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Rifacendosi ad alcuni passi evangelici,
Livatino osservava come Gesù affermi che "la giustizia è
necessaria, ma non sufficiente, e può e deve essere superata
dalla legge della carità che è la legge dell'amore, amore verso
il prossimo e verso Dio, ma verso il prossimo in quanto immagine
di Dio, quindi in modo non riducibile alla mera solidarietà
umana; e forse può in esso rinvenirsi un possibile ulteriore
significato: la legge, pur nella sua oggettiva identità e nella
sua autonoma finalizzazione, è fatta per l'uomo e non l'uomo per
la legge, per cui la stessa interpretazione e la stessa
applicazione della legge vanno operate col suo spirito e non in
quei termini formali".
Ancora su questo aspetto,
Levantino dichiarava: "Cristo non ha mai detto che soprattutto
bisogna essere 'giusti', anche se in molteplici occasioni ha
esaltato la virtù della giustizia. Egli ha, invece, elevato il
comandamento della carità a norma obbligatoria di condotta
perché è proprio questo salto di qualità che connota il
cristiano". Rispetto al ruolo del magistrato, nella stessa
conferenza, Livatino affermava: "Il compito del magistrato è
quello di decidere. Orbene, decidere è scegliere e, a volte, tra
numerose cose o strade o soluzioni. E scegliere è una delle cose
più difficili che l'uomo sia chiamato a fare. Ed è proprio in
questo scegliere per decidere, decidere per ordinare, che il
magistrato credente può trovare un rapporto con Dio. Un rapporto
diretto, perché il rendere giustizia è realizzazione di sé, è
preghiera, è dedizione di sé a Dio. Un rapporto indiretto per il
tramite dell'amore verso la persona giudicata".
Hanno detto di lui.
Il Papa, il 9 maggio 1993, Giovanni Paolo II in occasione
della sua visita pastorale, in Sicilia il 9 maggio del 1993,
dopo aver incontrato ad Agrigento i genitori di Livatino, dirà
degli uccisi dalla mafia: "Sono martiri della giustizia e
indirettamente della fede". Nella messa di commiato, il suo
vescovo lo descrisse come giovane "impegnato nell'Azione
Cattolica, assiduo all'Eucaristia domenicale, discepolo fedele
del Crocifisso". E' attestato il suo impegno affinché, nell'aula
delle udienze, in tribunale, ci fosse un crocifisso. Ogni
mattina, prima di entrare in tribunale, andava a pregare nella
vicina chiesa di San Giuseppe. |
La vita.
Rosario Livatino è nato a Canicattì il 3 ottobre 1952, dal papà
Vincenzo, laureato in legge e pensionato dell'esattoria
comunale, e dalla mamma Rosalia Corbo. Rosario conseguì la
laurea in Giurisprudenza all'Università di Palermo il 9 luglio
1975 a 22 anni col massimo dei voti e la lode. Il 21 aprile '90
conseguì con la lode il diploma universitario di perfezionamento
in Diritto regionale. Giovanissimo entra nel mondo del lavoro
vincendo il concorso per vicedirettore in prova presso la sede
dell'Ufficio del Registro di Agrigento dove restò dal 1°
dicembre 1977 al 17 luglio 1978.
Nel frattempo però partecipa con successo
al concorso in magistratura e superatolo lavora a Caltanissetta
quale uditore giudiziario passando poi al Tribunale di
Agrigento, dove per un decennio, dal 29 settembre '79 al 20
agosto '89, come Sostituto Procuratore della Repubblica, si
occupò delle più delicate indagini antimafia, di criminalità
comune ma anche (nell'85) di quella che poi negli anni '90
sarebbe scoppiata come la "Tangentopoli siciliana". Fu proprio
Rosario Livatino, assieme ad altri colleghi, ad interrogare per
primo un ministro dello Stato. Dal 21 agosto '89 al 21 settembre
'90 Rosario Livatino prestò servizio presso il Tribunale di
Agrigento quale giudice a latere e della speciale sezione misure
di prevenzione.
Dell'attività professionale di Rosario Livatino
sono pieni gli archivi del periodo non solo del Tribunale di
Agrigento ma anche degli altri uffici gerarchicamente superiori.
Rosario Livatino fu ucciso, in un agguato mafioso, la mattina
del 21 settembre '90 sul viadotto Gasena lungo la SS 640
Agrigento-Caltanissetta mentre, senza scorta e con la sua auto,
si recava in Tribunale. Per la sua morte sono stati individuati,
grazie al supertestimone Pietro Ivano Nava, i componenti del
commando omicida e i mandanti che sono stati tutti condannati,
in tre diversi processi nei vari gradi di giudizio,
all'ergastolo con pene ridotte per i "collaboranti".
Il pensiero.
Nell'agenda di Livatino del 1978 c'è un' invocazione sulla sua
professione di magistrato, datata 18 luglio, che suona come
consacrazione di una vita: "Oggi ho prestato giuramento: da oggi
sono in magistratura. Che Iddio mi accompagni e mi aiuti a
rispettare il giuramento e a comportarmi nel modo che
l'educazione, che i miei genitori mi hanno impartito, esige".
Fede e diritto, come Livatino spiegò in una conferenza tenuta a
Canicattì nell'aprile 1986 ad un gruppo culturale cristiano,
sono due realtà "continuamente interdipendenti fra loro, sono
continuamente in reciproco contatto, quotidianamente sottoposte
ad un confronto a volte armonioso, a volte lacerante, ma sempre
vitale, sempre indispensabile". |
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