IL TRIDUO PASQUALE

 

Come la domenica, Pasqua settimanale, rappresenta l’inizio e il culmine della settimana, così il cuore di tutto l’anno liturgico è il sacro Triduo pasquale della Passione e Risurrezione del Signore, preparato nella quaresima e prolungato nella gioia dei cinquanta giorni del tempo pasquale. Il passaggio dal tempo quaresimale al triduo pasquale avviene il giovedì santo, con la messa vespertina «nella cena del Signore», esso continua quindi il venerdì santo «nella passione del Signore» e nel sabato santo, e ha il suo centro nella veglia pasquale.

Nel Triduo si radicano i significati che danno senso al nostro celebrare lungo l’anno liturgico: il mistero pasquale, l’Eucaristia come culmine della vita cristiana, la preghiera di invocazione, la storia della salvezza raccontata nelle Scritture…
Contro la fretta e l’agitazione che a volte invadono anche le nostre celebrazioni, il Triduo pasquale ci invita a sostare, a prendere il tempo necessario per entrare nel mistero, a dare ai gesti, alle parole, al silenzio tutto il loro spazio evocativo, a lasciar parlare i segni… L’esperienza del Triduo – e successivamente del tempo pasquale - può così “rivitalizzare” e ridare entusiasmo a tutti i tempi dell’anno liturgico.
 

Sin dalle origini, i cristiani fanno memoria della morte e risurrezione del Signore la domenica, primo giorno della settimana, giorno del Signore. Nei vangeli l’espressione ricorrente “otto giorni dopo” scandisce le apparizioni del risorto e le colloca nel giorno in cui la comunità si raduna per celebrare l’Eucaristia, memoriale dell’evento pasquale.

Dal II secolo, si cominciò ad aggiungere al memoriale settimanale il memoriale annuale della Pasqua, in concomitanza con la Pasqua giudaica: la celebrazione della Pasqua non era centrata esclusivamente sulla domenica di Pasqua, giorno della risurrezione di Gesù, ma considerava l’evento globale della passione, morte e risurrezione con due giorni di digiuno (non caratterizzati per il resto da celebrazioni particolari) che precedevano la grande veglia pasquale e un prolungamento di cinquanta giorni, fino a Pentecoste (il tempo di Pasqua).

Nei giorni precedenti la notte santa, la celebrazione della morte e risurrezione di Cristo viene poi articolata in diverse celebrazioni (il Triduo), per evocare in maggior dettaglio gli avvenimenti  storici della passione e morte di Gesù, dall’ultima cena alla sepoltura. Questa consuetudine era particolarmente sentita dalla comunità di Gerusalemme, nei luoghi in cui Gesù aveva sofferto ed era morto, e si diffuse poi nelle altre chiese.

Nel IV secolo la pellegrina Egeria testimonia che a Gerusalemme durante gli otto giorni della settimana santa si celebrano i misteri della salvezza portati a compimento da Cristo negli ultimi giorni della sua vita, a cominciare dal suo ingresso messianico in Gerusalemme, fino alla risurrezione.

Durante la settimana santa il triduo pasquale vero e proprio è preceduto da due celebrazioni significative:

La Domenica delle palme della passione del Signore, che mette insieme il trionfo regale di Cristo e l’annunzio della passione. Fin dall’antichità si commemora l’ingresso del Signore in Gerusalemme con la solenne processione in cui si portano rami di palma o di ulivo benedetto, poi conservati nelle case come segno della vittoria di Cristo celebrata in questo giorno. Il colore liturgico è il rosso.

La messa del crisma (celebrata, in genere, la mattina del giovedì santo) in cui il vescovo, in comunione con i presbiteri della diocesi, consacra il sacro crisma e benedice gli oli, che verranno adoperati nella notte della veglia pasquale e lungo tutto l’anno per la celebrazione dei sacramenti.

TEMPO DI PASQUA

 

 Il tempo pasquale o di Pasqua è il periodo liturgico più antico e maggiormente considerato nella Chiesa delle origini: ogni giorno si celebrava la “sinassi”, cioè l’assemblea liturgica o eucaristica, risuonava il canto dell’alleluia, si pregava stando in piedi, era vietato il digiuno.

Era come un ininterrotto giorno pasquale, in cui si celebravano gli aspetti del mistero di Cristo risorto, apparso, asceso al cielo, glorificato alla destra del Padre, donatore dello Spirito e in cui i “neofiti”, cioè i nuovi cristiani, vivevano la prima esperienza ecclesiale della loro rinascita.

Solo successivamente l’unità della cinquantina pasquale apparve compromessa ovvero spezzata con la festa della’Ascensione e poi della Pentecoste.

La riforma liturgica ha ripristinato l’unità di questo tempo e lo ha arricchito di nuovi testi e formulari.

I cinquanta giorni che si succedono dalla domenica di Risurrezione alla domenica di Pentecoste si celebrano nell’esultanza e nella gioia come un solo giorno di festa, anzi come la grande domenica. Sono giorni nei quali, in modo del tutto particolare, si canta l’alleluia.

E’ stata soppressa l’ottava di Pentecoste, con la valorizzazione delle ferie che la precedono, le quali sono state arricchite di formulari propri che richiamano i testi relativi al dono dello Spirito; le domeniche, indicate con il numero progressivo, non sono dette più “dopo Pasqua” ma “di Pasqua”, quasi a significare una Pasqua continua. I primi otto giorni, o settimana pasquale, godono di una particolare solennità con l’intreccio dei temi della risurrezione e del battesimo.

In questo periodo, l’evento pasquale viene considerato e celebrato non tanto in se stesso o nel riferimento a Cristo, quanto in relazione alla Chiesa, la comunità nata dalla Pasqua che confessa e vive la sua comunione con il risorto mediante lo Spirito: è il tempo messianico, l’inaugurazione della nuova era escatologica.

Ed era questo il tempo della mistagogia(cioè alla rilettura di ciò che è stato vissuto e celebrato, per coglierne tutta la pienezza di significato. Questo è particolarmente evidente nell’ottava di Pasqua, che si conclude con la domenica in albis, in cui i neofiti deponevano la veste bianca ricevuta la notte di Pasqua dopo il Battesimo ed entravano a far parte dell’assemblea liturgica come cristiani adulti.)  per i neofiti, oggi ripristinato. Il tempo cioè dell’approfondimento, dell’assimilazione mediante regolari assemblee liturgiche dei misteri celebrati nella notte di Pasqua, precisamente: del battesimo, della cresima e dell’eucarestia. Un periodo quindi di ripensamento e di adesione più cosciente al dono pasquale della vita in Cristo entro la Chiesa, offerto a tutti.

Secondo la tradizione liturgica dell’Oriente e dell’Occidente, il libro degli Atti occupa un posto privilegiato, quale testimonianza della Chiesa primitiva uscita dal costato di Cristo nel suo progressivo sviluppo, mentre l’Apocalisse ne richiama il termine finale, inducendo un clima di fede gioiosa e di ferma speranza. A sua volta il vangelo di Giovanni approfondisce il mistero di Cristo, agnello immolato e glorioso, pastore buono che guida ai pascoli senza fine.

Le due solennità dell’Ascensione e della Pentecoste sembrano due feste che spezzano l’unità del Tempo di Pasqua: la festa della partenza di Gesù da questa terra e la festa dello Spirito Santo. Non si tratta propriamente di due eventi separati dalla Pasqua, quanto piuttosto dello sviluppo, in due momenti successivi, dell’unico mistero pasquale in Cristo. Esaltato dalla gloria del Padre e costituito Signore dell’universo, egli effonde il suo Spirito, principio di vita nuova, sulla comunità dei credenti. Manifesta così la sua presenza operante e santificante in forma nuova, più intima e più universale.

 

 

PER CELEBRARE:

Il tempo di Pasqua comincia con la domenica di Pasqua e termina con la domenica di Pentecoste.

I primi otto giorni costituiscono l’ottava di Pasqua e si celebrano come solennità del Signore.

L’Ascensione del Signore nel nostro paese si celebra al posto della 7° domenica di Pasqua.

Le domeniche del Tempo di Pasqua hanno la precedenza anche sulle feste del Signore e su tutte le solennità.

Nelle domeniche del Tempo di Pasqua si dice il gloria e si fa la professione di fede con il Credo.

Il colore liturgico di questo tempo è il bianco.

Per quanto riguarda i luoghi da “far fiorire”, un’attenzione particolare può essere riservata al cero pasquale, simbolo caratteristico di questo tempo, da valorizzare in tutta la sua ricchezza di significati. Esso può essere collocato vicino all’ambone o all’altare, secondo le possibilità dello spazio celebrativo e viene acceso  durante le celebrazioni. Lungo l’anno liturgico rimarrà poi come memoria viva dell’esperienza pasquale nella celebrazione del sacramento del Battesimo e del rito delle esequie. Un altro luogo da infiorare potrebbe essere l’ambone, luogo dell’annuncio della Risurrezione e della proclamazione delle meraviglie che Dio ha compiuto e compie nella storia della salvezza.

Un segno caratteristico che può essere mantenuto per tutto il tempo di Pasqua è quello dell’aspersione con acqua benedetta, in sostituzione dell’atto penitenziale. Il gesto può essere accompagnato dalla lettura delle antifone bibliche riportate nel messale, oppure da un canto adatto sul tema del Battesimo, della conversione o della vita nuova. Uno dei formulari previsti per la benedizione dell’acqua risulta particolarmente adatto per coinvolgere tutta l’assemblea, in quanto dopo ogni invocazione prevede una risposta di tutti (detta o, meglio, cantata: Gloria a te, Signor/Gloria, gloria, cantiamo al Signore e simili).

In particolare l’acclamazione Alleluia (che in ebraico significa “Lodate Dio!”) è un’espressione di gioia… per definizione. Parola non da dire, ma da cantare (anche nel tempo ordinario, tant’è vero che il messale ricorda che se non si canta si può omettere). È la parola-sintesi della preghiera di lode, nell’Antico Testamento e nel Nuovo, fino all’Apocalisse, come ci ricordano alcuni cantici presenti nella liturgia delle ore: “Alleluia! Salvezza, gloria e potenza sono del nostro Dio … Alleluia! Lodate il nostro Dio, voi tutti suoi servi, piccoli e grandi … Alleluia!” (Ap 19,1-8). Comprendiamo bene che questa acclamazione va curata in tutti i periodi dell’anno in cui è prevista, e nel tempo di Pasqua rappresenta una grande occasione di lode comunitaria da valorizzare pienamente, in modo che risuoni con verità non solo nelle nostre celebrazioni, ma anche nello stile del nostro quotidiano (Elledici).

 

 

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