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Terza Domenica di Quaresima anno C
Lectio Divina
a cura di: Fernanda Plomitallo

Nel percorso dei "martedì di San Marcello" dopo l'incontro con Padre Pierpaolo sul senso del digiuno e del silenzio, questa settimana abbiamo condiviso la Lectio Divina sulla liturgia della parola della terza domenica di Quaresima con la dott.ssa Fernanda Plomitallo. All'interno dello schema classico che prevede Lectio, Metidatio, Oratio e Contemplatio a Fernanda abbiamo chiesto una meditazione sui testi che facesse riscoprire la ricchezza della Parola e le sue interconnessioni con la vita. E' stato bello ascoltare una mamma "normale" (come si è definita). Proponiamo la sua meditazione e le foto dell'incontro.

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          L’invito alla conversione è al centro della liturgia di questa domenica, i testi invitano a porre l’accento sull’urgenza della conversione facendo tesoro dei segnali che Dio direttamente o indirettamente fa giungere.

Nella prima lettura c’è il racconto della vocazione di Mosè a guida del suo popolo per organizzare l’uscita dall’Egitto.

Il fatto comincia con una teofania, cioè una manifestazione di Dio il quale si rende presente nel roveto ardente, fa udire a Mosè la sua voce, lo chiama per nome, gli svela il suo piano per la liberazione d’Israele e gli ordina di mettersi a capo dell’impresa.

Inizia così la marcia degli Ebrei attraverso il deserto che non ha solo il significato di affrancarlo dalla schiavitù di un popolo straniero, ma quello più profondo di separarlo dal contatto con gente idolatra, di purificare i suoi costumi, di distaccarlo dai beni terreni per condurlo ad una religione più pura, a un contatto più intimo con Dio e quindi al possesso della terra promessa.

L’esodo del popolo eletto è la figura dell’itinerario di distacco e di conversione che il cristiano è chiamato ad attuare in modo speciale durante la Quaresima.

La Quaresima è tempo di esame e di bilancio: c’è frutto se c’è conversione, meta-noia, cambiamento di mentalità, cioè passare dal modo di pensare, di agire, di essere guidati dal mondo, a pensare, agire, comportarsi guidati dal Cristo e dal suo Vangelo.

Dio si identifica con “Io sono Colui che sono” = colui che agisce in questa azione-rivelazione si manifesta come Dio provvidente e misericordioso, Dio vivente, il dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe quindi Dio dei vivi e dei morti, Dio potente che vince la superbia e la forza del faraone.

Il salmo 102 segue la prima lettura, riprende gli attributi del nome di Jahve, rivelati a Mosè, mettendo l’accento sulla misericordia e la bontà di Dio; l’esperienza dell’incontro con Dio, trova la risposta umana nella benedizione, quella personale del primo versetto “Benedici il Signore, anima mia”  e poi quella di tutto il creato “Benedite il Signore, voi tutti suoi angeli, voi tutte sue schiere, voi tutte opere sue” (cfr  Salmo 10220-22)

Nella seconda lettura San Paolo, si rivolge alla comunità di Corinto e medita la vicenda d’Israele nel deserto in chiave cristiana.

Al dono di Dio (che attraverso il battesimo del mar Rosso ha generato il nuovo popolo libero e che attraverso il “cibo spirituale” della manna e la “bevanda spirituale” dell’acqua sgorgata dalla roccia, ha nutrito il suo popolo) risponde la mormorazione, cioè l’infedeltà d’Israele, così appartenere al popolo di Dio, avere a propria disposizione l’acqua viva della grazia, il cibo spirituale dell’Eucaristia e di tutti gli altri Sacramenti non è garanzia di salvezza se il cristiano non s’impegna personalmente a un profondo lavoro di conversione e di totale adesione a Dio.

Il Vangelo si divide in due parti, nella prima ci vengono presentati due fatti di cronaca:  un’uccisione e un incidente con molte vittime. Nel primo caso è in gioco la libertà e la cattiveria dell’uomo, nel secondo l’ineluttabilità e la violenza del creato. Unico è l’orizzonte, la morte.

Questi due avvenimenti richiamano in modo esemplare ciò che maggiormente scuote la fede del credente: perché Dio permette i soprusi e le violenze, i disastri e i terremoti?

Il male, ingrediente costante dell’esistenza, non è un problema, bensì “il“ problema, inspiegabile razionalmente, costituisce una sfida per la fede: la può far crollare o rafforzare, negare o cambiare di qualità.

C’è una connessione misteriosa tra la sofferenza e il male che fa l’uomo. Ma non nei termini di espiazione-colpa come si pensava nell’Antico Testamento (vedi Giobbe)

Anzi! La realtà prova, al contrario, un’evidenza che stentiamo sempre a riconoscere: le conseguenze del male non ricadono su chi le compie, ma su chi le subisce; il giusto porta l’ingiustizia, il Messia sofferente del male del mondo, il giusto giustiziato ingiustamente, vittima del male altrui, apre a ogni ingiusto pentito il giardino del giusto ”. . . oggi sarai con me nel paradiso”  (lc 23,43b).

Il momento presente è il punto, l’unico punto in cui ci si può e ci si deve convertire dal lievito dei farisei a quello del Regno. Discernere i segni del tempo presente significa leggere ogni fatto e dato come appello a passare dall’ipocrisia alla filialità, dal regno della paura a quello della libertà. In questo modo il male perde il carattere di necessità e ritorna sotto il dominio della  libertà dell’uomo che si converte a Dio e della misericordia di Dio che non può non convertirsi all’uomo.

Nella seconda parte la parabola è trasparente. Il Padre e il Figlio si prendono cura dell’uomo e non si attendono altro che egli risponda al loro amore. Questa risposta è la sua realizzazione stessa, come per il fico far fichi. Ma come il fico è sterile, così l’uomo non i decide a far frutti di conversione.

Con la venuta di Gesù, il tempo dell’attesa sarebbe finito e il giudizio compiuto. Ma Dio accorda all’uomo ancora un anno, si sottolinea l’aspetto della storia come rinvio del giudizio e prolungarsi della fatica di Dio per chiamare tutti alla conversione.

Dio non taglia il fico, cioè l’uomo! Lo rispetta perché lo ama. Gli prodiga intorno tutta la sua opera, perché possa rispondere al suo amore. Il tempo continua, perché eterna è la sua misericordia (Salmo 136)

Il cammino di conversione, significa anzitutto andare oltre i propri progetti, anzi saperli  mettere da parte per accogliere il disegno di Dio ponendo fiducia solo nella sua parola.

La conversione è un cammino che dura sempre e richiede continue verifiche.

La conversione è un cammino che procede in avanti ma può anche tornare indietro; volgersi a Dio richiede una ferma volontà e un costante impegno, ponendo in conto che possiamo anche fermarci o addirittura voltargli le spalle e ritornare sui propri passi. Anche allora Dio non si stanca di chiamare a conversione, perché l’uomo peccatore non si senta perduto ma accolga l’invito a ricominciare a percorrere ancora una volta la strada verso il Signore con l’impegno di una seria revisione di vita.

Il sacramento della riconciliazione è uno di quei segni che cambiano la vita.