26 FEBBRAIO 2008 - I MARTEDI' DI SAN MARCELLO
Un
deferente grazie a don Gianni e alla sua comunità per avermi dato occasione
durante questi incontri quaresimali su Paolo di svolgere la seguente tematica
di fronte
alle fatiche, difficoltà, sofferenze, il ristoro e laforza della grazia che
viene da Gesù Cristo
(2 Tm 2,1-6).
Prima di
affrontare il tema di questa sera sono necessarie due precisazioni.
La prima: le
lettere pastorali sono indirizzate a pastori. Paolo dà indicazioni a chi ha
delle responsabilità su altre persone sul come superare queste difficoltà. Nella
vita tutti noi avremo delle responsabilità su altre persone, pensate ai genitori
nei confronti dei figli, al prete nei confronti della comunità, delle
responsabilità anche nei confronti degli amici e delle persone che conosciamo.
La seconda: il tema che affronteremo questa sera, la sofferenza, Paolo lo
affronta da un punto di vista che a noi può sembrare per niente importante.
Nella realtà che viveva la Chiesa al tempo della stesura della lettera a
Timoteo, il problema più grave era non la sofferenza in generale, ma la sofferenza a
causa del Vangelo. È un aspetto che a noi può forse sembrare estremamente
lontano, però vi vorrei ricordare che durante la prolusione tenuta in Vaticano
per l'inaugurazione dell'anno accademico 2004-2005 il segretario della
Congregazione delle Cause dei Santi, sua Ecc.za Edward Nowak, informava noi
futuri postulatori che il secolo appena concluso era quello che aveva avuto il
più grande numero di martiri per la fede, a causa del Vangelo. E senza arrivare
al martirio vero e proprio, quanti di noi non sono stati, almeno una volta,
derisi per il solo fatto di credere in Dio, di andare a messa? Quanti di noi non
hanno sentito discorsi fatti alla radio, alla televisione e sull'autobus, pieni
di pregiudizio nei confronti dei credenti?
Quante volte
abbiamo sentito dirci che per il solo fatto di credere in Cristo siamo dei
cretini, delle persone che rinunciano a pensare con la propria testa, dei
cittadini di serie B?
Il testo (2Tim
2, 1-6)
Le lettere
pastorali sono scritte in uno stile confidenziale, nella comunicazione di un
vissuto e perciò le esperienze più forti, fondamentali, ritornano nei diversi
capitoli. Inoltre è un parlare più col cuore che con la testa, per cui non è
possibile dare un ordine preciso ai pensieri espressi, però la pericope che mi è
stata assegnata sembra che giri tutto attorno ad un concetto: prendi la tua
parte di sofferenze, cioè preparati a portare il peso del ministero che ti è
stato affidato.
2 Tm 2,1 Tu dunque, figlio mio, attingi
sempre forza
dalla grazia che è in Cristo
Gesù 2 e le
cose che hai udito da me in presenza di molti testimoni, trasmettile a
persone fidate, le quali siano in grado di ammaestrare a loro volta anche altri.
3 Insieme con
me prendi anche tu la tua parte di sofferenze, come un buon
soldato
di Cristo Gesù. 4 Nessuno però, quando presta servizio militare, s'intralcia
nelle faccende
della vita comune, se vuoi piacere a colui che l'ha arruolato.
5 Anche nelle
gare atletiche, non riceve la corona se non chi ha lottato secondo le
regole.
6
L'agricoltore
poi che si affatica, dev'essere il primo a cogliere i frutti della terra.
Paolo è
preoccupato che il suo discepolo possa risentire del fatto di sapere come
l'Apostolo stia soffrendo e si trovi in carcere a Roma, a motivo della
predicazione del vangelo; inoltre, è consapevole anche che la sua timidezza,
unita alla giovane età, potrebbero frenare la sua testimonianza e il suo
ministero, di fronte alle difficoltà crescenti che si trova ad affrontare nella
sua comunità di Efeso. Dopo averlo esortato a ravvivare il carisma cioè il dono
che gli è stato conferito, Paolo continua, allora, a rincuorare il suo
discepolo, invitandolo a consolidarsi nella grazia
che è in
Cristo Gesù, così da avere sempre il coraggio e la forza per sostenere le
responsabilità e le sofferenze del suo ministero. Allo stesso tempo, è bel]o
notare anche come l'Apostolo sia cosciente che in questo momento, Timoteo ha
bisogno più che mai di sentire il suo calore e il suo conforto di padre; ecco,
allora, che, nel ricordargli i suoi doveri, non dimentica di testimoniargli la
tenerezza e l'affetto di sempre, chiamandolo espressamente figlio mio (téknon
mou).
La pericope
che stiamo analizzando presenta tre esortazioni: Prima esortazione: Attingi
forza dalla grazia che è in Cristo Gesù. Si tratta dunque della grazia inerente
al suo compito ministeriale. Immergiti, dà il via al processo di immersione nel
dono di Dio e non lo arrestare più. Quel dono è nella grazia che è in Cristo
Gesù. È significativo il fatto che Paolo usi l'imperativo endynamoù (rafforzati,
immergiti), al presente, in modo da far comprendere che ciò che viene richiesto
non è
uno sforzo
occasionaIe, ma un impegno continuo, costante, che deve caratterizzare fino alla
fine la vita e il cammino cristiano. La qualificazione di tale grazia, quella
che è in Cristo Gesù, ripropone il grande tema paolino dell'incorporazione in
Cristo che rende partecipi appunto della sua forza. Nella prospettiva del
compito di Timoteo, quello di annunziare il vangelo potenza di Dio, l'invito
riguarda l'adeguata preparazione alla lotta che lo attende, ma anche la
rinnovata certezza di fede che egli non rimarrà solo in tale lotta, perché,
assieme a lui, agirà la forza di Cristo, la sua grazia.
Secondo
ordine: Trasmettile a persone fidate le cose che hai udite da me, la
trasmissione deve essere fatta a persone fidate, le quali siano in grado di
insegnare anche ad altri. La preoccupazione dell'autore è quella di creare le
condizioni migliori perché la successione si compia all'insegna della più pura
ortodossia. Con l'aiuto della grazia gli sarà più facile assolvere il suo
compito magisteriale, che non è solo quello di custodire il deposito (1,14; l
Tim. 6, 20), ma anche di preparare uomini sicuri e particolarmente adatti ad
ammaestrare gli altri per affidare loro, al momento della sua morte, il deposito
da lui così gelosamente custodito (v. 2).
La terza
esortazione è la decisiva consegna: Soffri insieme con me. La grazia che è in
Cristo Gesù è la fonte cui attingere forza; la condivisione della sofferenza di
Paolo, sulla stessa scia di quella di Cristo, è il segno della partecipazione
piena all'opera redentiva.
Le tre
metafore (soldato, atleta, agricoltore) sviluppano un unico pensiero: la piena
dedizione con il quale Timoteo è chiamato a compiere il suo servizio. Viene
descritto il peso del ministero mediante il richiamo a tre mestieri rischiosi
che compOliano di agire secondo le regole e di affaticarsi nell'attesa.
L'immagine dell'atleta era già presente in 1Cor 9,24-25; quella dell'agricoltore
in 1Cor 9,7.10 e quella del soldato trova riferimento in Ef 6,Il. Il comune
denominatore dei tre simboli è la sofferenza, e
ciascuna però
ha una soluzione particolare. Al soldato la lode del comandante, all'atleta la
corona della vittoria, e l'agricoltore sarà il primo a godere dei frutti del suo
lavoro.
SOLDATO AGRICOLTORE
Ef 6, 11
Rivestitevi della completa
armatura di Dio, perchè
possiate resistere alle
insidie del diavolo.
Il tennine «panòplia» (greco pan
oplia) si trova nel NT. anche in
Luca Il,22 e significa l'intera
armatura, la grave armatura del
soldato a piedi, il quale si
chiamava «oplite». L'annatura
completa consisteva di questi
differenti attrezzi: Scudo, elmo,
corazza, gambièri, spada e lancia.
L'apostolo pensa evidentemente
all'armatura completa del soldato
romano. |
ATLETA
l Cor 9,24-25 24
Non sapete che nelle
corse allo stadio tutti
corrono, ma uno solo
conquista il premio?
Correte anche voi in modo
da conquistarlo! 25 Però
ogni atleta è temperante in
tutto; essi lo fanno per
ottenere una corona
corruttibile, noi invece una
incorruttibile.
|
AGRICOLTORE
l Cor 9, 7.1 O 7b
Chi pianta una vigna
senza mangiarne il frutto?
O chi fa pascolare un
gregge senza cibarsi del
latte del gregge? lO
Oppure lo dice proprio per
noi? Certamente fu scritto
per noi. Poiché colui che
ara deve arare nella
speranza di avere la sua
parte, come il trebbiatore
trebbiare nella stessa
speranza.
|
La differenza
tra I Corinzi e le lettere pastorali è evidente: pur usando le stesse immagini,
I Corinzi pone l'accento sulla ricompensa del lavoro, mentre le pastorali lo
pongono sull'impegno.
Nell'immagine
del soldato, la centralità dell'impegno comporta il non lasciarsi prendere dalle
faccende della vita comune e l'intento di piacere a colui che l'ha arruolato.
L'impegno
dell'atleta consiste nel lottare secondo le regole, per poter ricevere il
premio. Come si nota, ricompare l'elemento premio di I Corinzi, ma con la
differenza che l'atleta ivi proposto è un corridore, immagine più conforme allo
stile parenetico,
esortativo del
testo di I Corinzi, mentre qui - conformemente allo stile delle lettere
pastorali - è un lottatore. Paolo rende così bene l'idea della continua
abnegazione con la quale è necessario prepararsi e dedicarsi alla sequela di
Cristo.
Nell'immagine
del contadino, infine, l'accento è posto sul duro lavoro che, solo, gli consente
di raccogliere i frutti della terra. L'immagine
del contadino viene attinta, infine, dal mondo agricolo e se le prime due,
quelle desunte dall'ambito militare e sportivo, evidenziano rispettivamente la
dedizione esclusiva e la costante abnegazione per il servizio al vangelo,
quest'ultima rimarca, piuttosto, la fatica che questo impegno richiede. Timoteo
deve comprendere che, nel suo ministero, deve comportarsi come il contadino che
lavora duramente, non risparmiandosi nel suo impegno e accettando tutti i
sacrifici che saranno necessari per la buona riuscita della sua missione. Se
sarà perseverante in questo, fino alla fine, allora vedrà la sua fatica ripagata
e potrà per primo ricevere la sua parte dei frutti. Da questa analisi possiamo
dedurre tre insegnamenti.
1 - Il
ministero pesa, e Paolo lo sa per esperienza personale. Il discepolo deve capire
che, nonostante la sua debolezza e inadeguatezza, è chiamato a vivere questo
peso, a pagare di persona per il vangelo
2 - D'altra
parte ogni professione umana pesa. È un richiamo molto utile: la vita è pesante
per tutti, e ci sono delle professioni più dure del ministero. Se tanta gente
sopporta il peso della vita, tanto più lo devono accettare coloro che hanno
scelto di consacrarsi al servizio del Signore e della Chiesa.
3 - Però c'è
un traguardo,ci sono dei frutti. Come per i mestieri presi ad esempio ci sono
delle soddisfazioni, così anche il ministero ha le sue soddisfazioni, le sue
corone, i suoi premi. Anzi, l'ideale cristiano è più bello, perché ha vivo
davanti a sé il piano d'amore di Dio. Le promesse divine valgono molto di più
della vittoria per il soldato, della corona per l'atleta, dei frutti per
l'agricoltore.
Quando si
attenua il pensiero del traguardo legato al nostro essere cristiani significa,
anche se qualche volta potrebbe essere una prova di purificazione, che si sono
attenuate la fede e la speranza.
Proprio a
partire dalla sua esperienza di essere £Q!!(una parolina chiave) che può dire a
Timoteo: "Insieme con me prendi anche tu la tua parte di sofferenze" (2Tim 2,3).
Cioè il
rapporto Gesù-Paolo può essere applicato anche a Paolo-Timoteo: Come io soffro
con Gesù, così tu soffri con me, dice Paolo. Così viene trasmesso, in maniera
oggettiva e sostanziale, il ministero, ma anche il nostro essere cristiani nel
profondo: la comunione con il Signore si prolunga nella comunione tra fratelli.
È una solidarietà nella sofferenza, e la solidarietà con Gesù diventa
solidarietà di Chiesa.
Messaggio per
noi oggi.
~ Paolo ci
ricorda che ogni mestiere pesa, però da questa fatica ci vengono anche dei
frutti. Ma ci ricorda anche che il Regno è il più grande dei frutti. Quanto, nel
corso delle nostre giornate, questo ideale ci è di conforto, ci aiuta nei
momenti di stanchezza o di abbattimento? e quanto invece ce ne dimentichiamo?
~ Abbiamo
visto come la parola "con" sia una parola chiave in Paolo. Abbiamo coscienza che
il nostro essere con Gesù si traduce in un essere anche con i fratelli?
abbiamo
coscienza che questo essere con, nella gioia ma anche nella sofferenza, è un
essere chiesa?
BIBLIOGRAFIA CONSULTA TA
CIPRIANI S., Le lettere di
Paolo, Assisi, Cittadella 19998,701-730.
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Paolo, Roma, BorIa 1980, PP. 309-508.
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Bologna, EDB 1995, pp.
685-705.
NUOVO GRANDE COMMENTARIO
BIBLICO, Brescia, Queriniana 1997, pp. 1167-1182. |