Settimana estiva di formazione dell’Ufficio
famiglia CEI
“Famiglia e Liturgia”
Il convegno sul tema
«Celebrare il Signore: eterna è la sua
misericordia (Salmo 105,1):famiglia e liturgia»
si è aperto con l’intervento
di S.Em.za Card. Dionigi Tettamanzi, Arcivescovo di Milano, Presidente della
Conferenza Episcopale Lombarda. L'intervento del Card. Tettamanzi ci offre un
ulteriore possibilità di approfondire il tema pastorale di quest'anno:
"Famiglia e trasmissione della fede" che è stato il leit motiv di tutte le
nostre attività parrocchiali.
La
famiglia, « chiesa domestica»:
una comunità che annuncia, celebra e testimonia
il Vangelo
L’espressione Famiglia, “come Chiesa domestica”,
è presente nella costituzione conciliare Lumen gentium per evidenziare i
profondi rapporti che esistono tra la Chiesa “in grande” e la Chiesa “in
miniatura”, vale a dire la famiglia cristiana fondata sul sacramento del
matrimonio, con il quale i coniugi cristiani «significano e partecipano il
mistero di unità e di fecondo amore che intercorre fra Cristo e la Chiesa (cfr.
Ef. 5,32)».
Questa “definizione” della
comunità coniugale si è rivelata assai feconda per lo sviluppo della pastorale
familiare nel periodo successivo al Concilio Vaticano II. Nella stessa
Gaudium et spes l’attenzione al matrimonio e alla famiglia è posta come
prima tra le «numerose questioni che oggi destano l’interesse generale» e
«meritano particolare menzione» (n. 46). La Chiesa italiana ha individuato fin
da subito nella famiglia un ambito prioritario ed estremamente decisivo della
sua missione, sia per leggere secondo il criterio dei “segni dei tempi” il
cambiamento socio-culturale in atto che spingeva i sociologi a parlare di “morte
della famiglia”, sia per rilanciare in modo rinnovato aspetti della pastorale
ormai datati. I Vescovi italiani hanno ravvisato proprio nella famiglia «il
centro unificatore dell’azione pastorale»: un’espressione, questa, che è parsa
ad alcuni esagerata e comunque bisognosa di precisazioni, ma che aveva il merito
di focalizzare l’identità della famiglia come «soggetto ecclesiale e pastorale»,
oltre che «sociale». Più precisamente un’identità fondata e forgiata dal
sacramento del matrimonio, che abilita e impegna gli sposi a svolgere una loro
specifica missione nella Chiesa e nel mondo.
A distanza di alcuni decenni
dalla riscoperta e conseguentemente dal rilancio della dimensione ecclesiale e
quindi pastorale della famiglia e del suo fondamentale compito di
evangelizzazione, mi pare tutt’altro che inutile, anzi di rinnovato interesse e
di stimolante fecondità – soprattutto per le nuove generazioni, affinché non
perdano questa preziosa memoria storica – tentare innanzitutto un bilancio del
cammino che la Chiesa italiana ha compiuto dal Concilio Vaticano II ad
oggi (1), allo scopo poi di mettere in luce la consapevolezza sempre più
maturatasi sia circa i fondamenti antropologici e teologici della
“ministerialità” della famiglia, sia dei contenuti basilari della sua
partecipazione alla missione evangelizzatrice della Chiesa (2), e, infine, per
individuare le sfide culturali e i nodi critici che la pastorale
familiare ha oggi davanti a sé per radicarsi e svilupparsi sempre più nelle
nostre comunità diocesane e parrocchiali (3), in realtà ancora in ritardo
rispetto alle prospettive davvero esaltanti e impegnative che l’Episcopato ha
individuato tempestivamente, vorrei dire “profeticamente”.
Già qui manifesto una mia
impressione, che ritengo però realistica: c’è una distanza – che esige di essere
più prontamente e coraggiosamente colmata – tra la singolare ricchezza profetica
dei testi del Magistero e il cammino pastorale ancora disomogeneo e lento di non
poche nostre comunità.
Ecco allora delineati i tre punti o momenti di
riflessione che vorrei condividere con tutti e ciascuno di voi. In questo
modo cerco di offrire una specie di cornice o di mappa generale ad un Convegno
che ha come obiettivo specifico di approfondire il rapporto tra l’esperienza
familiare e l’azione liturgica della Chiesa, di una Chiesa che – come dice
il Direttorio di Pastorale Familiare della CEI - «guidata e sostenuta dallo
Spirito Santo, in gioiosa fedeltà al mandato ricevuto, avverte con freschezza
sempre rinnovata l’urgente responsabilità di annunciare, celebrare e servire
l’autentico “Vangelo del matrimonio e della famiglia”».
Con simile espressione, il Direttorio intende riferirsi a ciò che il
Vangelo dice sull’amore umano e sulla famiglia non solo per rivelare il disegno
di Dio su di queste realtà, ma anche per rendere consapevoli gli sposi che
quando la vita matrimoniale e familiare è condotta in docile e libera obbedienza
a tale disegno di amore «costituisce essa stessa un “vangelo”, una
“buona notizia” per tutto il mondo e per ogni uomo. Il matrimonio e la famiglia
diventano così testimonianza e profezia, oggetto e soggetto di evangelizzazione».
1. Il cammino della pastorale familiare in Italia
La traduzione nella Chiesa italiana del Concilio
Vaticano II – come ebbi a dire nella mia prolusione di apertura del Convegno di
Verona
– ha nella pastorale familiare uno degli ambiti in cui essa, penso, ha avuto la
maggiore riuscita, anche se non tutte le ricche indicazioni del magistero
post-conciliare dei vescovi italiani hanno raggiunto e penetrato il tessuto
relazionale delle nostre parrocchie, definite dalla Christifideles laici
«l’ultima localizzazione della Chiesa, in un certo senso la Chiesa
stessa che vive in mezzo alle case dei suoi figli e delle sue figlie».
In questo primo momento vorrei brevemente
ripercorrere il cammino compiuto dalla pastorale familiare in questi anni allo
scopo, sia di interloquire con la tradizione culturale e popolare del nostro
paese per rinnovarla, sia di accompagnare e sostenere la cosiddetta famiglia
“tradizionale”, che negli anni immediatamente seguiti al Concilio stava entrando
in una delle fasi più critiche della sua storia, subendo una dopo l’altra quelle
che una nota sociologa francese, Evelyne Sullerot, considera le tre rivoluzioni
senza precedenti che hanno sconquassato la famiglia: 1. La rivoluzione
contraccettiva (1965), che separa sessualità da procreazione; 2. La
rivoluzione sessuale (1975), che separa l’esercizio della sessualità dal
matrimonio; 3. La rivoluzione genetica (1985), che permette forme
di manipolazione che scalzano la coppia e la famiglia dal suo essere luogo
originario ed esclusivo della generazione della vita umana[6].
Personalmente ho già tentato un bilancio dei vari
interventi dell’episcopato italiano
che hanno trovato poi la loro sintetica e sistematica collocazione nel
Direttorio. Vorrei qui solo richiamare e in modo schematico quelle fondamentali
acquisizioni dottrinali, dalle quali la pastorale può continuamente attingere
freschezza, slancio e forza perchè ogni comunità cristiana, nello svolgere la
sua missione evangelizzatrice, possa davvero riconoscere nella famiglia – come
ricordava Giovanni Paolo II nell’omelia di apertura del Sinodo dei Vescovi sulla
famiglia cristiana nel mondo moderno, che ha prodotto quel gioiello dottrinale e
pastorale che è l’esortazione Familiaris consortio – «il suo
indispensabile e insostituibile soggetto: il soggetto creativo».
Gli interventi dell’episcopato
italiano si collocano tutti sulla scia del Concilio Vaticano II. Essi hanno
fatto propria l’indicazione conciliare di dare alla pastorale una connotazione
più lucidamente e decisamente teologica, incentrata cioè sulla novità e
originalità cristiana. Tale indicazione forniva una prospettiva nuova per
guardare la Chiesa e la famiglia nel mondo, in particolare una prospettiva
segnata da due fondamentali consapevolezze: la prima riguarda la natura stessa
della Chiesa, che è “mistero” di comunione e di missione di salvezza nella
storia; la seconda riguarda proprio il matrimonio cristiano come immagine vera e
partecipazione reale del “mistero” della Chiesa stessa. Da qui la basilare e
feconda riscoperta della famiglia cristiana nella sua dimensione ecclesiale.
Essa non è solo una realtà antropologica, un organismo sociale, ma anche un
«fatto di Chiesa», una «Chiesa domestica», appunto, alla quale il sacramento del
matrimonio, su cui essa si fonda, elargisce un «dono» proprio e specifico nel
e per il popolo di Dio. L’insistenza con cui l’episcopato italiano in
questi anni ha cercato di sottolineare la centralità della famiglia in tutta
l’azione pastorale della Chiesa fino alla affermazione netta del Direttorio
che dice: «la famiglia è di sua natura il luogo unificante oggettivo di tutta
l’azione pastorale e deve diventarlo sempre più» (n. 97), non ha quindi un
significato strategico od organizzativo per far fronte a una situazione della
famiglia che appare a molti disastrata, ma ha un preciso significato teologico.
La famiglia cristiana, che è generata e alimentata dal sacramento del
matrimonio, ha “natura, configurazione, fisionomia, consistenza ecclesiale”, è
appunto velut Ecclesia domestica, come una «Chiesa
domestica».
Il Concilio ci ha indicato il centro, il “cuore”
vivo e pulsante della pastorale familiare, individuandolo proprio nella
fondazione sacramentale che illumina e qualifica il tipo originale della
relazione famiglia-Chiesa. Se la rivelazione – ossia il manifestarsi e
comunicarsi di Dio all’uomo - ha carattere sacramentale, in quanto il Verbo di
Dio fatto carne, cioè Cristo Gesù, è il sacramento dell’incontro con il Padre, e
la Chiesa è in Cristo Gesù «come un sacramento o segno e strumento
dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano»,
allora anche la famiglia partecipa del carattere sacramentale della rivelazione.
È, come dicono gli specialisti, luogo teologico, vale a dire «il
terreno della manifestazione di Dio nella storia, il punto di inserzione fra
l’umano e il divino».
Da “sacramento antico” – come lo ebbe a definire Giovanni Paolo II nelle
sue famose Catechesi sull’amore umano nel piano divino – diviene, con
l’incarnazione, passione e morte di Gesù, “sacramento nuovo”, «simbolo
reale della nuova ed eterna Alleanza, sancita nel sangue di Cristo», come ci
ricorda la Familiaris consortio al n. 13. La famiglia cristiana, in tale
modo, è manifestazione della Chiesa; anzi, di più è ripresentazione
della Chiesa stessa. Con linguaggio popolare, ma che nulla tradisce della
rigorosità teologica, potremmo dire che la famiglia cristiana è a suo modo una
concreta “incarnazione” del mistero della Chiesa.
La
Familiaris
consortio,
entrando nel quotidiano vissuto coniugale e familiare, svilupperà
dettagliatamente i rapporti Chiesa-famiglia in chiave dinamico-operativa
per illustrare e comprendere meglio i fondamenti, i contenuti e le
caratteristiche della partecipazione della famiglia alla missione
della Chiesa e per approfondire i molteplici e profondi vincoli che legano
tra loro Chiesa e famiglia a tal punto da essere considerata quest’ultima «una
Chiesa in miniatura», una «viva immagine e storica ripresentazione del mistero
stesso della Chiesa». Questi vincoli reciproci vengono così esplicitati: la
Chiesa Madre «genera, educa, edifica la famiglia cristiana, mettendo in opera
nei suoi riguardi la missione di salvezza che ha ricevuto dal suo Signore»;
«a sua volta la famiglia cristiana è inserita a tal punto nel mistero della
Chiesa da diventare partecipe, a suo modo, della missione propria di questa»
(n. 49).
C’è chi ha visto in questa utilizzazione
dell’immagine della famiglia quale Chiesa domestica il pericolo di una «ecclesiasticizzazione
della famiglia». Ma giustamente è stato fatto osservare che il necessario
ricupero dello spessore teologico, e quindi ecclesiale, della famiglia cristiana
non deve essere confuso con questo pericolo.
Certo, il modo con cui la famiglia partecipa alla missione della Chiesa è
tipicamente “suo”, ossia nel rispetto e nella promozione ci ciò che è proprio e
originario della famiglia stessa. Ma la Chiesa non può che essere arricchita da
questa modalità “familiare” di tradurre e di vivere il mistero che la
caratterizza.
Di fronte alla Familiaris
consortio – che vuol essere una specie di “summa” dell’insegnamento della
Chiesa sull’identità e missione della famiglia cristiana – la Chiesa italiana
non si è trovata impreparata ad accoglierne l’insegnamento, in quanto molto di
esso era stato già sviluppato soprattutto nel documento Evangelizzazione e
sacramento del matrimonio (1975) e poi nel piano pastorale degli anni ’80
con il documento Comunione e comunità nella Chiesa
domestica.
Infatti, in Evangelizzazione e sacramento del
matrimonio, a partire dal fatto che la teologia cattolica considera
gli sposi ministri del sacramento del matrimonio, si è dedotto che essi, in
forza del sacramento, «sono consacrati per essere ministri di santificazione
nella famiglia e di edificazione della Chiesa» (n. 104). Vi è dunque nella
Chiesa, accanto e in relazione al ministero ordinato, anche un
ministero coniugale, che è lo specifico spazio pastorale della coppia
cristiana.
Anticipando quanto poi verrà sottolineato dal
Catechismo della Chiesa Cattolica
si è cercato di chiarire anche il compito proprio e parallelo che Ordine e
Matrimonio hanno nell’edificazione della Chiesa, recuperando la dizione di
«sacramenti sociali». «L’Ordine e il Matrimonio – vi si afferma –
significano e attuano una nuova e particolare forma del continuo rinnovarsi
dell’alleanza nella storia. L’uno e l’altro specificano la comune e fondamentale
vocazione battesimale ed hanno una diretta finalità di costruzione e di
dilatazione del popolo di Dio. Proprio per questo vengono chiamati sacramenti
sociali» (n. 32). Il rapporto tra sacramento dell’Ordine e sacramento del
Matrimonio viene solo descritto con una significativa citazione di uno dei più
grandi teologi della Chiesa, san Tommaso d’Aquino: «Alcuni propagano e
custodiscono la vita spirituale mediante un ministero unicamente spirituale: è
il compito del sacramento dell’Ordine; altri fanno questo mediante un ministero
ad un tempo corporale e spirituale e ciò si attua col sacramento del Matrimonio,
che unisce l’uomo e la donna perché generino una discendenza e la educhino al
culto dì Dio» (Contra gentes, IV,58) (idem).
2. La ‘ministerialità’ della famiglia: fondamenti e contenuti
Possiamo così passare al
secondo punto per illustrare i fondamenti e i contenuti della ministerialità
della famiglia nella Chiesa. Utilizzo l’espressione “ministerialità” per
stemperare un po’ quella di “ministero”, nella cui troppo ampia utilizzazione
alcuni – non a torto – hanno visto un rischio di annacquare questo fondamentale
concetto teologico della Chiesa, parlando in modo troppo generico di una Chiesa
tutta ministeriale, finendo così per azzerare al basso la specificità del
ministero vero e proprio, soprattutto ordinato.
Per quanto riguarda lo
sviluppo dei fondamenti, il discorso si farebbe troppo lungo. Certamente
interessante, interessantissimo; ma abbiamo anche la consapevolezza che non
riusciremo mai a scandagliare pienamente il meraviglioso e affascinante disegno
d’amore di Dio in tutte le sue implicazioni e ripercussioni: nel nostro caso in
rapporto al sacramento e quindi alla grazia del matrimonio. Dovremmo, per
questo, rivisitare le tappe fondamentali della storia della salvezza,
dalla creazione, attraverso cui Dio chiama all’esistenza l’essere umano,
al compimento salvifico della storia nel Regno di Dio, che verrà
inaugurato con le nozze eterne dell’Agnello, passando attraverso
l’incarnazione del Verbo di Dio e la costituzione della Chiesa nella
sua missione storica di evangelizzazione; e vedere in questa rivisitazione della
historia salutis il posto e il ruolo che ha l’istituzione del
matrimonio fondata dal Creatore, strutturata con leggi proprie e stabilita dal
patto coniugale, redenta da Cristo, santificata dallo Spirito e proiettata verso
il Regno, per coglierne i rapporti e le analogie del matrimonio e della famiglia
con questa stessa storia della salvezza. Ciò che abbiamo presentato nel primo
punto, tracciando il breve profilo storico della pastorale familiare in Italia,
ci ha gia permesso di evidenziare almeno qualcuno di questi fondamenti.
Qui vogliamo soltanto esporre,
sempre per rapidi accenni, i contenuti della ministerialità della
famiglia nella concretezza della sua vita quotidiana. Questi contenuti trovano
una descrizione organica nella parte più sostanziosa della Familiaris
consortio (nn. 49-64) e, per quanto riguarda la Chiesa italiana, nella
attuazione che ne viene fatta nel Direttorio, la cui emanazione da parte
delle Conferenze episcopali veniva auspicata dalla stessa Familiaris
consortio.
L’esortazione apostolica di Giovanni Paolo II
fa riferimento alla triplice e unitaria missione (munus) di
Cristo, il quale è Profeta, Sacerdote e Re, e questo
nella sua Chiesa e per mezzo della sua Chiesa. Ora la famiglia prende
realmente parte alla missione di Cristo e della Chiesa e la vive attraverso un
preciso compito legato alla parola, al culto e al servizio.
In particolare la famiglia partecipa alla missione evangelizzatrice con una
propria e specifica modalità, che le deriva dalla sua stessa natura, quella
di essere «intima comunità di vita e di amore». E così la famiglia esercita la
sua missione secondo una modalità comunitaria: «insieme,
dunque, i coniugi in quanto coppia, i genitori e i figli in quanto famiglia,
devono vivere il loro servizio alla Chiesa e al mondo. Devono essere nella fede
“un cuore solo e un’anima sola”, mediante il comune spirito apostolico che li
anima e la collaborazione che li impegna nelle opere di servizio alla comunità
ecclesiale e civile».
Parole semplici, queste, ma formidabili per le implicazioni pastorali che ne
derivano per la pastorale: questa, per essere fedele alla natura della famiglia
cristiana – e dunque al disegno di Dio -, è chiamata a trovare il modo coerente
per farla partecipare attivamente alla vita e alla missione della Chiesa: non
smembrandola in singole persone o in categorie, ma rispettandola e promuovendola
nella sua tipica comunione e unità di persone: appunto in quanto famiglia!
Ora non c’è dubbio che la
liturgia domenicale è oggettivamente – e tale deve diventare nel
vissuto soggettivo - uno dei momenti più significativi nei quali le famiglie
sono chiamate a prendere parte insieme, come famiglie, all’evento di salvezza e
di grazia più solenne della vita della comunità cristiana, trovando nella
liturgia stessa una loro visibilità in quanto famiglie,
se è vero – come abitualmente si dice - che la Chiesa è come una “famiglia di
famiglie”.
A questo riguardo mi sembrano
assai significative alcune importanti affermazioni della III Assemblea
Generale della CEI, già presenti nel lontano 1968, che intendevano far da
riscontro ai brevi ma quanto mai indovinati spunti racchiusi nel Direttorio
liturgico-pastorale per l’uso dei sacramenti e dei sacramentali emanato
l’anno precedente (1967). «La famiglia – vi si afferma –, come Chiesa
domestica, sia aiutata a svolgere nel suo interno un’azione pastorale nella
quale tutti i suoi membri convergano per uno sviluppo della loro personalità
religiosa e umana... Nasce da qui l’esigenza che la famiglia venga attivamente
accolta entro la comunità ecclesiale. In particolare, nella Parrocchia va
sviluppato l’apporto della famiglia alla vita liturgica, alla catechesi generale
e specifica in ordine al matrimonio; vanno incoraggiate le iniziative delle
famiglie per le famiglie..., vanno promossi i gruppi di spiritualità coniugale e
la comune partecipazione dei coniugi alle associazioni di apostolato; va
giudicata opportuna la presenza dei coniugi nei Consigli pastorali».
Ritornando alla Familiaris consortio e al
Direttorio, la famiglia cristiana è descritta come una comunità
credente ed evangelizzante.
Essa vive il suo compito profetico accogliendo e annunciando la Parola di Dio.
La famiglia cristiana, inoltre, è una comunità in dialogo con Dio;
in questo dialogo essa esercita il proprio compito sacerdotale attraverso
l’offerta della propria esistenza e la preghiera. Infine, la famiglia cristiana
è una comunità al servizio dell’uomo,
vivendo in particolar modo al suo interno i valori dell’amore, della reciproca
accoglienza, del rispetto, e imparando alla scuola della verità e dell’amore a
riconoscere nel volto di ogni fratello, soprattutto il più bisognoso, l’immagine
di Dio.
Sarebbe senz’altro bello
riprendere e sviluppare in termini teologici, spirituali, pastorali e insieme di
esperienza esistenziale questo triplice volto di una fede
professata-celebrata-vissuta come tesoro insuperabile che arricchisce il
cuore “nuovo” delle famiglie e come impegno che quotidianamente requisisce –
cioè esalta – la libertà cristiana con il loro “sì” di risposta al grande “sì”
di Dio e del suo amore, pronunciato dall’eternità e reso efficace con il
sacramento del matrimonio. E’ esattamente questo il senso del Percorso pastorale
che ho voluto proporre per un triennio alla Chiesa ambrosiana con la Lettera
“L’amore di Dio è in mezzo a noi. La missione della famiglia a servizio del
Vangelo”, nelle tre tappe intitolate: Famiglia ascolta la parola di Dio;
Famiglia comunica la tua fede; Famiglia diventa anima del mondo.
Così la famiglia, in forza dei
valori di vita e di amore che le sono propri, è chiamata a imparare, alla scuola
dei vincoli di affetto che la caratterizzano, l’alfabeto per dire al
mondo l’amore infinito di Dio e ad educare a stimare il valore ossia la
dignità quasi infinita di ogni persona, proprio perché amata da Dio (cfr.
Isaia 43,4), a curare le buone relazioni attraverso le quali soprattutto
passano l’annuncio del Vangelo e la traditio fidei. Solo così si
può contrastare una società fondamentalmente individualista e indifferente a
relazioni che non siano strumentali e utilitariste.
Se la parola di Dio rivela il
movimento discendente del suo amore verso l’uomo, secondo
l’espressione di Giovanni «e il verbo si fece carne» (Gv 1,14), il
culto, cioè la liturgia esprime il movimento ascendente di offerta
e di lode e insieme il movimento orizzontale di servizio
amorevole, tramite il quale l’uomo è spinto ad uscire fuori di sé incontro
all’altro, non solo all’altro, al prossimo - nel matrimonio è prima di tutto lo
sposo per la sposa e la sposa per lo sposo -, ma all’Altro in senso verticale, a
Dio, che, dopo essere stato conosciuto dalla mente, il cuore dell’uomo desidera
anche amare. Mi piace qui ricordare una geniale definizione dell’uomo del beato
Antonio Rosmini: l’uomo è una potenza l’ultimo atto del quale è congiungersi
con l’Essere senza limiti per conoscimento amativo.
La liturgia ha così
funzione di ponte tra il cielo e la terra.
È allo stesso tempo un’azione orizzontale che lega i credenti tra di loro e
un’azione verticale che lega i credenti a Dio, attraverso la mediazione di
Cristo Gesù, nella persona del quale agisce il presbitero, presidente della
comunità. A fare da ponte è proprio Cristo stesso (il Pontifex maximus),
che nell’Eucaristia si fa parola e pane di vita, si fa conoscere e amare, per
abilitare e impegnare i suoi discepoli ad essere sale della terra e luce del
mondo (cfr. Mt 5,13-14). E la famiglia, per sua stessa natura, è il luogo
primo e insostituibile degli affetti consapevoli e voluti, quindi è scuola dove
si impara a costruire ponti d’amore. Proprio per questo possiamo dire che la
vita familiare, se vissuta nei suoi ritmi e nei suoi tempi, possiede una
naturale struttura liturgica. La vita relazionale propria della
convivenza familiare diventa allo stesso tempo vita comunionale, e la
comunione è l’espressione massima della vita della Chiesa che viene resa
visibile proprio nell’Eucaristia, culmine e fonte dell’esperienza ecclesiale.
Emerge qui in maniera superlativa e inconfondibile la centralità eucaristica per
la vita della Chiesa e pertanto per la vita della famiglia. L’Eucaristia,
attraverso lo Spirito che il Signore effonde nel cuore degli sposi, trasforma il
loro amore in carità, che è il modo proprio con cui Cristo ama la sua Chiesa e a
cui gli sposi sono resi partecipi (cfr. Familiaris consortio, n.57).
Vorrei chiudere questo secondo
punto facendo riferimento ad un passo della recente Nota Pastorale
della CEI dopo il 4° Convegno Ecclesiale Nazionale, «Rigenerati per una
speranza viva» (1Pt 1,3) testimoni del grande «sì» di Dio all’uomo. Là dove
si parla del rinnovamento per «una pastorale vicina alla vita delle persone,
meno affannata e complessa, meno dispersa e più incisivamente unitaria» (n. 21),
si afferma che «l’attuale impostazione pastorale, centrata prevalentemente
sui tre compiti fondamentali della Chiesa (l’annuncio del Vangelo, la liturgia e
la testimonianza della carità), pur essendo teologicamente fondata, non di rado
può apparire troppo settoriale e non è sempre in grado di cogliere in maniera
efficace le domande profonde delle persone: soprattutto quella di unità,
accentuata dalla frammentazione del contesto culturale» (n. 22).
A prima vista, questa sottolineatura legata al
vissuto quotidiano di tutti sembra limitare la portata, lo spessore teologico di
quanto abbiamo detto circa la partecipazione della famiglia alla triplice
missione di Cristo e della Chiesa. Ma è un’apparenza, che svanisce subito se si
pensa che questa missione è per la persona concreta, per il suo vissuto, per la
sua esperienza esistenziale. In realtà il fine di tutta l’azione ecclesiale,
necessariamente multiforme, è di servire la persona nella sua unità e
integralità. L’antropologia integrale, infatti, è l’orizzonte dentro il
quale si svolge tutta l’azione pastorale. La via che la Chiesa è chiamata a
percorrere per realizzare il mandato missionario di Cristo è l’uomo, come bene
ebbe a indicare Giovanni Paolo II nella sua prima enciclica Redemptor hominis.
E da qui emerge l’importanza dell’attenzione alla famiglia. Essa stessa si
deve considerare via della Chiesa – come si sottolinea nella Lettera
alle Famiglie – perché l’uomo non vive come un’isola, ma vincolato dagli
affetti, primi fra i quali sono gli affetti che nascono dai legami familiari,
essendo la famiglia la prima e fondamentale esperienza di comunione delle
persone (communio personarum). La famiglia è «via della Chiesa»
perché è il luogo della nascita e della crescita personale e sociale
dell’uomo e perché è il luogo dell’incarnazione del Figlio di Dio e della
sua vita nascosta e obbediente a Nazaret. Dio «è entrato nella storia degli
uomini attraverso la famiglia»;
così anche la Chiesa può farsi più vicina all’uomo di oggi e prendere parte alle
sue gioie e speranze, alle sue tristezze e angosce, attraverso la famiglia. Ecco
il motivo per cui la parrocchia missionaria deve fare della famiglia «un
luogo privilegiato della sua azione, scoprendosi essa stessa famiglia di
famiglie».
Per una Chiesa che è chiamata ad imparare a
comunicare il Vangelo in un mondo che cambia, «mettere la persona al centro
costituisce una chiave preziosa per rinnovare in senso missionario la pastorale
e superare il rischio del ripiegamento, che può colpire le nostre comunità».
Sotto questa prospettiva, la famiglia può e deve essere pastoralmente
valorizzata come un fondamentale laboratorio di unità per contrastare
l’accentuata frantumazione del nostro contesto culturale. Bisogna operare per
ricostruire l’unità della famiglia, nella pluralità dei suoi componenti, non
però facendone una specie di fortezza per difendersi dagli assalti della
frantumazione e di un mondo cattivo, ma – per riprendere una significativa
espressione di Giovanni Paolo II – per farne un ambiente di ecologia umana.
«La prima e fondamentale struttura a favore dell’“ecologia umana” – si
afferma nella Centesimus Annus – è la famiglia, in seno alla quale l’uomo
riceve le prime e determinanti nozioni intorno alla verità ed al bene, apprende
che cosa vuol dire amare ed essere amati e, quindi, che cosa vuol dire in
concreto essere una persona» (n. 39).
È nella famiglia, quindi, che
si impara a mettere al centro la persona, attraverso un’opera educativa che
aiuta ciascuno dei suoi componenti a vincere il più grande nemico delle
relazioni di comunione: l’egoismo, l’autonomia individualista, l’indifferenza
verso gli altri. La famiglia deve essere aiutata a diventare scuola di
comunione. È attraverso questa scuola che la persona diviene adulta, solidale
con tutti, capace di responsabilità e di condivisione. La legge, infatti, che
regola la vita della famiglia è la gratuità che è l’esperienza generata
dal dono e che genera a sua volta quella che possiamo definire l’etica del dono.
«Gratuitamente avete ricevuto – dice il Signore – gratuitamente date»
(Mt 10,8).
3. Sfide e nodi critici della pastorale familiare
Nel seguire questa mia
conversazione, forse a più di uno di voi sarà venuto il dubbio: la Chiesa,
proponendo questa visione della comunità familiare, non sta sognando? Non
sarà un’utopia pensare l’identità e la missione della famiglia nei
termini che ho descritti? Proporre una meta così alta non allontanerà le
famiglie di oggi, invece di avvicinarle?
Ma questa reazione e,
comunque, questi interrogativi non sono forse abbastanza “normali” quando si
presta attento ascolto al Vangelo e alle sue proposte che risultano essere
radicali, nuove e sorprendenti? Non è la medesima reazione che troviamo al tempo
di Gesù, come attestano gli evangelisti?
Un esempio, tra i tanti. Dopo che Gesù, parlando
del prossimo avvento del Regno dei cieli, aveva esposto ai discepoli il disegno
originario di Dio sul matrimonio nella sua esigenza di fedeltà “per sempre” ed
aveva messo in guardia sulla pericolosità dell’attaccamento del cuore alle
ricchezze, la loro reazione è stata: «Chi si potrà dunque salvare?». Ma
Gesù, fissando su di loro lo sguardo, cioè stabilendo con loro un legame
affettivo intenso di fiducia, disse: «Questo è impossibile agli uomini, ma a
Dio tutto è possibile» (Mt 19,26). Giovanni Paolo II – introducendo
la Chiesa nel nuovo millennio – ha detto che «è ora di riproporre a tutti con
convinzione questa “misura alta” della vita cristiana ordinaria: tutta la
vita della comunità ecclesiale e delle famiglie cristiane deve portare in questa
direzione».
Le sfide che la
pastorale familiare si trova a dover affrontare già nell’attuale situazione e
nel prossimo futuro sono certamente molte, diverse e complesse e possono non
poco scoraggiare. La pastorale familiare è all’altezza alla «sfida
antropologica» in atto, lanciata dalle biotecnologie e dalle cosiddette
ideologie di genere? Di fronte a un movimento culturale, che tende sempre
più a delegittimare la famiglia e a ridurla a “una istituzione socialmente
superata”, che cosa ha da dire la Chiesa? Come affrontare “ad extra” la sfida
del cambiamento e “ad intra” quella del rinnovamento?
Non voglio qui addentrarmi in un’analisi
dettagliata di tali sfide. Per chi lo desiderasse, esse sono ben evidenziate dai
periodici rapporti del CISF sulla evoluzione della famiglia in Italia,
nell’ultimo dei quali è stata richiamata la necessità di ri-conoscere la
famiglia quale valore aggiunto per la persona e la società.
Nemmeno voglio esporre i
nodi critici della pastorale che emergono nel rapporto tra la
famiglia e la parrocchia, nella preparazione al matrimonio di fronte al
diffondersi delle convivenze, nell’accompagnamento delle coppie dopo averle
generate nel sacramento, nella accoglienza, in verità e carità, delle persone
che hanno fallito il progetto matrimoniale.
Anche in questo campo
l’Ufficio Famiglia della CEI, con i vari convegni organizzati in questi anni sia
di spiritualità coniugale sia di aggiornamento degli operatori di pastorale
familiare, ha tracciato linee di rinnovamento assai preziose, e i cui atti sono
a disposizione delle comunità parrocchiali che vi possono trovare alimento
dottrinale e indicazioni pastorali.
Vorrei solo avviarmi a
concludere richiamando ancora una volta il messaggio di Verona sulla
speranza. Tale messaggio a sperare, per quanto riguarda la famiglia, è
presente già nella Familiaris consortio. Alla fine dell’esortazione
apostolica, il Papa – che ha aperto il suo pontificato invitando tutti a non
avere paura, perché Cristo non abbandona mai la sua Chiesa – dava, in modo
particolare a figli della Chiesa, «una consegna concreta ed esigente»: amare
in modo particolare la famiglia. E precisava che amare la famiglia è ridare
ad essa, spesso tentata dallo sconforto e angosciata per le accresciute
difficoltà, «ragioni di fiducia in se stessa, nelle proprie ricchezze di natura
e di grazia, nella missione che Dio le ha affidato». E concludeva «Bisogna che
seguano Cristo!».
Cristo risorto è la speranza del mondo, e quindi è
la speranza anche per tutte le famiglie. E’ proprio su questo punto che sta
forse la sfida più forte e urgente della pastorale familiare, la sfida
educativa nel senso più ampio del termine. Il santo padre Benedetto XVI,
aprendo lo scorso anno il Convegno della sua diocesi di Roma sull’educazione,
l’ha connesso con il Convegno precedente sulla famiglia. «Il verbo “educare”
– disse –, posto nel titolo del Convegno, sottintende però una speciale
attenzione ai bambini, ai ragazzi e ai giovani e mette in evidenza quel compito
che è proprio anzitutto della famiglia: rimaniamo così all’interno di quel
percorso che ha caratterizzato negli ultimi anni la pastorale della nostra
Diocesi».
La famiglia è il luogo naturale della trasmissione dei valori di generazione in
generazione.
Ma ritorniamo al tema del
nostro attuale Convegno su Famiglia e liturgia. Se le scienze sociali
dicono che oggi bisogna ri-conoscere la famiglia come un valore aggiunto per la
persona e la società, anche la Chiesa, soprattutto lei, deve ri-conoscere
la famiglia come valore aggiunto per la pastorale. Ebbene il luogo perché
questa reciproca ri-conoscenza possa avvenire e crescere è proprio l’azione
liturgica, dove la comunità cristiana si raduna per la santa Cena per
professare la propria fede in Gesù Salvatore del mondo, per rinforzare i vincoli
della carità fraterna e per rinnovare lo slancio missionario
dell’evangelizzazione.
È qui, soprattutto
nell’assemblea festiva, che la famiglia può essere aiutata a riscoprire la sua
identità di «Chiesa domestica» e a credere in se stessa. Famiglia, diventa
ciò che sei!, dice la Familiaris consortio (n. 17). “Famiglia,
credi in ciò che sei!”, ha gridato con forza il Papa alla vigilia della
beatificazione di Luigi e Maria Beltrame Quattrocchi (21 ottobre 2001): dobbiamo
aiutare le famiglie a prendere coscienza gioiosa e grata della ricchezza
straordinaria che c’è nel loro matrimonio, nella sua capacità di liberare
l’amore e la fecondità di Dio all’interno della famiglia, nella comunità
cristiana e nella società.
Forse oggi è questa la vera
priorità della pastorale familiare, ma forse della pastorale in generale:
sostenere e accompagnare gli sposi – quelli delle nostre famiglie concrete, con
le loro fragilità e le loro fatiche – in una formazione che li aiuti prima di
tutto a scoprire il valore antropologico e teologico della loro relazione e del
sacramento con cui sono stati consacrati per essere un segno e un dono nella
comunità. Man mano che cresce negli sposi la consapevolezza di essere frutto ed
esperienza concreta dell’amore di Dio, essi diventeranno capaci di assumere con
libertà e gioia la responsabilità di diffondere attorno a loro, nelle molteplici
forme della testimonianza e del servizio, la carità che genera e rigenera
continuamente la Chiesa, rendendola sempre giovane e santa.
+ Dionigi card. Tettamanzi
Arcivescovo di Milano
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