Diocesi di
Milano
L’ICONA EVANGELICA
per il Percorso pastorale triennale
(2006-2009)
CI
FU UNO SPOSALIZIO
A CANA DI GALILEA
GESÙ FU INVITATO ALLE NOZZE
Il racconto dell’amore
7. C’è un
racconto d’amore che attraversa tutta la storia umana dal quale
emerge che nel cuore di ogni uomo e di ogni donna è presente, perenne e
insopprimibile, il desiderio di amare. Giovanni Paolo II scrive, con
vigore e rara incisività, nella sua prima enciclica: «L’uomo non può vivere
senza amore. Esso rimane per se stesso un essere incomprensibile, la sua vita è
priva di senso se non gli viene rivelato l’amore, se non si incontra con
l’amore, se non losperimenta e non lo fa proprio, se non vi partecipa vivamente»
(Redemptor hominis, 10).
Questo desiderio innato
viene svelato in pienezza e portato a compimento nella missione di Gesù, il
Figlio di Dio venuto tra noi come nostro Salvatore.
La pagina del vangelo di Giovanni, che narra le nozze di Cana
(cfr Giovanni 2,1-11), ci aiuta a leggere in maniera sapienziale,
semplice e toccante l’esperienza dell’amore umano tra due sposi che, dando
inizio a una nuova famiglia, diventano un segno della gloria del Figlio
di Dio in mezzo a noi.
Veramente splendida questa pagina evangelica! È sintesi armonica di
umano e di divino, testimonianza luminosa di un’esperienza antica e sempre
nuova, sorprendente “novità” legata al Signore Gesù e al suo irrompere nel cuore
degli sposi e dell’intera umanità.
Questa “icona evangelica” accompagnerà, quasi sfondo luminoso e
leitmotiv musicale, il Percorso pastorale in tutto il suo
triennio.
La fissiamo con gli occhi del nostro cuore di credenti. Meditiamo il
brano del vangelo di Giovanni nei suoi passi salienti. Concludiamo con alcune
indicazioni che fanno luce sulla visione umana e cristiana del matrimonio e
della famiglia.
1.
Le nozze di cana e il miracolo dell’amore
8.
Nel vangelo di Giovanni c’è una pagina breve e stupenda, al centro della quale
sta Gesù: è lui che dà significato, profezia e splendore alla famiglia. Si fa
presente a una festa di nozze, moltiplica la gioia, manifesta un amore più
grande. Ma quale amore? Il suo o quello degli sposi? O l’amore di Gesù e insieme
l’amore degli sposi?
Leggiamo il brano di Giovanni, nella consapevolezza che ascoltando il
Vangelo – parola ispirata e quindi parola di Dio (cfr Dei verbum,
24) - «partecipiamo a quello sposalizio e siamo pure testimoni del primo segno –
del primo miracolo che il Signore Gesù ha fatto proprio là: a Cana di Galilea»
(Giovanni Paolo II, Omelia, 19 gennaio 1986).
Tre giorni dopo, ci fu uno
sposalizio a Cana di Galilea e c'era la madre di Gesù. Fu invitato alle nozze
anche Gesù con i suoi discepoli. Nel frattempo, venuto a mancare il vino, la
madre di Gesù gli disse: «Non hanno più vino». E Gesù rispose: «Che ho da fare
con te, o donna? Non è ancora giunta la mia ora». La madre dice ai servi: «Fate
quello che vi dirà».
Vi erano là sei giare di pietra
per la purificazione dei Giudei, contenenti ciascuna due o tre barili. E Gesù
disse loro: «Riempite d'acqua le giare»; e le riempirono fino all'orlo. Disse
loro di nuovo: «Ora attingete e portatene al maestro di tavola». Ed essi gliene
portarono.
E come ebbe assaggiato l'acqua
diventata vino, il maestro di tavola, che non sapeva di dove venisse (ma lo
sapevano i servi che avevano attinto l'acqua), chiamò lo sposo e gli disse:
«Tutti servono da principio il vino buono e, quando sono un po’ brilli, quello
meno buono; tu invece hai conservato fino ad ora il vino buono». Così Gesù diede
inizio ai suoi miracoli in Cana di Galilea, manifestò la sua gloria e i suoi
discepoli credettero in lui (Giovanni
2, 1-11).
Ci fu uno sposalizio a Cana di Galilea
La gioia dell’amore
9. L’amore è un
evento possibile, meraviglioso e fragile. Le nozze sono occasione di festa. La
mancanza di vino, che mette in pericolo la gioia degli sposi, fa riflettere
sull’eventualità che la gioia dell'uomo sia in qualche modo compromessa, sino a
venir meno.
È l'esperienza anche
nostra. Tutti tendiamo alla gioia; desideriamo essere felici, appagati, sereni,
in pace, soddisfatti della nostra vita. Negli spazi della nostra esistenza
vorremmo scoprire un significato o una presenza che siano veramente il respiro e
l'anima delle nostre giornate. Vorremmo conoscere i sentieri che ci riconducono
all'unificazione interiore, ciascuno secondo la propria vocazione.
A volte ci
interroghiamo circa la nostra capacità di essere contenti: può capitare che
qualcosa getti un’ombra sulla gioia di vivere e sulla capacità di amare.
Vorremmo l’amore, unito alla verità e alla pace. Ci interroghiamo se l'uomo e la
donna di oggi possono riuscire a mostrare sempre un volto felice e riconciliato,
pieno di speranza di fronte alla vita.
Che cosa si pensa oggi
dell’amore? Quali forme di amore convincono veramente? Che cosa cercano per
essere felici i ragazzi e le ragazze di oggi? Che cosa nella vita delle persone
mortifica la gioia di vivere, spegne il desiderio di legami duraturi? Molti si
domandano se vale ancora la pena di sposarsi e di avere una famiglia.
Il divario tra ciò che
sogniamo e ciò che viviamo può mortificare i nostri desideri, renderci deboli,
incapaci di grandi affidamenti e di vere fedeltà. Le difficoltà della vita di
ogni giorno, dove tutto spesso è così uguale e monotono, rendono più faticoso lo
sforzo di riscoprire la bellezza della dignità di ogni persona, il valore della
relazione umana, il senso della fedeltà e della fecondità dell’amore. Vorremmo
sempre qualcosa di diverso e di più grande, di appagante e di definitivo.
Dove troviamo le sorgenti della gioia?
I cristiani, che si
sposano nel Signore, cercano nella contemplazione del suo volto, le strade su
cui indirizzare la loro vita. Con la forza del Vangelo si impegnano a vivere nel
dono di se stessi.
Non desiderano questa
avventura soltanto per sé, ma per tutti. Sono convinti che nel Vangelo di Gesù
sta la pienezza umana della vita e dell’amore. Questa è l’anima della
loro missione: un’offerta di amore. L’amore sponsale unisce le buone
volontà, è un aiuto reciproco, un sostegno, una promessa, una comune fedeltà. È
una fonte di speranza.
Sono molte le famiglie
che si amano così e che rendono lode a Dio.
Non
hanno più vino
Il disagio quotidiano
10. Può venire il momento, nella vita di coppia e di famiglia, in
cui improvvisamente si ha l’impressione che venga a mancare qualcosa di
importante per la qualità della relazione e per la gioia dell’esistenza.
Qualcuno s’accorge che gli invitati alla festa non hanno più vino. Nel
simbolismo biblico il vino significa gioia, abbondanza, pienezza,
esuberanza di vita, risorsa per superare stanchezze e vincere delusioni.
A un certo punto sembra
che questa gioia diminuisca e si disperda nella normalità della vita. La
mancanza del vino richiama l'esperienza quotidiana del disagio, quando qualcosa
di concreto sembra incrinarsi e qualcosa di promesso venir meno. La gioia, che
da sempre è legata all'amore, quasi vacilla, si deturpa, è incapace di
alimentarsi, di resistere e di durare. Ci sono giorni in cui gli affetti, le
amicizie, i rapporti che si sono costruiti con pazienza si allentano e si
scompongono, appaiono non credibili, insufficienti a dar gusto alla vita.
In momenti come questi
sembra di udire ancora le parole discrete di Maria, la madre: «Non hanno più
vino!». Viene in mente l’analoga situazione di disagio delle vergini della
parabola: «Non abbiamo più olio, le nostre lampade si spengono» (Matteo
25,8). Sono occasioni in cui la creatura umana si scopre carente, distratta,
incapace. La festa finisce e lascia il posto alla delusione.
Nell’esperienza del
matrimonio e delle relazioni familiari ci può sorprendere uno strano senso di
noia, come se tutto quello che abbiamo o facciamo sembri improvvisamente privo
di senso. Siamo tanto diversi per età, per storia, per interessi, per
tradizione. Anche nella vita sociale qualcuno sembra avere tutto, altri neppure
il necessario per vivere. E purtroppo spesso, anche di fronte a molti disagi, si
rimane indifferenti. Si prova un senso di vuoto e di nostalgia, come di fronte a
un mistero perduto di cui abbiamo immensamente bisogno.
Sappiamo che l’amore va
continuamente costruito, attraverso la preghiera, l’umiltà del cuore e la
dedizione della vita. Sappiamo che la famiglia è un dono grande, ma che richiede
anche grandi sacrifici. Sposarsi è una grazia e un impegno. E grazia e impegno è
la vita di ogni giorno nel matrimonio e nella famiglia.
Bisogna avere fiducia
anche in se stessi, oltre che nelle persone amate. Bisogna andare al di là delle
proprie debolezze e dei propri limiti. Bisogna vivere riconciliati anche con le
nostre povertà e riacquistare serenità di fronte agli altri. Siamo troppo
preoccupati del giudizio sulla nostra persona e sul nostro carattere.
A compromettere la
gioia dell’amore intervengono anche la consapevolezza del nostro peccato, la
constatazione del male che è dentro di noi e dell’incapacità a migliorarci. Si
ha la sensazione di essere sempre gli stessi, di non riuscire ad amare davvero,
prigionieri di qualcosa che è più forte di noi. Le risorse dell’amore coniugale,
le scorte di vino o di olio, sembrano diventate insufficienti. Ci si accorge
della necessità del miracolo e si invoca l’aiuto di Dio.
Ci consola sapere che
Maria, madre di Gesù, è sempre presente, attenta e discreta. Prevede il disagio
dei suoi figli e intercede perché il miracolo si compia.
Tre giorni dopo
L’amore creato e redento
11. Il quarto
vangelo inizia con la descrizione di una settimana di intensi avvenimenti: « In
principio..., il giorno dopo Giovanni vedendo Gesù..., il giorno dopo Gesù stava
ancora là..., il giorno dopo Gesù incontrò Filippo..., tre giorni dopo ci fu uno
sposalizio a Cana di Galilea...» (cfr Giovanni 1-2). Calcolando i
giorni, arriviamo a porre l'episodio di Cana nel sesto giorno
della settimana, che è il giorno della creazione dell'uomo e della donna.
Con la celebrazione
dell’amore tra l’uomo e la donna la creazione continua. Giovanni, che ha aperto
il suo vangelo con le stesse parole del libro della Genesi, «in principio»,
ci fa percorrere un'intera settimana di avvenimenti. Nel sesto giorno un uomo e
una donna uniscono la loro vita nel matrimonio; questo avvenimento di amore
diventa un segno della nuova creazione e
un’anticipazione della gloria che Gesù, nella sua “ora”,
rivelerà dalla Croce.
Gesù porta a compimento
l'opera creatrice di Dio nell’amore coniugale. In una situazione di disagio Gesù
non abbandona gli sposi, non li lascia senza gioia, senza festa, senza speranza.
È come se Giovanni volesse ricuperare tutta la storia del mondo, tutte le
vicende del popolo di Israele, e far convergere in questo matrimonio il cammino
di tutte le generazioni, per condurle all'incontro con Gesù attraverso l’amore
coniugale. Giovanni, tra tutti i segni che ha a disposizione, sceglie
quello più intenso, quello più radicato nel cuore dell'uomo e della donna:
quello dell'amore che si vive nella forma del matrimonio e della famiglia.
Questa pagina gioiosa
del vangelo di Giovanni suggerisce agli sposi che tutte le vicende umane della
creazione e della storia si raccolgono e si consolidano in ogni loro gesto di
autentico amore. In fondo, la vita nella sua pienezza sta nella capacità di
appartenersi e di vivere l’una per l’altro. Il carattere gioioso e appagante
della vita, che si rivela in Gesù Cristo, tocca le nostre relazioni più vere e
gli affetti più decisivi, le difficoltà più condivise e le fecondità più attese.
Tre giorni dopo:
Dio non abbandona mai la creazione, al contrario la porta a compimento. Il suo
sguardo si posa sempre da capo sulla vicenda umana di coloro che si amano. Dio
sa che non è bene che l’uomo e la donna siano soli. Per questo pensa sempre a un
aiuto per loro (cfr Genesi 2,18). Rimane vicino agli sposi e alla
famiglia, perché in ogni momento possano scorgere la gloria del Crocifisso (cfr
Giovanni 19,37) e consumare la festa seguendolo sulla via dell’amore sino
alla fine (cfr Giovanni 13,1).
Nella fede invochiamo
il Signore, perché nessuno, su qualunque strada, rimanga solo nella vita, senza
relazioni e senza giorni di festa. Lo Spirito di Dio può sempre ritornare a far
fiorire i deserti.
Vi
erano là sei giare di pietra
Verso uno Spirito nuovo
12. Un inciso del testo evangelico, che può apparire un poco
oscuro, non deve passare inosservato: «Vi erano là sei giare di pietra per la
purificazione dei Giudei» (Giovanni 2,6).
Quando l’amore si fa
maturo, è chiamato a prepararsi a una purificazione ulteriore: la legge da sola
non basta più. Nel vangelo di Giovanni le giare di pietra rimandano ai riti di
purificazione previsti dalla Legge. L'acqua tramutata in vino proviene da queste
giare riempite fino all'orlo (cfr Giovanni 2,7). Gesù sta per portare una
pienezza di vita superiore a ogni legge: il dono dello Spirito, effuso dalla
Croce (cfr Giovanni 19,30).
La legge da sola – in
quanto semplice legge - non è sufficiente per sostenere l’amore. L’amore
coniugale e familiare, in un certo senso, va al di là della legge. Già si
intuisce che Gesù sta introducendo a una festa nuova, a uno stile nuovo di
amare, a una misura nuova di donazione che non sempre sappiamo comprendere e
vivere. Ma l’amore cristiano è punto di partenza e promessa di una gioia più
abbondante, che passa attraverso la purificazione della mente e del cuore, ben
oltre ogni legge umana e civile: raggiunge le profondità insondabili dello
Spirito.
Se in una famiglia si
pensa di “voler bene” solo considerando “quello che spetta a me e quello che
tocca a te”, si rimane al di qua delle giare di pietra e non avverrà nessun
miracolo. Quando invece in una famiglia si ama secondo il comandamento di Gesù,
le giare della legge, riempite fino all’orlo, straripano del dono dello Spirito.
Gli sposi, in una continua purificazione dell’amore, imparano con i figli che
nell’esistenza quotidiana non ci può essere alcuna pienezza di vita senza
un'eccedenza, segno inequivocabile del dono completo di se stessi.
Vi erano là sei giare di pietra. Oggi alle famiglie dei cristiani si
chiede una più grande capacità di amare. Questa è la loro sfida: amare al di là
di ogni legge. Così Gesù difende la gioia degli sposi, offrendo loro il vino,
che è una nuova misura dell'amore. Il dono dello Spirito li condurrà ancora più
avanti, anche quando verranno meno il desiderio e la forza della perseveranza.
Se nella relazione coniugale e nella vita familiare qualcuno sarà tentato di
dire “adesso basta”, lo Spirito di Gesù lo condurrà alla “ripresa” del cammino
con quell’amore impossibile agli uomini ma reso possibile da Dio (cfr Luca
1,37).
Quante volte nei
rapporti umani, nelle situazioni complesse e difficili, ci si vorrebbe
arrendere! Il Signore difende la gioia che deriva da questo dono completo: il
vino dato agli sposi ne è il segno. La gioia del matrimonio è una dimensione
ricchissima del cuore di Cristo, espressione della sua carità senza limiti e
senza condizioni.
Non
è ancora giunta la mia ora
La pienezza del dono
13. Nel sacramento del matrimonio risplende la pienezza del dono
definitivo che Gesù fa di se stesso. Solo Gesù può portare l’amore fino ai
traguardi più alti in un mondo che spesso non dà affidamento alla durata delle
cose e all’eternità dell’amore. Gesù dona ogni giorno agli sposi e alle famiglie
la forza di vivere, li accompagna nelle loro vicende gioiose e tristi e li aiuta
a giungere con lui all’ora suprema: «Sapendo che era giunta
la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che
erano nel mondo, li amò sino alla fine» (Giovanni 13,1).
A Cana di Galilea,
attraverso l’amore di due sposi, Gesù incomincia a manifestare la sua gloria:
l’amore che svelerà in pienezza con la sua Pasqua e che ci lascerà nel segno
della cena eucaristica.
Quando una famiglia si
nutre dell’Eucaristia partecipa dell’amore di Gesù e impara ad amare come lui ci
ha amato. Nell’Eucaristia, come a Cana, l’amore di Gesù compare nel segno del
vino: il calice dolce della festa e quello amaro della passione richiamano una
gioia difficile e, tuttavia, necessaria e degna in ogni caso di essere vissuta
in tutto il suo valore. Se una famiglia vuole vivere la pienezza dell’amore deve
imparare sempre di più a celebrare l'Eucaristia, nella quale Gesù offre il suo
amore per noi.
Non è ancora giunta la mia ora.
Per la famiglia trasmettere la fede significa educare i propri figli
a prendere parte a questa nuova tavola di comunione e di festa dove si celebra
l’ora di Gesù.. Intorno ad essa si celebra e si alimenta l'esperienza
gioiosa della carità che, dentro e oltre la famiglia, è a servizio del Regno di
Dio.
La gioia che la carità
diffonde non nasce dalle emozioni di un entusiasmo momentaneo, conosce piuttosto
l’impegno di un serio cammino educativo e ha il sapore di una donazione
disinteressata e fedele. Solo Gesù, con l’effusione del suo Spirito, può
alimentare questa carità e trasformarla in annuncio, testimonianza e missione.
Il nostro mondo e le
nostre famiglie continuano ad avere un immenso bisogno di questo amore.
Così Gesù diede inizio ai suoi miracoli
L’amore e il segno del matrimonio
14. L’amore di questi due sposi, nel giorno delle
nozze, entra sorprendentemente nel tempo di Dio e nell’ora di Gesù. Fin
da questo inizio, Gesù unisce il cammino degli sposi e la nuova famiglia al
proprio cammino di obbedienza amorosa e fedele al Padre, un’obbedienza che lo
condurrà alla croce e alla gloria. In questo cammino egli sostiene e accompagna
gli sposi e non lascia che la loro festa e la loro gioia vengano sminuite.
La pagina delle nozze
di Cana manifesta il carattere meraviglioso della vita e dell’amore che Gesù
dona a tutti coloro che si sposano in lui. Il matrimonio diventa un segno
grandissimo, un vero e proprio sacramento del suo amore. Gesù per
questi sposi vuole un evento di gioia e una vita felice. Con squisita umanità
difende questa famiglia fin dal suo nascere, la solleva dalle prime difficoltà,
la introduce a un’esistenza significativa e feconda, dove le relazioni di
parentela, di amicizia e di fraternità – se vissute nella sua luce - non si
deteriorano e non vengono meno nonostante gli inevitabili cambiamenti dello
scorrere della vita.
Nella prospettiva
teologica dell’evangelista, questo gesto acquista il suo vero senso – diventa
segno – alla luce della tradizione biblica. I tempi messianici venivano
spesso annunciati dai profeti con l'immagine del banchetto,
arricchito da «vini eccellenti e raffinati» (Isaia 25,6). Si comprende
così il significato spirituale di questo gesto: è compiuta la stagione
dell’attesa e ha inizio il tempo della progressiva realizzazione della promessa.
La famiglia che nasce
dal matrimonio riceve una pienezza di vita e una solida prospettiva di futuro,
ricca di gioia e di fecondità, espressa dall’abbondanza del vino al banchetto di
Cana. Il dono, come la grazia che è destinata a ogni famiglia, è versato in
misura straordinaria (cfr Giovanni 2,6) ed è di eccellente qualità (cfr
Giovanni 2,10). Il dono d’amore riflette il cuore del Signore e la sua
illimitata generosità: «Sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in
abbondanza» (Giovanni 10,10). La bellezza della famiglia cristiana
realizza questa promessa e la porta a compimento.
Così Gesù diede inizio ai suoi miracoli.
Ogni famiglia nella fede e nella preghiera,
nell’ascolto reciproco e nel confronto quotidiano, impara a discernere i
segni che Dio mette sul suo cammino e
ad accorgersi che ancora oggi avvengono miracoli.
Ogni famiglia possa
accogliere i disegni e i suggerimenti del Signore attraverso le persone che
incontra, le cose che capitano, gli eventi che si vivono insieme, i sentimenti
che si provano e le scelte che si fanno!
Manifestò
la sua gloria
La presenza di Gesù
15. Tutti noi amiamo
la vita e il Signore vuole manifestare nella nostra vita la sua gloria. Anche
oggi, nella festa della vita, c’è gente che si ama e gente che si sposa. Ma
nella storia di ogni famiglia viene sempre anche un tempo in cui qualcosa o
qualcuno viene a mancare, qualcosa di importante e di vitale.
La Chiesa ci assicura
sempre la presenza di Gesù. In realtà, il Cristo risorto non manca mai quando si
vive un’autentica esperienza di amore. E la Chiesa, come ogni madre, è sempre
attenta ai suoi figli, si accorge quando nasce l’amore, lo protegge e lo
promuove.
Per questo non può
tacere quando l’amore viene sciupato e quando viene tradito. Per questo annuncia
che l’amore, il matrimonio e la famiglia provengono da Dio, non si possono
cambiare. La Chiesa dice che l’amore vissuto nella fede è la vera pienezza
dell’umano. Lo dice con umiltà e con forza, senza stancarsi, al mondo intero.
Gesù, il Signore
risorto, non manca mai alle nostre feste d’amore. Suscita e accompagna i nostri
desideri, li mantiene buoni, intelligenti, capaci di dono e di durata. Quando la
festa dell’amore si celebra nel matrimonio cristiano, l’acqua è trasformata in
vino, come a Cana di Galilea, e gli sposi, facendo memoria del battesimo, sono
purificati nel loro amore, resi forti per sfidare il tempo e le difficoltà, per
contrastare un pensiero diffuso e pervasivo che irride alla fedeltà. L’amore è
ancora possibile, al di là di ogni prova, di ogni dolore, di ogni inadeguatezza.
Questo amore è meraviglioso e fragile, e anche oggi ha il sapore di un
miracolo.
Fino a quando non
giunge l’ora del dono supremo e completo di sé non si è in grado di
comprenderlo. L’ora del dono supremo viene nella vita di ciascuno. Quando
dall’amore umano nasce una famiglia Dio mette dei segni lungo il cammino degli
sposi: una madre, un padre, dei fratelli, degli amici, dei figli, una comunità
con cui diventare discepoli e testimoni. Di questi segni a volte non ci
si accorge, non si sa, non ci si crede. Eppure Gesù precede ogni invito, anima
ogni slancio, bussa alla porta della nostra vita.
Il dono del sacramento
e la famiglia che nasce dal matrimonio permangono: dopo i tre giorni di
un amore donato c’è ancora una nuova creazione e si stabilisce tra gli sposi un
legame che dura per sempre. Dio è fedele, fedele per sempre! E questo amore non
si spezzerà.
C’era la madre di Gesù
La madre della famiglia
16. Alla festa di Cana,
prima che arrivasse Gesù, era già presente Maria (cfr Giovanni 2,1-2).
Attenta e premurosa, Maria svolge come “donna” un ruolo materno, portando a
compimento la maternità del popolo eletto: infatti, Sion era considerata
come una madre che, dopo la dispersione dell’esilio, raccoglieva i suoi
figli nell’unità e nella pace. Maria, la “figlia di Sion”, è la madre dei
credenti, madre della Chiesa!
Invitando i servi delle
nozze di Cana a fare quello che Gesù dirà loro, Maria si manifesta madre
che conduce i discepoli alla fede nel Signore e colma di gioia il cuore degli
sposi.
Maria è colei che si
prende cura degli sposi e che inizia già ora quella preziosa custodia che Gesù
le affiderà dalla croce (cfr Giovanni 19,26-27).
La funzione materna di
Maria riguarda ogni aspetto della vita dei discepoli. La sua presenza a Cana
simboleggia l'opera che Maria svolge in ogni matrimonio celebrato e vissuto sul
modello dell'alleanza sponsale tra Cristo e la sua Chiesa.
Così la preghiera di
Giovanni Paolo II può diventare l’invocazione accorata e fiduciosa di ogni
famiglia cristiana: «Che la Vergine Maria, come è madre della Chiesa, così anche
sia la madre della “chiesa domestica", e, grazie al suo aiuto materno, ogni
famiglia cristiana possa diventare veramente una “piccola chiesa", nella quale
si rispecchi e riviva il mistero della Chiesa di Cristo. Sia lei, l'ancella del
Signore, l'esempio di accoglienza umile e generosa della volontà di Dio; sia
lei, madre addolorata ai piedi della croce, a confortare le sofferenze e ad
asciugare le lacrime di quanti soffrono per le difficoltà delle loro famiglie. E
Cristo Signore, re dell’universo, re delle famiglie, sia presente, come a Cana,
in ogni focolare cristiano a donare luce, gioia, serenità, fortezza» (Familiaris
consortio, 86).
2. È
Cristo la vera novità del matrimonio e della famiglia
17. L’icona evangelica
delle nozze di Cana nel suo denso messaggio permette di scorgere alcuni “punti
luminosi” che mettono in risalto i tratti della singolarità del matrimonio
cristiano e della famiglia che ne scaturisce. La presenza di Cristo Signore e
l’azione del suo Spirito sono il principio e l’alimento di una novità
insuperabile che viene loro donata.
1) Gesù,
invitato alle nozze di Cana, è l’invitato a ogni sposalizio che si
celebra nel mondo. Lui stesso si autoinvita, perché vuole essere
presente al sorgere di ogni matrimonio.
Viene incontro agli
sposi. Proprio questo incontro personale tra Cristo e gli
sposi è la verità nascosta e preziosa, il senso radicale e splendido del
sacramento del matrimonio: non un semplice rito, non una pura cerimonia, non
una qualche benedizione, ma un incontro vivo di persone. Il sacramento ha un
nome e un volto: il nome e il volto del Signore Gesù, Sposo della sua Chiesa. È
lui che penetra le radici dell’essere degli sposi, il loro desiderio e la loro
volontà di amarsi per sempre, di diventare “una sola carne”, di essere aperti
alla vita. È lui a compiere il miracolo di un’esistenza che rispecchia in
sé stessa la sua alleanza sponsale con l’umanità rinnovata.
Gesù continua
a venire incontro agli sposi lungo tutta la loro vita. Il sacramento,
impresso nel cuore, entra nel vivere quotidiano, ne ispira sentimenti, scelte,
azioni: Gesù si fa “compagno” di grazia nel cammino della vita. È questa la
visione del matrimonio cristiano che il Concilio ci ha riconsegnato: «Come un
tempo Dio venne incontro al suo popolo con un patto di amore e di fedeltà, così
ora il Salvatore degli uomini e Sposo della Chiesa viene incontro
agli sposi cristiani attraverso il sacramento del matrimonio. Inoltre rimane
con loro perché, come egli stesso ha amato la Chiesa e si è dato per lei (cfr
Efesini 5,25), così anche i coniugi possano amarsi l'un l'altro fedelmente,
per sempre, con mutua dedizione» (Gaudium et spes, 48).
2) Gesù viene incontro
agli sposi e rimane con loro, perché vuole portare a compimento, nell’esistenza
di ogni coppia, la storia dell’alleanza d’amore tra Dio e il suo popolo, dopo
averla vissuta in modo supremo nell’“ora” della Croce, sigillando, con
l’effusione del suo sangue, il dono totale di sé alla Chiesa e all’umanità.
Non c’è matrimonio
cristiano senza la Croce. Della Croce esso è
memoriale e partecipazione, annuncio e presenza. Il sacramento del matrimonio è
evento pasquale: unisce e assimila gli sposi a Gesù crocifisso
e risorto, li fa entrare nel suo donarsi «fino alla fine» all’umanità bisognosa
di salvezza, affamata e assetata di amore vero.
Nel sacrificio della
croce si svela interamente il disegno impresso da Dio nell’umanità dell’uomo e
della donna, fin dal “principio”, fin dalla creazione: il matrimonio dei
battezzati è il simbolo reale della nuova ed eterna alleanza, sancita nel sangue
di Cristo. «Gli sposi – ha scritto il Papa - sono il richiamo permanente per
la Chiesa di ciò che è accaduto sulla croce; sono l’uno per l’altra, e per i
figli, testimoni della salvezza, di cui il sacramento li rende partecipi. Di
questo evento di salvezza il matrimonio, come ogni sacramento, è memoria,
attualizzazione e profezia» (Familiaris consortio, 13).
Forse non è senza
interesse rilevare la sovrabbondanza, la quantità enorme del miracolo di Cana:
circa seicento litri di vino a fine pasto! Un’esagerazione come quella che si
compie nell’“ora”, quando dal fianco squarciato di Gesù «uscì sangue e acqua» (Giovanni
19,34). Sì, il matrimonio cristiano parla di amore esagerato, sprecato, senza
calcoli (come il nardo di Maria di Betania: cfr Giovanni 12,1-8 o come le
cento libbre di mirra e di aloe portate da Nicodemo per la sepoltura di Gesù:
cfr Giovanni 20,39), che diventa la condizione perché si possa capire
l’amore pazzo e sprecato di Gesù sulla croce. Solo chi fissa lo sguardo sul
Crocifisso può entrare nel mistero dell’amore umano che diventa consegna
reciproca e definitiva della propria vita.
3) Inseriti nell’ora
della Croce, gli sposi ricevono il dono dello Spirito santo effuso da
Cristo morente (cfr Giovanni 19,30). E, come sempre, lo Spirito crea il
cuore nuovo, trasforma l’amore umano – senza togliere nulla della
sua vera umanità – nell’amore stesso del Signore Gesù. Il miracolo dell’acqua
mutata in vino accade ancora, in modo sorprendente: per la grazia dello Spirito
comunicato dal sacramento, gli sposi cristiani possono amare in modo nuovo, con
tutta l’umanità e la bellezza del loro amore, assunte e trasfigurate dall’amore
di Cristo!
Questa scoperta e
questa esperienza sono rese possibili agli sposi dalla fede e dalla grazia dello
Spirito. Essi ritrovano «nell’intervento redentore di Cristo il dono di una
purificazione e di una elevazione (cfr Gaudium et spes,
49). Chiamati a una continua conversione di fronte all’esperienza del peccato,
vengono resi capaci di partecipare alla vittoria di Cristo superando la
tentazione dell’egoismo; e di dedicare la loro esistenza al servizio del Regno
di Dio. Ricevono, inoltre, la grazia di una elevazione del loro amore, che li
abilita e li impegna a una crescente attuazione di quei valori umani di
donazione, di fedeltà e di generosa fecondità, che nel Vangelo trovano pienezza
di verità e di motivazione» (CEI, Evangelizzazione e sacramento del
matrimonio, 45).
Quanto umano e divino è
il sacramento di Cristo! Non sta “fuori” o “a lato” dell’amore coniugale umano,
ma “dentro”, perché ne costituisce una conferma. Anzi, situato nell’intimo della
relazione di amore sponsale, la trasfigura e la rende partecipe dell’amore di
Dio e della sua comunione trinitaria. Di questa unità indivisa e aperta
all’infinito parla il Concilio affermando che «l’autentico amore
coniugale è assunto nell’amore divino ed è sostenuto e arricchito
dalla forza redentiva del Cristo e dall’azione salvifica della Chiesa» (Gaudium
et spes, 48).
4) L’amore nuovo
donato dal sacramento agli sposi chiede loro una comunione unica, totale e
indissolubile. È la stessa comunione tra Cristo e la Chiesa a divenire
dono, promessa, forza, paradigma, speranza, dinamismo per gli sposi,
chiamati a riprodurre e a manifestare nella propria vita di coppia quella
comunione che all’umanità è stata donata per sempre da Cristo e che ha fatto
della Chiesa l’unico suo Corpo.
Essere testimoni del
valore dell’indissolubilità matrimoniale è oggi per le coppie cristiane uno dei
compiti più difficili ma più preziosi e urgenti. A chiunque domanderà ragione di
questa speranza che è in loro (cfr 1 Pietro 3, 15) risponderanno con
l’esempio concreto della loro vita e l’offerta discreta e fiduciosa di un aiuto
a quanti sono tentati di venir meno agli impegni assunti.
5) Alla festa di
nozze, con gli sposi e con Gesù, a Cana sono presenti molte persone: gli
invitati, i servi del banchetto, la madre di Gesù e i suoi apostoli. Tutti
vengono coinvolti nel miracolo compiuto da Gesù.
È il “segno” che
conduce alla fede, come conclude l’evangelista scrivendo: «I suoi discepoli
credettero in lui». E così comprendiamo che solo nella fede è possibile
accogliere, prendere e bere il “vino buono” donato dallo Sposo nel sacramento. È
da questo “segno” che nasce e incomincia a crescere la comunità dei credenti: la
Chiesa Sposa di Cristo.
Il matrimonio ci
appare in una nuova prospettiva: è annuncio del Vangelo che salva, spazio umano
per una fede confessata e celebrata nella gioia festosa del banchetto, simbolo
reale dell’alleanza nuova ed eterna sigillata sulla Croce e ripresentata
nell’Eucaristia.
Il matrimonio cristiano
comporta la presenza della comunità ecclesiale. Lo evoca l’espressione
“sposarsi in chiesa”, indicando che a sposarsi sono persone battezzate e
pertanto membri della Chiesa. Esse dal matrimonio ricevono la grazia di vivere
come coppia e come famiglia la vita ecclesiale e la missione del servizio di Dio
nella Chiesa e nella società.
La fede professata
nella celebrazione delle nozze chiede di essere prolungata nel corso della vita
degli sposi e della famiglia. Dio, infatti, che ha chiamato gli sposi “al”
matrimonio, continua a chiamarli “nel” matrimonio (cfr Paolo VI, enciclica
Humanae vitae, 25). Attraverso gli avvenimenti e le gioie, i problemi
e le difficoltà dell'esistenza di tutti i giorni, Dio rivela e propone agli
sposi nella concretezza della vita le esigenze evangeliche e radicali della loro
partecipazione all'amore di Cristo per la Chiesa.
Così la “piccola chiesa
domestica” della famiglia e la “grande Chiesa”, nell’obbedienza alla fede,
continuano insieme a farsi epifania e annuncio della “buona notizia” a ogni
persona e al mondo intero: l’amore di Dio è in mezzo a noi! |