesù li guarda, e
anche in questi momenti di dolore acuto e profondo, ne ha cura.
«Donna, ecco tuo figlio!… Ecco tua madre!». La consegna della Madre
al discepolo è il supremo testamento d’amore lasciatoci da Gesù.
Mentre sta presso la croce e consuma nel cuore l’immenso dolore
della Passione del Figlio, dal Figlio stesso Maria è investita di
una maternità spirituale e universale che la rende grande più di
ogni altra creatura. Diventa madre di tutta l’umanità, perché – come
dice sant’Agostino – Gesù, in forza del suo amore, essendo unico
presso il Padre non ha voluto rimanere solo ( Discorsi, 194,3).
Giovanni la prende con sé per riceverne le cure quale figlio, ma
anche per averne cura come di una madre cui è dovuto immenso amore,
profonda riverenza e devozione. Da questo momento Maria è la Madre
della Chiesa, la nostra Madre, la riceviamo come Madre da amare, da
onorare; la riceviamo per darle ascolto, per obbedire ai suoi
suggerimenti, per camminare con la sua guida nella via della luce
quali veri figli di Dio.
QUARTA PAROLA Dio mio, Dio mio, perchè mi hai abbandonato? (Marco
15,33-36)
Dopo aver pronunziato il suo «testamento spirituale» e aver
consegnato la Madre al discepolo amato, Gesù è ora totalmente
spoglio di ogni divina e umana ricchezza, grida tutta la sua
desolazione e l’angoscia di uomo che sperimenta la dolorosa assenza
di ogni sostegno vissuta come assenza di Dio stesso, come stato di
abbandono totale: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». E’
l’ora culminante dell’agonia in cui Gesù assume veramente tutta la
desolazione, l’angoscia, la paura, il terrore della morte che
abitano nel cuore dell’uomo. Il pianto di tutto il dolore delle
generazioni umane passa attraverso il cuore di Cristo, sale dalla
terra, penetra nei cieli e ferisce il cuore del Padre. «Dio non può
averlo abbandonato – spiega sant’Agostino – perché lui stesso è
Dio». Eppure prova questo abbandono, vive questa estrema
desolazione, cade in questo abisso dove le tenebre sono assolute. È
un mistero. Al grido straziante del Figlio, come a quello dell’uomo,
Dio non si fa sentire, non interviene. E tuttavia non è un Dio
assente; è un Padre che, per folle amore, immola il Figlio e nel
Figlio del suo amore immola il proprio cuore, che, tutto donato,
diventa puro silenzio. Ma in quel silenzio c’è la più alta risposta,
la più sofferta «com-passione». È un’ora buia; è l’ora più buia
della storia, ma è anche il grembo del nuovo giorno, per la nascita
di un mondo nuovo, per il sorgere di una nuova luce. L’ora in cui
Colui che è la Vita si consegna alla morte è l’ora della massima
fecondità: è la vera Vita che si genera a prezzo della morte.
QUINTA PAROLA Ho sete (Giovanni 19,28-29)
Dopo il grido di dolore rivolto al Padre e dopo aver affidato la
Madre al discepolo Giovanni, Gesù come un mendicante e un moribondo
dice: «Ho sete». Già all’inizio della sua missione pubblica aveva
chiesto alla samaritana da bere e l’aveva poi lui stesso dissetata
rivelandosi come Colui che doveva venire a salvarci. Di che cosa ha
sete Gesù? È sete di amore. Ha sete di noi, della nostra salvezza,
della nostra fede, del nostro amore. Madre Teresa di Calcutta
commentava queste ultime parole di Gesù, dicendo: «Ho sete: queste
parole di Gesù non riguardano solo il passato, ma sono vive qui e
ora, dette a noi... Finché non comprendiamo nel profondo del nostro
essere che Gesù ha sete di noi, non potremo cominciare a conoscere
quello che egli vuole essere per noi, e ciò che egli vuole che noi
siamo per lui». La sete di Gesù è una sete divina, ma è anche un
bisogno della sua umanità che si mette nella nostra situazione di
desolata povertà, di estrema debolezza per condividerla. E’ la
stessa sete che manifesta anche nell’orto del Getsemani, quando,
quasi come bambino impaurito, si rivolge ai tre discepoli con parole
di toccante umanità: «La mia anima è triste fino alla morte. Restate
qui e vegliate» ( Mc 14,34); sente il bisogno di non essere lasciato
solo. Ed è sempre nel Getsemani che, rivolgendosi al Padre, dice
ancora: «Padre mio, se è possibile, passi via da me questo calice!
Però non come voglio io, ma come vuoi tu!» ( Mt 26,39). La sete di
Gesù è sete di compiere la volontà del Padre, è desiderio della
nostra salvezza. Egli ci ama e ha sete dell’amore di ognuno di noi,
perché ciascuno di noi conta per lui più di tutto il mondo. Perciò,
se noi non ricambiamo il suo amore, egli rimane assetato e continua
a cercarci. Gesù stesso, morendo riarso dalla sete, diventa la
sorgente inesauribile dell’acqua viva, poiché dal suo cuore trafitto
sgorgano sangue e acqua. Da questa sorgente possiamo attingere
l’amore e la sovrabbondanza della Vita. L’ora della crocifissione e
della morte di Cristo è quindi l’ora del trionfo dell’Amore e della
sua massima fecondità. Nella misura in cui beviamo a questa
sorgente, veniamo dissetati e anche dal nostro cuore zampilla una
sorgente d’acqua viva offerta a tutti gli assetati di Dio, del Dio
che è inesauribile Amore
SESTA PAROLA Tutto è compiuto ( Giovanni 19,29-30)
Le braccia distese sul legno, le mani inchiodate, Gesù è fisicamente
del tutto impotente, agli occhi di tutti appare uno sconfitto, un
misero, un derelitto, un illuso. Ma le vie di Dio non sono le nostre
vie, i suoi pensieri non sono i nostri pensieri… In realtà, questa è
proprio l’ora che egli ha ardentemente desiderato, e alla quale si è
preparato poter dire al Padre: “Consummatum est, tutto è compiuto”.
La missione affidatagli è stata portata a compimento secondo il
volere del Padre. Tutte le angosce dell’umanità di ogni tempo,
schiava del peccato e della morte, tutte le implorazioni e le
intercessioni della storia della salvezza confluiscono in questo
grido del Verbo incarnato.Tutto è compiuto. L’ora dell’offerta
iniziata con la nascita di Gesù a Betlemme si compie sul Calvario:
là era nato nella estrema povertà, qui muore nell’estrema
spogliazione e umiliazione. È la scelta di Dio, è la scelta
dell’Amore che, volendo ricuperare i miseri, si fa Misericordia, si
abbassa, si svuota di se stesso per riversarsi in noi come sorgente
di vita. Tutto è compiuto: il tempo si ferma, l’ora batte sul cuore
di Gesù e si riparte da zero. È l’ora zero della storia, l’ora in
cui comincia il Giorno nuovo, il tempo nuovo, tempo della salvezza e
della grazia. Tutto il dolore della Passione sembra ora acquietarsi.
È l’ora del silenzio. È l’ora in cui, come discepoli di Cristo, più
nulla possiamo fare, nulla dire, ma solo «rimanere nel suo amore»,
rimanere in preghiera presso di lui, inchiodati alla croce insieme
con Maria.
SETTIMA PAROLA Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito.
Tutto è compiuto, il sacrificio di amore è pienamente consumato, non
c’è più un «oltre» nell’offerta e nel dolore, ecco l’ultimissima
parola di Gesù: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito».
Grido di fiducia assoluta dell’Uomo che, percosso, disprezzato,
senza via di salvezza umana, si rifugia in Dio, getta in lui ogni
suo affanno. E’ in questa totale consegna di sé che trova la
pienezza della pace e si ritrova figlio. La Passione di Gesù non si
conclude con un “perché” rivolto a un Dio lontano, assente, che non
ha fatto nulla per impedire gli eventi o alleviare il dolore, ma con
un atto di abbandono filiale: «Nelle tue mani consegno il mio
spirito». Gesù muore riconsegnandosi alle mani del Padre, a cui
aveva sempre obbedito. Per questo la sua agonia è come una notte che
sfocia nell’alba della risurrezione. Dalla cattedra della Croce,
Gesù, che si è caricato di tutte le nostre sofferenze perché ha
preso su di sé tutte le nostre colpe, ci insegna a sperare contro
ogni speranza, a sentire che la mano di Dio è più forte di qualsiasi
mano potente degli uomini, più forte di ogni tentazione che possa
sopraggiungere e abbattersi su di noi. Perciò anche quando la prova
è dura, terribile e angosciosa, noi dobbiamo gridare: nelle tue
mani, Signore, sono al sicuro. Il grido di Gesù esprime anche lo
sgomento di chi sa di dover ancora compiere un salto nel buio. Dopo
la sua consegna, infatti, il Verbo della vita, Colui che il Padre ha
mandato a parlare direttamente all’umanità per rivelarle il suo
amore, si immerge nel silenzio della morte. Un profondo silenzio
avvolge anche il monte delle croci e penetra nei cuori. Noi, che
siamo entrati con Gesù in quest’ora, crediamo davvero che solo
apparentemente le tenebre stanno prevalendo, poiché in esse già si
fa strada la luce? Noi, che conosciamo la morsa dell’angoscia,
crediamo che nel grido di Gesù morente si fa strada la speranza
della Vita? Noi, che pure facciamo l’esperienza del turbamento per
tanti sconvolgimenti che avvengono nel mondo, ne sappiamo trarre
motivo di pentimento per convertirci a una più grande fede e
soprattutto a un più grande amore? Se viviamo davvero il mistero
della Croce, si può finalmente squarciare il nostro vecchio mondo,
il nostro vecchio uomo, il velo della nostra sufficienza; si può
spaccare la roccia del nostro cuore per lasciar scaturire da essa
una sorgente d’acqua viva. Possiamo sostare presso la croce e presso
il sepolcro, sicuri che Gesù, caduto nel silenzio della morte, non è
perduto per noi, perché l’Amore è più forte della morte e ha vinto
su tutti.
Antonella
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