IL CATECHISTA

 

La parola "catechista" deriva da un verbo greco che si può tradurre con l'espressione "far risuonare"; questo termine contiene l'idea dell' "eco", cioè le parole che vengono "fatte risuonare" dalla voce umana in un luogo aperto. Quindi il compito del catechista si costruisce sulla base di alcuni elementi essenziali:
1) La voce umana
2) Il contenuto del messaggio che viene fatto risuonare
3) Il destinatario del messaggio
Il catechista comunica il contenuto di un messaggio, il Vangelo di Gesù, ma non come esposizione fine a se stessa. Il catechista non compie "una lezione", ma comunica una fede. Egli è dunque un testimone, che annuncia la stessa fede che appassiona la sua esistenza.
Il catechista si occupa dei bambini e dei ragazzi fino ai dodici anni.
Non è facile comunicare il vissuto della propria fede a persone tanto diverse per età, esperienza, rapporti sociali e non è facile provocare il ragazzo, affascinarlo della figura di Gesù.
I metodi per annunciare il Vangelo sono tanti e diversi, e non esiste una regola infallibile. Ogni catechista si misura con le proprie doti e capacità, si cimenta con tentativi sempre nuovi, ma deve anche applicare i consigli di chi l'ha preceduto e avere il coraggio di affrontare i propri limiti e saper imparare anche dai fallimenti.
In generale una parola chiave del compito di catechista potrebbe essere "coinvolgimento".
Coinvolgere i ragazzi della propria passione per il Signore vuol dire anche "avvolgerli" del proprio affetto: prendersi cura di un ragazzo è importante per la riuscita dell'annuncio del Vangelo.
Il passo successivo potrebbe essere allargare questo il coinvolgimento alla famiglia del ragazzo. E' importante che il catechista curi in modo attento non solo il rapporto personale col ragazzo, ma anche i rapporti con i genitori. È bello tentare una collaborazione per il bene del ragazzo, anche se non sempre questa si verifica. L'impatto che i ragazzi hanno con il catechismo lascerà tracce profonde e comporterà conseguenze nella sua esperienza religiosa anche quando sarà più grande. Ciò che serve per essere un buon catechista, e non è facile esserlo, è comunicare coi ragazzi, ascoltarli, incoraggiarli, consolarli nei loro piccoli dubbi per poi condurli per mano verso la gioia del Vangelo.

LABORATORIO DELLA FEDE

"La Misericordia nella Bibbia"

 

Primo Martedì: Caino e Davide

 

 

 

 

Martedì 23 febbraio è iniziato il cammino dei “Martedì di Quaresima” presso la chiesa di San Marcello, che ormai da anni è diventata teatro e meravigliosa cornice di molti degli incontri di approfondimento su vari temi organizzati e sostenuti dai vari gruppi della parrocchia: spiritualità, famiglia, socialità, giustizia e tanto altro ancora.
Il cammino dei quaresimali si snoda attraverso le vie della Misericordia di Dio: commentando alcuni passi, martedì dopo martedì, impareremo a conoscere meglio la Bibbia e a comprendere la nostra storia personale, con la certezza che Dio cammina con noi.
Ad aiutarci e a guidarci sarà Diego Benitez, un simpatico ragazzo uruguayano, biblista, che da anni studia in Italia e che, già dal primo incontro, ha dimostrato la sua grande preparazione, che lascia però spazio a una grande umanità e a un gran senso dello humor . Solo la Misericordia di Dio poteva portarlo in questo luogo e in questo tempo, per poter condividere un po’ del nostro cammino!
La Quaresima, infatti, è un cammino che ci induce a riflettere sulla nostra storia, a prendere coscienza della nostra “iniquità” e a abbandonare la strada che porta al peccato per imboccare, attraverso il pentimento, la strada per la Salvezza.
Anche il peccato è un percorso che comincia da lontano! Questo emerge chiaramente dalla lettura di un passo della Genesi e uno del Secondo Libro di Samuele.
Il passo della Genesi ( 4,1-16) racconta la storia di Caino e di Abele, e di come Caino si macchiò, uccidendo suo fratello minore, del delitto più terribile. Ma, come in ogni passo della Bibbia, non leggiamo la storia, fine a sé stessa, di due uomini, di una famiglia, di un litigio, di un odio personale, ma leggiamo la storia di tutti gli uomini, delle nostre famiglie, dei nostri odi, delle nostre invidie e debolezze. Entrambi i fratelli offrono in sacrificio a Dio il frutto del loro lavoro, ma Dio si compiace del sacrificio di Abele, suscitando l’irritazione e il malessere di Caino. E’ Dio che si fa incontro a Caino chiedendogli : “Perché sei irritato? Perché sei abbattuto in volto ? Se agisci bene, non dovrai forse tenerlo alto?Ma se non agisci bene, il peccato è accovacciato alla tua porta; verso di te è il suo istinto, ma tu dominalo” (gen 4,6 ). Il problema di Caino, e l’origine del suo peccato, non sta nel rapporto con il fratello Abele, ma sta nel suo modo di sentirsi amato da Dio: Caino invidia Abele, perché vede in lui il preferito di Dio, non si sente gratificato da Dio, non si sente amato.
Quanto ci somiglia Caino? Quante volte la frustrazione, l’invidia, la rabbia accecano i nostri occhi e induriscono il nostro cuore, rendendoci vittime del peccato che, come una belva feroce, è sempre accovacciato dietro le nostre porte? Quante volte siamo troppo occupati a lamentarci delle nostre vite, delle nostre cose, dei nostri affetti, per vedere che Dio opera ogni giorno nelle nostre vite, indicandoci in continuazione “uscite di emergenza” verso la salvezza?
Caino uccide Abele, e ancora una volta è Dio che gli si fa incontro: “ Dov’è Abele, tuo fratello?” ,“ Che hai fatto ?” . Dio, di fronte al peccato di Caino, così come di fronte ai nostri peccati, fa il primo passo. E’ solo in quel momento che Caino prende coscienza del proprio peccato, capisce che la sua colpa è troppo grande per ottenere misericordia e accetta la sua punizione: essere ramingo e fuggiasco sulla terra. La maledizione di Dio, però, non è una sentenza che distrugge, ma una punizione che riabilita e restituisce Caino alla sua umanità. Solo vivendo la punizione potrà comprendere fino in fondo le conseguenze del suo peccato. E perché questo fosse possibile Dio impose un segno a Caino, perché nessuno potesse ucciderlo.
Anche noi siamo segnati da Dio, gli apparteniamo: se solo vivessimo ogni giorno con la consapevolezza che Dio ci ama di un amore assoluto ed esclusivo…….
Il passo del Secondo Libro di Samuele ( 11,1-25) ci racconta, invece, la storia del peccato di Davide. In queste pagine Davide non è più quel ragazzo che aveva ucciso Golia con le sole armi della fede e con una fionda, perché tutta la terra potesse conoscere la potenza del Dio di Israele, ma è un uomo stanco, appesantito dagli agi del potere, con il cuore assopito, ben lontano dal fervore della gioventù. E’ un Re che viene meno al suo compito di guida: rimane a Gerusalemme ad oziare, lasciando che altri, anche gli stranieri, e con essi l’ittita Uria, combattano per lui.
E’ un uomo che si lascia vincere dal desiderio di possedere la moglie di Uria. E’ un vigliacco che, di fronte alla gravidanza di Betsabea, manda a chiamare dalla battaglia Uria, perché potesse giacere con Betsabea e coprire la sua colpa. E’ un uomo che, di fronte alla lezione di onestà di Uria che, pensando ai suoi compagni in battaglia, non entra in casa sua, indurisce il suo cuore, mandando Uria a morire tra le prime linee della battaglia, dove la mischia è più fervente.
Davide non è un uomo, il suo peccato lo acceca senza speranza.
Ancora una volta Dio si fa avanti e suscita il profeta Natan per aprire gli occhi a Davide. Natan chiede al re Davide quale sia la giusta punizione per un ricco, che aveva bestiame in gran quantità, che per la preparazione di una pietanza ad un viaggiatore aveva sottratto l’unica pecorella ad un uomo povero che l’aveva cresciuta come una figlia, facendola crescere insieme ai suoi figli, facendole mangiare il suo pane e bere dalla sua coppa. Il racconto suscita l’ira di Davide e le parole di Natan “ Tu sei quell’uomo” (12,7-12) fanno sgorgare il vero pentimento: “Ho peccato contro il Signore”.
Il vero pentimento nasce dall’umiltà di guardarsi dentro e di riconoscere quanto siamo lontani da Dio. A Dio basta questo per sollevarci dal peccato, per farci andare veramente avanti, per farci riconquistare la nostra dignità e umanità, per rimetterci sulla via della salvezza.
Perché Dio ci ama e più di ogni altra cosa desidera la nostra salvezza.
 

 

 
 

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