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Sul lavoro.
Con questo stile del quotidiano Vittorio vive anche il suo
lavoro. Diventa specialista di endoscopia digestiva e
gastroenterologica e consegue l'idoneità a primario di Chirurgia
generale. Lavora al di là delle sue forze trascurando persino la
cura del suo corpo. Un giorno, a fine turno, ha un rapido
scambio di vedute con il primario anestesista. Vittorio non
vuole rimandare in camera una signora che aspettava il suo
momento fin dal mattino. Il primario si rifiuta dicendo "il
primario sono io e decido io, se non la smetti non addormenterò
più i tuoi pazienti e opererai solo le urgenze". Vittorio lo
guarda negli occhi e risponde "Io non temo lei, ma temo il
Signore Dio mio e Dio tuo", e se ne va'. Il giorno dopo
l'anestesista lo cerca per chiedergli scusa, dicendo che era
stato un egoista.
Il "rabbino".
Prima di operare una paziente di religione ebraica ha recitato
con lei lo Shemà Israel. Era, infatti, cultore della fede di
Israele, passione che gli era nata da giovane, quando aveva
intuito che per conoscere bene Gesù, la sua personalità, il suo
modo di essere e di pensare, era importante ricordare che Gesù
era un ebreo osservante. Dall'amore a Gesù di Nazareth era nata
in lui la sete di conoscere la linguA e le scritture ebraiche, i
commenti, la tradizione, le feste.
Al Centro ecumenico San Martino
che frequentava regolarmente era diventato "il nostro rabbino".
Ai suoi funerali, celebrati dall'arcivescovo di Perugia–Città
della Pieve mons. Giuseppe Chiaretti, in cattedrale c'era una
città a rendergli omaggio, accanto alla moglie e ai figli: il
figlio naturale, Guido, e i suoi fratelli adottati e in affido.
Sulla sua bara ricoperta dal Tallit, il manto di preghiera degli
ebrei, c'erano la Bibbia e la Croce.
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La vita.
Vittorio è figlio di Saverio Trancanelli e Caterina Sedeucic,
rifugiati a Spello (lì nasce il 26 aprile 1944) a causa della
guerra. La famiglia si trasferisce a Petrignano di Assisi, dove
Vittorio vive fino al matrimonio con Lia. Si fidanza con lei a
21 anni, si laurea in medicina, si sposano il 18 ottobre 1970 e
vanno a vivere a Perugia. "Quando Vittorio e io eravamo
fidanzati pensavamo già ad un matrimonio cristiano, volevamo
vivere con il Signore e anche fondare la nostra vita su di Lui
che è la Roccia. Ci sembrava un sogno ma piano piano con la
lettura e la meditazione della Parola di Dio potevamo
realizzarlo". Sono le parole di Lia. Con lei Vittorio ha
condiviso ogni scelta formando una coppia veramente speciale per
la sintonia spirituale e il legame affettivo.
La fede nella quotidianità.
Un giorno, essendo vicina l'estate, i colleghi parlavano delle
vacanze dicendo: "Quest'anno devo mettere una vela in più sulla
barca", "Io invece voglio cambiare località", "Io voglio
comprare un motoscafo", Vittorio operava e ascoltava, poi dice:
"Ragazzi, domani non vengo in ospedale, non mettetemi malati in
lista per operarli". "Vitto'... che devi fare?". "Vado dal
giudice". "Dal giudice? A fare che?". "Vado a prendere un altro
bambino in affido". In sala operatoria si fa silenzio. Vittorio
alza la testa e dice "Io e mia moglie ci divertiamo così, non vi
preoccupate ragazzi". Il protagonista di questo episodio è
Vittorio Trancanelli, il medico perugino che la diocesi di
Perugia–Città della Pieve propone come testimone della fede al
convegno ecclesiale di Verona. Vittorio è morto a soli 54 anni
il 24 giugno del 1998. Ha vissuto la sua fede nella
quotidianità della vita. Nel suo lavoro, nella famiglia, nella
sua passione per la Bibbia e per l'ebraismo.
Nel 1976, un mese prima della nascita del primo figlio
Vittorio si ammala gravemente. Da una colite ulcerosa
trasformatasi in peritonite gravissima uscì vivo per puro
miracolo di Dio che ha accolto le suppliche di una moglie in
attesa e di tanta gente che pregava per lui. Da quell'operazione
rimane segnato per la vita portando una ileostomia fino alla
fine, sopportando disagio e dolore che confidava solo alla
moglie. "Dopo la nascita di Diego - continua Lia -, decidemmo di
mettere in pratica il vangelo (Mt 18,5) Chi accoglie anche uno
solo di questi bambini in nome mio accoglie me".
Arrivarono così i primi due figli adottivi,
cui ne seguiranno altri e altri in affido. La loro esperienza di
coppia si allarga in un progetto condiviso con altri: accogliere
famiglie e persone, in particolare bambini, in stato di bisogno.
Nasce l'associazione "Alle querce di Mamre", che prende il nome
dal luogo in cui Abramo ospitando nella sua tenda degli
stranieri accoglie Dio. Vittorio sceglie quel nome perché
esprime esattamente ciò che vuol fare. Accogliere Dio, scrisse
con altri cinque amici che condividevano il progetto, "quel Dio
che scopriamo proprio nella comunione con gli altri fratelli,
nella logica del quotidiano, nella dimensione cristiana del
vivere quotidiano, possibile a tutti". |